Da piccolo era un bel bambino. Di quelli che potevi
portare in visita dalle amiche.
Sempre timido, salutava i signori e dava i bacini
alle signore. Stava seduto educatamente, rispondeva si e no e mangiava i
biscotti fatti in casa.
Aveva gli occhi sempre furbetti e immaginavi che sognasse
mondi lontani.
Era timido ed aveva pochi amici.
Man mano che passavano gli anni risultava sempre più
chiuso e diverso dai compagni di scuola. Abitava in un quartiere residenziale
della capitale, in una piccola strada esclusiva e tutti i ragazzi della
sua età avevano dei desideri che, anche se generalmente normali, erano di
una tragica omogenea banalità
In primo piano veniva il motorino, non uno qualunque,
ma proprio quello lì che tutti desideravano, che tutti adoravano. Il secondo
desiderio degli adolescenti del suo quartiere era che tutto l’abbigliamento
indossato fosse firmato.
Nessuno indossava più delle scarpe per camminare,
ma portavano ai piedi degli improbabili scarponcini sportivi di una determinata
marca americana.
Se non li avevi…beh, era dura farsi accettare! Figuriamoci
poi se i jeans non erano di quello o quell’altro stilista. L’unica alternativa
era che fossero tutti stracciati e vissuti.
E così le felpe, i giubbetti, le sciarpe e così via.
Possiamo immaginare il nostro giovane eroe che si
presentava a scuola vestito con dei jeans comprati al mercato dell’usato
e dei golf (possibilmente neri o grigi) di provenienza familiare. Leggi
"smessi dai fratelli".
Mentre
i compagni andavano alle feste e in discoteca, lui frequentava il gruppo
laico degli scout e trascorreva le ore dei lunghi pomeriggi invernali nella
bottega di Fabio, il falegname del quartiere dove aveva imparato ad amare
l’odore dei trucioli, delle colle e dei colori dati ai legni.
A casa sua tutti erano un po’ preoccupati. I suoi
genitori, laureati professionisti, sognavano anche per i loro tre figli
un futuro simile al loro. I primi due figli, un ragazzo ed una ragazza promettevano
bene, studiavano e non davano preoccupazioni.
Ma Andrea… non sapevano che pensare. Era un bravo
ragazzo, frequentava buone amicizie, ma amava solo le piante e gli animali
e soprattutto il mare.
Ma non come tutti. D’estate, sotto l’ombrellone, a
fare i tuffi con le ragazze.
Lui no, lui amava il mare. Punto. Ci andava quando
poteva e quando non c’era nessuno. A volte marinava la scuola e ci andava
tutto il giorno a passeggiare sul bagnasciuga, a raccogliere le conchiglie
piaggiate e i legni levigati dal mare che poi portava a Fabio e insieme
fantasticavano sulle forme da dare a quei pezzi di legno.
Passava ore seduto sulle dune di sabbia a guardare
il mare e sognare isole deserte.
Poi si iscrisse ad una associazione ambientalista
e da allora la sua vita cambiò.
L’unica persona della famiglia che lo aveva capito
fino in fondo e dal quale aveva appreso l’amore del mare, era suo nonno.
Vecchio ufficiale di Marina in pensione, nonno Alberto
aveva un debole per quel nipote così introverso che conosceva sin da piccolo
tutti i nomi dei pesci e che si commuoveva in primavera quando tutto era
in fiore e le strade del quartiere erano tutte rosa per i petali dei fiori
che ogni giorno cadevano a migliaia in terra.
Gli uccelli poi, non avevano segreti per lui. Li riconosceva
dal canto e ne aveva fotografati a centinaia.
Perché era fortunato ad abitare in un quartiere residenziale
si, ma al confine con un grande parco, polmone verde di quella parte della
città e residenza di innumerevoli specie di uccelli.
Nonno Alberto aveva raccontato al nipote, invece delle
solite favole di principi e draghi, vere storie di oceani solcati, di isole
e mari incontaminati, di scenari meravigliosi con tramonti mozzafiato.
