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Anthony Fasciano
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Aspettando la Signora Rodriguez
Le pareti bianche sembravano essere strofinate
ogni giorno quasi fossero in costante pericolo di sporcarsi. Aperture di
porte dividevano l’androne simmetricamente, e agli estremi due brillanti
segnali rossi di uscita inviavano un pulsante ardore elettrico. Lettighe
vuote e un paio di sedie a rotelle erano vicine all’ ingresso insieme con
un quadro che, stimolante nelle intenzioni ma stemperato nel significato,
non attirava il minimo interesse. La sola cosa in fremito, o realmente importante,
era una piccola massa avvolta in uno scialle arancione da cui sporgeva una
intera testa di riccioli grigi, il tutto bardato dall’ acciaio e dalla gomma
della sedia a rotelle su cui era stata seduta per gli ultimi quindici minuti,
da quando un inserviente l’ aveva spinta sin la’. Il suo nome e’ Margaret
Fisher, da tre settimane ha superato la soglia che teneramente divide i
settantotto dai settantanove anni.
Il pensiero della eta’ spaventava immensamente
Margaret, perche’ si rendeva conto che in meno di un anno, quando le sarebbe
stata imposta la festa dell’ ottantesimo compleanno, sperando ci fosse arrivata,
sarebbero dovuti passare altri sette anni prima che nel computo dell’eta’
fosse comparso di nuovo un sette. Cio’ non era importante rispetto alla
sua attuale situazione, ma l’ idea di vivere in quello stato sino agli ottantasette
anni era, appunto, spaventoso, e lo era ancora di piu’ il fatto che, per
una qualche ragione, non sarebbe vissuta per vedere quella data arrivare
e passare. Nessuno nasce come paziente di cancro, ma dagli sguardi che riceveva,
sentiva che questo ormai era il ruolo che l’ accumularsi della vita le aveva
riservato. Un’ ombra sfioro’ lo scialle e le parole: "Signora Fisher" echeggiarono
nell’ androne. Lei non rispose, ma guardo’ nella direzione del suono che
aveva disturbato il silenzio. Un giovanotto, con addosso un camice bianco
e ai piedi moderne scarpe per correre, che dai lineamenti del volto Margaret
assunse potesse essere nella seconda meta’ dei suoi venti anni, venne al
suo fianco ripetendo le parole: "Signora Fisher", e aggiungendo: "Lei e’
la prossima". Lei annui’ col capo dicendo: "Va bene", mentre lui smosse
la sedia dalla sua inerzia e la spinse lungo l’ androne dentro un’ altra
stanza che sembrava familiare dalla settimana prima, ma non ne era sicura,
e la lascio’ in un’ altra zona di attesa nell’ intimita’ di tende che sui
due lati la separavano dagli altri pazienti anche loro in attesa dell’ esame
radiologico.
Mentre era spinta aveva notato che solo uno
degli altri cubicoli era occupato. Guardando di sfuggita aveva notato un
giovane su una sedia a rotelle e, al suo fianco, una donna che dall’ aspetto
sembrava essere la madre. Cio’ le aveva confermato che, malgrado l’ eta’
e il non essere sempre molto presente a se stessa, la vista era ancora una
delle ultime cose su cui poteva fare affidamento. D’ altra parte, nella
sua famiglia era stata sempre una donna influente sulla cui forza di carattere
tutti avevano contato; ma cio’ era durato sino a quando non era diventata
ufficialmente una paziente. Accidenti quanto odiava tutte quelle analisi
a cui era stata sottoposta durante l’ ultimo anno, e in special modo quegli
esami radiologici che richiedevano l’ assunzione di un liquido rossastro
dal sapore terrificante, cosa gia’ fatta quaranta minuti prima, e l’ iniezione
di una sostanza radioattiva, per poi essere inserita dentro una enorme macchina
che emetteva rumori paurosi insieme con continue vibrazioni interne, cosa
che avrebbe fatto da li’ a quando sarebbe arrivato il suo turno. Ma oltre
ad odiarli non sopportava l’ incombente sensazione di paura che la prendeva
nell’ attesa. Cerco’ di concentrarsi sul tessuto dello scialle arancione
che non aveva mai perso di vista da quando aveva lasciato casa due settimane
prima, o forse tre? Quello scialle era la sola cosa di un qualche conforto
che poteva tenere e che aveva portato con se’ da casa, evitando attentamente
le coperte dell’ ospedale, con la comprensione del personale che non tentava
piu’ di portarglielo via offrendole qualche altra malvista copertura. Attraverso
lo scialle poteva sentire la linea increspata delle bende sul bacino e si
avvili’ al ricordo dell’ operazione, il motivo scatenante della sua attesa
li’ alle undici di notte; durante il giorno vedeva familiari ed amici, ma
la realta’ della vita le aveva insegnato che qualche volta sei sola e, a
quell’ ora, questo fatto era opprimente.
