Intervista a Pierluigi Mele
Signor Mele, le sue rappresentazioni teatrali segnano
paesaggi nuovi tra la musica e le immagini, tra le parole e i movimenti
della danza; che cosa vuole rappresentare nelle sue opere?
Ciò che più m’interessa é la suggestione, non la rappresentazione;
la mia ricerca é totale, supera il decoro per cercare la poesia in ogni
immagine.
Mi piace stimolare la visione, creare suggestioni senza
il dovere di insegnare, muovermi in continue ricerche; credo che l’unione
di parole e musica sia un modo altro di porsi nei confronti degli accadimenti,
senza fronzoli, ma con stimolanti suggestioni. Il mio impegno mira ad un
teatro civile, in cui la suggestione evocata da alcune immagini, come ad
esempio una cava abbandonata o una discarica, mostri una condizione mentale
e fisica di certi stati.
La memoria c’insegna che il teatro é un rito, pertanto
credo che sia necessario cercare delle emozioni che possano accomunare ed
evocare; per questo motivo do molta importanza, nelle mie rappresentazioni,
alla musica, perché solo con essa é possibile dire alcune cose, al gesto
minimo, che diviene grande perché é visto da tutti, e al viaggio comune
del corpo e della musica, ossia il teatro-danza.
Anche la voce é molto importante in questo percorso;
il modo di utilizzarla é intimo, mi piace invitare ad ascoltare e ascoltarsi.
La mia voce non carica mai di senso le parole, ma invita a ricercarle e
riscoprirle.
Da dove nasce questo bisogno d’intimità?
L’intimità deriva, prima ancora che dal teatro, dalla
scrittura di poesie; ma non é un bisogno né una forma, per me non c’é differenza
tra etica ed estetica.
La poesia é un modo di guardare e guardarsi attraverso
le parole che diventano immagini; é un gioco delle illusioni in cui le parole
nette, nude, leggere e definitive permettono di guardare oltre.
Nelle mie liriche non nomino mai i posti in cui vivo,
perché non m’interessa il folklore ma l’aria che si respira nei luoghi.
Credo che valga molto di più una poesia di Bodini, che parla del Salento
senza mai nominarlo, piuttosto che sterili esposizioni.
Credo che il compito della poesia sia quello di aiutarci
a guardare oltre; alcune volte può anticipare gli accadimenti o richiamarli,
altre ancora può sputare, se occorre, su tutto e tutti.
Uno dei suoi ultimi impegni l’ha portata sul palco del
festival di musica popolare “La Notte della Taranta 2005”; come é stato
il confronto con il pubblico?
Mi ha molto colpito trovarmi davanti a migliaia di persone
in rigoroso silenzio. Insieme ai Salentorkestra (una formazione che propone
composizioni originali e musiche tradizionali salentine N.d.R) abbiamo presentato
poesie e musiche originali; il pubblico ha dimostra la volontà di ascoltare
e vedere, e questo conferma che, se presenti un lavoro di un certo tipo,
la risposta é sempre positiva.
Il nostro lavoro, come quello di molti altri artisti,
testimonia il bisogno di tradire la tradizione, di giocare con essa per
continuare a farla vivere, di cercare nuove formule per rinnovarla.