Di pesci volanti e delfini amici. Ma anche di burrasche
e giornate così buie che non ci si vedeva di là dal proprio naso, mentre
infuriava la tempesta.
Ma da tutto quello che nonno Alberto raccontava, il
piccolo Andrea capiva che l’unico dio da amare e rispettare, da godere e
temere era il mare in ogni sua manifestazione e tutti i tesori che conteneva.
Nella bottega di Fabio segava, scolpiva, lucidava
i legni trovati a mare, cercando di rispettare sempre le forme originali
e creava delle piccole opere d’arte. Ora dava vita ad un delfino o ad una
balena, ora dal suo legno nasceva un gabbiano o una poiana.
Passava le ore a lucidare quei legni e sognare spiagge
incontaminate dove poter vivere.
Ma Andrea era un ragazzo dei nostri giorni, sapeva
che era necessario guidare la macchina, usare il computer, avere un conto
in banca, cercare un lavoro. e così prese la licenza liceale, classica ovvio,
e si iscrisse a filosofia.
Un giorno alla televisione vide un servizio giornalistico.
Parlavano della cura dell’ambiente marino, della pulizia dei fondali e delle
spiagge, della salvaguardia della natura circostante e della necessità che
ci fossero dei volontari per occuparsi di tutto ciò.
Andrea rimase a bocca aperta a seguire tutto il servizio.
Gli sembrava impossibile che ci fosse qualcuno che parlava il suo linguaggio
e che sembrava che lo chiamasse personalmente. Altro che televisione interattiva!
Il successivo servizio sul "falco pellegrino" gli
servì per prendere la decisione della sua vita. Quella era la sua strada.
Il suo primo incarico serio fu quello di seguire un
gruppo di ragazzi di varie scuole per una settimana di vacanza-studio in
un’isola e nel suo arcipelago.
Partì con loro un giorno di fine settembre e passò
i sette giorni più faticosi e belli della sua vita.
Era la prima volta che andava laggiù e fu amore a
prima vista.
A settembre il mare ha un colore speciale: è più blu,
a volte un po’ viola ed il suo profumo è più intenso.
I turisti erano andati via quasi tutti ed in mare
c’erano soltanto piccoli gozzi di pescatori che rientravano la sera attraversando
il mare dorato del tramonto.
Con alcuni barconi che i mesi precedenti erano stracolmi
di accaldati turisti, ogni giorno usciva con i ragazzi e le guide marine
del Parco che mostravano loro le isole deserte dell’arcipelago, le cale
più segrete, le spiagge più bianche.
Il mare che vedeva era diverso da tutto quello che
aveva visto fino allora.
Aveva un colore speciale, difficile da descrivere
e un profumo formato da un mix di alghe, mirto e ginepro, unico al mondo.
E su una di quelle barche, la più bella, perché era
un veliero tutto ottoni e legni pregiati, con tanto di polena a prua, mentre
un ragazzo suonava la chitarra e il suo sguardo era attratto da un cuore
inciso sul legno di una panca, con dentro due lettere "P e B" e una data,
Andrea prese la decisione.
Sarebbe rimasto lì per sempre. Avrebbe trovato il
modo per vivere, quello era il posto sempre sognato.
Tornò in città come drogato. Gli sembrava di vivere
in un’altra dimensione. Raccolse le sue poche cose, trasferì tutti i suoi
risparmi, prese il suo binocolo, le sue pinne e tutta l’attrezzatura da
sub, salutò tutti con una fitta al cuore soprattutto quando abbracciò Fabio
e il nonno Alberto e, dopo qualche settimana, senza nessuna incertezza,
tornò nell’isola madre dell’arcipelago.
Dopo qualche giorno aveva già un amico.
Maurizio, un ragazzo un po’ più grande di lui e con
una vita difficile alle spalle.
Era stato un buon marinaio, aveva passato interi mesi
in barca per portare operai, materiali ed ingegneri, a volte con le loro
famiglie e allora cucinava il pesce fresco, in alcune isole dove erano state
costruite delle colossali opere in galleria dai militari.