Intanto veniva chiamato il nome Rodriguez,
Chris Rodriguez, e lei pote’ ascoltare il movimento proveniente dalle tende
due spazi piu’ giu’, e una sollecita voce femminile rispondere con l’ urgenza
di essere il prossimo e il tono deciso che una madre ha quando vuole assicurarsi
che il figlio riceva con sollecitudine la dovuta attenzione medica. Senti’
che la madre doveva rimanere e rimase li’, mentre il figlio andava con l’
infermiera dentro la sala di radiologia. Dopo questo movimento la stanza
era tornata ancora una volta in un silenzio mitigato solo dal rumore delle
machine da migliaia di dollari che in lontananza forzavano la visione di
organi interni. Una punta di dolore riaffioro’ e le ricordo’ gli eventi
delle ultime ore; lo svegliarsi con un insolito dolore nel fianco, il non
riuscire a raggiungere il pulsante di chiamata e l’ attesa nel buio sino
a quando i suoi gemiti sommessi non avevano attirato l’ attenzione di un
inserviente di passaggio nel corridoio; ricordo’ le medicine anti dolorifiche,
il dormiveglia seguente e la venuta del medico di guardia che, con la calma
sorprendente della consuetudine, le aveva ordinato un esame radiologico
di emergenza, come se non si trattasse di una misura eccezionale, ma di
una qualche occorrenza quotidiana, il che probabilmente era vero. Questo
l’ aveva impaurita talmente che in quel momento il suo stato di rifiuto
era divenuto tale che la sua condizione medica non sarebbe potuta peggiorare
piu’ di tanto.
Passi frettolosi tornarono alle sue orecchie
mentre ascoltava la madre del giovane paziente cercare di riscontrare la
situazione del figlio. Finalmente, dopo un concialiabolo con una infermiera
che riferiva come mancasse poco per la fine dell’ esame , la Signora Rodriguez
si affretto’ all’ altro lato della sala per sedere sulla prima di una fila
di sedie da ospedale e prendere una rivista, un vecchio numero di Gente
che risaliva a due mesi prima. Margaret non poteva vedere cosa fosse, ma
poteva percepire come la povera signora, sfogliando rapidamente le pagine,
leggesse le parole degli articoli cogli occhi, ma non fosse in grado con
la mente di preoccuparsi di cosa di fatto significassero. Per un momento
la Signora Rodriguez incrocio’ lo sguardo, fermo su di lei, della paziente
raccolta nello scialle arancione. Qualche attimo piu’ tardi poso’ la rivista
dove l’ aveva
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raccolta e si alzo’ per tornare pensierosamente
verso il proprio cubicolo vuoto. Passando davanti a Margaret, fece un passo
indietro, si volto’ e mentre un qualche saluto le si cominciava a configurare
sulle labbra, Margaret disse: "Salve, lei deve essere la Signora Rodriguez".
Cosi’ il saluto si trasformo’ in un sorriso e questo, quasi a mezzanotte,
inizio’ una conversazione e porto’ la signora Rodriguez a sedersi sulla
sedia vuota che era nel cubicolo.
Le racconto’ che il figlio aveva avuto a
che fare con un tumore durante gli ultimi sette mesi, che era stato trattato
con una qualche chemioterapia e che era vicino alla fine di una fase di
recupero dopo l’ ultima operazione. Margaret diceva molto poco di se stessa,
interessata come era a sapere di questo giovane di solo diciotto anni che,
come lei, stava combattendo un cancro. Entrambe si trovarono d’ accordo
nel constatare che negli ultimi tempi un po’ tutti finivano con l’ ammalarsi
di questo o quel tipo di cancro. Parlarono della loro avversione per i troppi
procedimenti ospedalieri e di quanto fosse assurdo che un paziente dovesse
attendere in un posto per poi continuare l’ attesa in un altro . La signora
Rodriguez sembrava avere sui cinquanta anni, ma Margaret aveva un riposto
sospetto che fosse una vittima di stress sui quaranta , o forse trenta.
