David Lees, figlio di Dorothy Neville Lees, poetessa
britannica di nascita, fiorentina d’adozione e di Edward Gordon Craig, attore,
regista e scenografo teatrale tra i più innovativi del secolo, è stato per
molti l’icona Dell’ "arte fatta di immagini" senza tempo, capaci di scolpire
con chiari e scuri essenziali i caratteri dei personaggi delle atmosfere,
degli ambienti che un semplice scatto fotografico riusciva a immortalare.
Per la sua creatività, per la fantasia ed il tocco sensibile che le sue
immagini riuscivano a rivelare, Ezra Pound, uno dei più grandi poeti del
novecento, definì Lees "principe della fotografia, maestro dell’interpretare
forma e atmosfera", una fucina di idee, dal quale i giovani potevano apprendere
e assaporare l’epopea della grande fotografia, cogliendone tutta la passione
ed il gusto per nuove sfide.
Figlio di due inglesi, Lees aveva ereditato dai suoi
genitori l’amore per l’Italia, tanto che nel 1937 scelse la cittadinanza
italiana, servendo l’Italia appunto, come alpino per sette anni sul fronte
occidentale e nella campagna greco-albanese.
A Firenze, con la sua prima Kodak Ves Pocket,
iniziò a quindici anni a descrivere per immagini scene di vita quotidiana;
a questi esordi, pubblicati da giornali inglesi come corrispondenze, seguirono
le collaborazioni per Le Ore, Picture Post, Colliers
ed Esquire, fino all’approdo, nei primissimi anni cinquanta, al gruppo
"Time" - "Life" - "Fortune" di Henry Luce.
Life, fu per David Lees un’esperienza basilare
per la sua formazione, capace di farlo maturare professionalmente fino a
toccare i vertici del successo. Ne rimase il corrispondente per l’Europa
ed il Medio Oriente fino alla chiusura della gloriosa testata, avvenuta
nel 1972.
Quelli furono anni di intenso lavoro, e Lees riuscì con
i suoi reportage ad immortalare veri frammenti di storia, come la poetica
di Garcia Lorca, Byron e Shelley, l’alluvione di Firenze ed il disastro
di Longarone, le vicende vaticane dalla morte di Pio XII all’incoronazione
di Giovanni Paolo II, gli etruschi, i luoghi di Abramo e Mosè. Immagini
che si succedevano ogni settimana sulle pagine di Life, quasi come a voler
prendere per mano il lettore e svelargli scenari e verità che, in assenza
della televisione, solo la fotografia potevamostrargli. Alla fine degli
anni’70 e all’inizio degli anni ’80, conclusa definitivamente l’esperienza
di Life, Lees decise di cimentarsi negli ambiti della fotografia pubblicitaria
ed industriale, agganciando tra le altre cose nuove collaborazioni con riviste
come Smithsonian e Sport Illustrated.
La grande carriera di David Lees, fotografo e poeta,
si è conclusa con la sua morte, avvenuta il 10 gennaio 2004, pochi giorni
dopo la chiusura della straordinaria monografica alle Reali Poste degli
Uffizi. Per ricordare questo artista e i suoi lavori sono state allestite
diverse mostre,tra le quali degna di merito è quella che si è tenuta esattamente
un anno dopo la scomparsa di Lees, curata da Cosimo Chiarelli e la sua Iconoteca;
una rassegna di ritratti realizzati da Lees tra la fine degli anni '50 e
gli inizi dei '70 ad alcuni tra le più importanti personalità della cultura
(Berenson, Pound, Montale, Fellini), dell'arte (Manzù, Dalì, Michelucci),
dell'industria (Agnelli, Piaggio, Mattei, Borghi, Pinin Farina) e della
moda (Armani, Pucci, Ferragamo).