SCHEDA CRITICA DI MARIUCCIA
D'ANGIò A CURA DI ROBERTO
LUCIANI
L’Artista
La prima produzione di
Mariuccia d’Angiò è legata ad una tecnica a metà strada tra la pittura e
l’incisione: il batik su seta. Nelle opere di questo periodo domina la forza
della linea, che limita colori compatti e spessi, dai quali emerge una realtà
fatta con pochi ma potenti particolari. Il tessuto da base pittorica diventa
quasi materia tridimensionale, trasformandosi in corpi, nature morte, paesaggi.
Dopo l’esperienza di alcune
esposizioni, abbandona la vita attiva dell’artista per dedicarsi all’insegnamento,
limitando la propria produzione ad episodiche "realizzazioni ad uso privato".
Finalmente, nell’ultimo
anno, ha ripreso la sua attività in un certo senso dal punto in cui l’aveva
lasciata: la materia e la sua "modellazione", attraverso il valore costruttivo
della linea ma arricchendolo di nuove e ricercate sfumature, sostituendo
la seta con la carta ed i colori "assoluti" del batik con la leggerezza
delle sanguigne e delle crete.
La sua ultima produzione
è composta da disegni multipli a carboncino, sanguigne, pastelli a creta
e olio su carta da spolvero dalle dimensioni medie complessive di 140 x
200 cm. Il disegno, spesso relegato al ruolo di "traccia" dell’opera d’arte
in costruzione, qui assume il valore di un’opera d’arte unica e completa
che racchiude in sé tutti i contenuti e le ricerche dell’artista. Questo
perché i colori, stesi su un supporto cromatico che li accompagna più che
esaltarli, assumono lo stesso valore dell’azione dello scalpello nella scultura.
Come la materia viene "tolta" per essere modellata e mostrare quello che
già esiste, così nei disegni della d’Angiò le linee ed i toni cromatici
vengono aggiunti per portare fuori dal foglio le figure che questo già possiede
in sé.
Oggetto principe è oggi
il volto, inteso come involucro di altri contenuti, siano essi spirituali
o figurativi, in un studio formale costante che fonde il percorso personale
dell’artista con una visione sperimentale del rapporto tra soggetto e tecnica
che si apre al pieno dialogo con il suo pubblico.
La mostra
La difficoltà di questa
esposizione è racchiusa nell’omogeneità del tema, monografico appunto, che
si propone di presentare opere unite dall’argomento e dalla tecnica, ma
nello stesso tempo differenti nei contenuti più intimi.
Il percorso è aperto da
San Michele, princeps militiae celestiae, il primo degli angeli che siede
alla destra di Cristo, il protettore per eccellenza della Chiesa e degli
uomini, che scaccia dal cielo il Lucifero ribelle con la frase che diventa
il suo motto e simbolo : Chi è come Dio? Nessuno. Successivamente il viaggio
del visitatore è scandito da due sezioni, la prima, intitolata "L’Essenza",
che racchiude le immagini che ricercano la "materia degli angeli", il loro
rapporto con l’aria e con gli elementi ad essa affini; la seconda sezione
è "La Presenza", dove le opere sintetizzano l’incontro dell’uomo con il
divino.
Le citazioni che costituiscono
le didascalie riassumono la storia angelica che attraversa l’umanità. Nelle
parole dei Padri della Chiesa, come in quelle di poeti contemporanei, ritroviamo
le sensazioni ed i sentimenti che ispirano i nostri angeli.
Gli angeli di Mariuccia d’Angiò
L’idea dell’angelo si
svolge secondo le leggi che regolano il cammino umano, rendendolo di volta
in volta diverso, con le ali o senza, femmineo o sacerdote, oppure armato.
Nel rincorrersi dei secoli e delle contingenze artistiche, si susseguono
le diverse immagini che l’uomo si è costruito per rappresentare la sua idea
di angelo rispecchiandovi, inconsapevolmente, se stesso.