Chiese come il figlio reagisse a tutti quei trattamenti, e, nei quasi dieci
minuti di conversazione, ogni aspetto di quella difficile situazione. Normalmente
Margaret era piu’ riservata, ma dalle generose risposte e da come la signora
Rodriguez si illuminava parlando del figlio, sentiva quanto quelle parole
fossero per entambe piu’ consolanti di quanto si sarebbero potute aspettare.
Cosi’ fini’ con il confidarle i propi timori ed in particolare, in un tono
riservato normalmente a familiari o amici, la paura di morire.
Segui’ il silenzio, e quindi il rumore del
movimento normalmente associato con gli ospedali, con il vitale spalancarsi
delle porte e l’ apparizione di Chris, il figlio della Signora Rodriguez,
spinto dallo stesso inserviente che aveva spinto prima lei. La Signora Rodriguez
fece cenno al figlio di avvicinarsi. Margaret cosi’ pote’ osservare in Chris,
mentre questi la guardava entrando nel cubicolo, gli stessi grandi occhi
della madre, ma anche come da essi l’ energia si fosse come asciugata. La
Signora Rodriguez gli disse: "Chris vieni a parlare con la Signora Fisher,
ti vuole fare qualche domanda". Margaret intanto notava il suo modo di muoversi
verso di lei e la gentilezza delle sue maniere nei suoi confronti.
Margaret gli chiese: "Chris, hai paura di
quelle machine? Perche’ a me fanno paura e anche male in quanto non sono
molto comode. La mamma mi dice che tu non hai paura, che tutto questo tempo
non hai mai avuto paura; immagino che lei abbia paura per te; lei sembra
molto ansiosa per te; sei un ragazzo fortunato, lo sai?"
Crhis esitava a rispondere, si guardava intorno,
guardava la madre e questa lui, sino a che, istintivamente, cercando di
non fargli pressione, la Signora Rodriguezsi si volto’ e usci’.
Chris finalmente, dopo aver raccolto le idee,
in qualche modo riflesse nella espressione del volto, le disse: "Signora
Fisher e’ vero, non ho paura; gli esami non sono tanto malvagi come sembrano
e finiscono prima che uno se ne renda conto", e dopo una pausa: "Io ho fiducia
nei dottori, mi hanno mantenuto in vita sinora e la medicina moderna e quelle
grandi machine sono piu’ sicure di quanto possano apparire", e dopo un’
altra pausa in cui lo sguardo vago’ dallo scialle arancione, al pavimento,
per tornare a guardarla, disse lentamente: "La sola ragione per cui sono
forte e’ per togliere ogni preoccupazione a mia madre, che e’, gia’ cosi’,
fin troppo impaurita". A queste parole segui’ il gesto di appoggiare la
mano sulla sua che stava stringendo lo scialle, e lei rispose appoggiando
a sua volta la mano libera su quella di Chris, e, sebbene non si fossero
mai visti prima, cosi’ come lei non aveva mai incontrato la Signora Rodriguez,
si guardarono per un momento nella maniera in cui solo due pazienti di cancro
si possono guardare, con la speranza che cancella dolore e paura.
Chris educatamente usci’ appena senti’ l’
infermiera chiamare: "Signora Fisher", e manovro’ le ruote della sedia sino
a ritornare dalla madre. Sebbene Margaret fosse di nuovo sola, senti’ per
la prima volta dopo lungo tempo che non avrebbe piu’ avuto paura e sorrise
quando vide la gigantesca macchina radiologica della General Electric che
occupava quasi l’ intera stanza. Chiese alla infermiera che le stava iniettando
la sostanza radioattiva se avesse mai incontrato la Signora Rodriguez o
se avesse mai parlato con il figlio Chris. L’ infermiera rispose di no e
lei, mentre chiudeva gli occhi aspettando che la macchina partisse, disse:
"Non dovresti aspettare per loro che ti parlino". Il calore scese lungo
il corpo, ed anche se si trattava solo di una sostanza radioattiva che esplorava
le sue vene, Margaret accolse con piacere la nuova sensazione.
Antonio Fasciano
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