“La notte poco prima della
foresta” di Bernard-Marie Koltès
con
Claudio Santamaria - Regia di Juan Diego Puerta Lopez
Evento svoltosi a Roma, al Teatro Piccolo Eliseo, dal 9 al 28 marzo
2010
Una città e tutte, una notte e
un’esistenza intera, un disagio, un’estraneità e un dramma, un
monologo e dialogo rivolto ad un qualcuno qualunque o a nessuno:
questo il cuore dell’altalenante simmetria evocata dalla recitazione
di un Claudio Santamaria “ispirato” nella piece “La notte poco
prima della foresta” di Bernard-Marie Koltès, messo in scena al
Piccolo Eliseo di Roma dal 9 al 28 Marzo 2010.
Già il titolo richiama due
elementi che evocano mistero, buio e disagio: la notte e la foresta
nell’immaginario di Koltès sono il non-luogo dello straniero, la
precarietà espressa nel flusso di coscienza di un nomadismo concreto
e psichico, in cui mancano appigli terreni ed emotivi.
Non ci sono punti nel testo:
un’unica immensa frase di 63 pagine, in cui il respiro traballa,
salta, si mozza, esplode e svanisce rarefatto in un’esasperante
democrazia di pensiero.
È questa forza espressiva che
rasenta lo stordimento la materia prima in sala al Piccolo Eliseo,
che parte dall’opera di un ventottenne Koltès (la prima
rappresentazione di“La notte poco prima della foresta”risale
al 1977 al Festival Off di Avignone), lucido e delirante nello
stesso tempo, per addensarsi poi in sguardo, parola, urlo, gesto,
lamento e guizzo dell’attore, con l’attualità e lo spessore di oggi,
in un’atmosfera ricca di echi dolorosamente quotidiani.
La regia del colombiano Juan
Diego Puerta Lopez privilegia, per l’espressione di una sofferenza
intensa e laica che si propone di raggiungere l’estasi del delirio
nel minimalismo delle credenze, uno scenario visionario e scarno
anche nell’allestimento di Carmine Guarino e Loredana Longo, che si
illumina e si arricchisce al pubblico solo grazie allo sguardo e al
movimento denso di significati del protagonista, che gli imprime
senso ad ogni passo.
Il movimento e il gesto, la
corporeità sono tra i punti chiave di questo nuovo registro
stilistico, dove il linguaggio abbraccia tutti gli stadi
dell’espressione: ora nodoso e ricurvo come un ulivo, ora goffo e
supremo come un albatros, è il corpo dell’attore che si presta a far
vibrare tenerezza, emozione, rabbia, paura e debolezza tra gli
spettatori.
La pioggia, come rumore liquido
ed elemento catartico ed incessante, accompagna il racconto di una
delirante ed acuta ricerca di amori impossibili, tanto precari
quanto ossessivi e multiformi, racchiusi in madri o donne innocenti
o perdute, alle quali l’uomo è inchiodato da un’ immensa e
ontologica debolezza.
Santamaria invoca il
compagno con un altruismo ed un’apertura che non ha fine,
l’anima gemella di un comune sentire, lontano dagli odiati
specchi, metafora della costante molteplicità di estranei occhi
ostili che frammentano irrimediabilmente, nell’immagine che
rimandano, la personalità di un individuo che, straniero per
definizione, non vuole riconoscersi nell’emarginato ratto che
è obbligato a sentirsi per colpa loro.
L’uomo cerca invece “una camera
per una notte…solo per una parte della notte”, come un albergo,
sempre estranea e mai familiare nel senso tradizionale che è ormai
lontano, nell’abitudine della non routine comune solo agli altri,
i bastardi padroni e vittime di un tessuto sociale inospitale
e corrotto, spietato per uno spirito fiaccato e fragile.
È senza radici lo straniero di
Koltès, alieno a tutti ma normale a sé stesso, che ama intensamente
e intensamente cerca la complicità umana materna, femminile,
fraterna, materiale e psichica in un tempo che non riesce più a
raggiungere, non lo riconosce come pari, di cui è rabbiosa vittima
da attore inconsapevole.
“La notte poco prima della
foresta” è un testo aperto, che ogni sera guadagna luci e ombre
nella singola interpretazione, affidato ad un caleidoscopico e
intenso attore cult del panorama artistico contemporaneo.
Alessandra Giordani
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