Cambiano i mezzi di espressione
ma non le idee. E queste idee collocano la figura angelica "a metà tra quello
che è materiale e quello che non lo è, egli è l’essere di confine che rende
la materia metafora dello spirito, così come la luce reale lo è di quella
inaccessibile "(M. Bussagli).
E proprio la luce diventa
l’essenza dell’angelo, in un insieme di aria e materia in cui si perde l’anima.
Questa sua natura effimera lo pone come la forza in virtù della quale si
muove il cosmo, come l’essenza della varietà del creato che si riassume
nell’inscindibile unità del divino.
Gli angeli di Mariuccia
d’Angiò nascono dalle forme barocche e con queste hanno in comune la ricerca
di un contatto vitale con il pubblico, ma dalla concezione barocca si allontanano
quando superano la dimensione teatrale per affidare all’incontro con lo
spettatore un messaggio diverso, assolutamente personale, in cui si rintraccia
un solitario e sorprendente cammino introspettivo. I volti diventano narrazione
di un incontro, contatto fugace del piano visivo (e quindi materiale) e
del piano spirituale.
L’immagine si scompone
in quattro parti uguali che si allontanano tra loro, in un movimento silenzioso
che la rivitalizza staccandola quasi dal muro ed alleggerendola in un moto
aereo. Ogni pannello assume un aspetto autonomo e nello stesso tempo riconquista
il proprio senso nella sua unione con gli altri. La natura delle figure
si riafferma nella sua divisione, che la costruisce e disgrega allo stesso
tempo. E sempre il tempo si fonde con la visione d’insieme che lo vuole
Assoluto, riassunto in un attimo eterno.
Mariuccia d’Angiò si concentra
sui volti perché intenta nella costruzione delle "espressioni", delle sfumature
che compongono le singole parti dei visi, alla ricerca del carattere vitale,
attraverso la loro bellezza senza tempo, luogo e sesso, indefinita nella
caducità dei tratti, sinonimo delle mille espressioni della bellezza di
Dio, intesa anche come le sensazioni ed i sentimenti che affollano la vita
dell’uomo.
La mobilità della luce,
a volte assorbita profondamente, spesso respinta dalle onde dei capelli
o dalle pieghe delle palpebre, rappresenta un’altra caratteristica indiscutibile
della plasticità dell’immagine, costantemente tesa verso l’ineffabilità
e la trasparenza, anche grazie alla natura stessa delle sanguigne e delle
crete, la cui tonalità è sempre aperta e indefinibile.
La luminosità ha una dimensione
assolutamente dinamica perché costruita intorno a quello che potremmo definire
il "tono su tono" delle linee, che si confondono con il colore opaco della
carta, in un rimando di pieni e vuoti vibranti sul supporto.
C’è un costante senso
di imminenza e fragilità in questi volti, che si perdono nella loro divisione
multipla, che si allontanano sul muro per rimanere tuttavia uniti e ricomporsi
come riflessi sull’acqua.
Così lo spettatore si
ritrova ad ammirare sensazioni, suoni e odori, che assumono il transitorio
aspetto di "ritratti immaginari", intesi come mezzi provvisori,che li rinchiudono
e forzano in una dimensione a cui non appartengono, trattenuti dalla gabbia
di linee e tratti costruiti dalle crete.
Come sussurri all’orecchio,
veloci e disarmanti, i volti in primo piano suggeriscono la loro natura
e le loro motivazioni, amplificate dalle dimensioni, che sovrastano lo spettatore
quasi a volerlo investire, come una brezza che si stacchi dalla parete.
Le opere esprimono quindi
la ricerca di quello che c’è oltre ciò che si può toccare, aprendo una finestra
al di là del tempo che passa, oltre le forme che possiamo prendere, oltre
la carta che possiamo disegnare, collegando la caducità dell’uomo con l’incorruttibilità
di Dio, in un movimento corale in cui l’immagine diventa domanda a cui solo
lo sguardo dello spettatore può rispondere.
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