Anatocismo
L’Anatocismo (dal greco anà, nuovo e tokòs, interesse) è
una prassi illegale con la quale dei creditori pongono degli interessi sugli
interessi del denaro che dovrebbe ricevere dal proprio debitore.
In pratica questa tecnica permette ai creditori di
acquisire maggior denaro rispetto a quello che il debitore dovrebbe dare in
corrispondenza dei soldi che doveva e gli interessi pattuiti.
L’Anatocismo, come prassi vietata, e dunque reato, viene
inserito anche nell’articolo 1283 del codice civile nel quale si scrive: “In
mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo
dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla
loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi
(att. 162)”.
A partire da questa norma giuridica vediamo che
l’anatocismo è stato vietato praticamente dalla creazione dello Stato
repubblicano italiano, ma nella pratica molte banche hanno utilizzato questa
prassi per tassare i conti correnti, soprattutto quelli senza denaro al loro
interno, i cosiddetti conti in rosso.
La situazione è nettamente e
definitivamente cambiata quando nel 2004, con una deliberazione delle Sezioni
Unite della Corte di Cassazione n. 21095, viene chiaramente dichiarato illegale
qualsiasi interpretazione parziale della prassi anatocistica. La sentenza della
Cassazione chiude una diatriba che si portava avanti dal 1999 tra i vari
consumatori e le banche, con i Governo a dover trovare l’equilibrio tra le
diverse istanze.
Per chi abbia appurato di aver subito un anatocismo non
esiste una prassi ufficiale per il rimborso. Fondamentalmente, tra debitore ed
ente di credito si tende ad non andare in causa, in quanto si tratterebbe di una
pessima pubblicità per un qualsiasi istituto di credito. Quindi si tende a
firmare un accordo che non scontenti entrambe le parti. Di solito la soluzione
viene trovata con il risarcimento del denaro pagato senza giusta causa, insieme
agli interessi maturati da quel denaro.
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