Il lavoro era duro e gli orari impossibili e lui era
un ragazzo combattuto tra il piacere di una bella pescata, la raccolta delle
bacche di mirto per farne il liquore più famoso dell’isola, dalla ricetta
di sua nonna Ida, e il desiderio di essere un ragazzo come gli altri che
si vedevano in televisione. Desiderava vedere i film che non sarebbero mai
arrivati, frequentare i locali che non esistevano e di ascoltare la musica
americana. In una grande città sarebbe stato un ragazzo come tanti.
Ma lì su quell’isola, con il suo duro lavoro e i suoi
sogni, un giorno accettò una bustina di polvere da un soldato americano.
Da allora erano passati gli anni. Aveva toccato il
fondo, era stato due anni in una comunità per ritornare a vivere e lì aveva
conosciuto Brigitte.
Insieme avevano nuotato per risalire la corrente e
avevano capito di avercela fatta quando era nata Sara, bella come un piccolo
fiore di primavera mora come il
papà ma con gli occhi azzurri e profondi come la mamma.
Maurizio trovò un lavoro da Biosa il fornaio e Brigitte
creava e vendeva dei gioielli fatti con fili d’argento e lucide pietre dure.
Andrea fu accolto come un fratello e visse con loro
quel primo inverno.
Ogni tanto, quando il tempo era buono, con Maurizio
andava in mare a pesca o a fare un giro, come dicevano loro.
Così imparò a conoscere tutto l’arcipelago come le
sue tasche. Divenne amico dei pescatori e dei faristi.
Tutti lo conoscevano e apprezzavano e poiché lui era
umile e volenteroso, aiutava tutti ed apprendeva i segreti del mare. E siccome
veniva, non solo dalla capitale, ma proprio dai quartieri alti, i marinai
lo avevano soprannominato " il Principe."
Ma di tutte quelle isole, quella che lo affascinava
di più era Spargi. Così grande, rispetto alle altre, e solitaria, imponente
e piena di mistero.
Aveva le spiagge più belle e le cale più trasparenti
che si potesse immaginare. Ma l’interno era così selvaggio!
Alcuni dei suoi scogli, a guardia delle cale più suggestive,
erano meta di tutti i turisti per la particolarità delle forme scolpite
dal vento: il profilo della Strega, l’Italia o il Bulldog.
Andrea passava delle ore sulla strada panoramica a
guardare da lontano la "sua isola" e fantasticare.
Finché un giorno notò una barca che si allontanava
da una cala dove c’era un pontile diroccato ed un rustico appena nascosto
dai ginepri.
Seguì la barca con lo sguardo perché il mare era agitato,
finché non la vide ormeggiare al porto, poi non ci pensò più.
Qualche giorno dopo rivide la stessa barca che compiva
lo stesso tragitto e, curioso, chiese a Maurizio di chi fosse.
Il suo amico gli spiegò che sull’isola c’erano diversi
ruderi disabitati, ma il rustico che si trovava a Cala Ferrigno era l’unico
che avesse il permesso di abitazione. Un architetto del continente lo aveva
acquistato ed aveva intenzione di ristrutturarlo. Anzi, lui era stato incaricato
di trasportare con la sua barca, del primo materiale proprio la settimana
successiva.
Andrea attese quel giorno con una trepidazione inconsueta.
Guardava il calendario e ogni giorno scendeva al porto a vedere se arrivava
la barchina dall’isola. A volte la vedeva arrivare e così già conosceva
di vista l’architetto e la sua giovane fidanzata.
Finché il giorno stabilito, aiutò Maurizio a caricare
la barca di sacchi di cemento e i due amici si misero in marcia verso Cala
Ferrigno dell’isola di Spargi.
Scaricarono assieme il cemento e lui si offrì di cucinare
il pesce pescato dai giovani proprietari.
Così fecero amicizia e i due apprezzarono molto quel
giovane così riservato e pieno di sapere.
Dopo pranzo Gianni e Lalla, così si chiamavano, si
riposarono un po’ e i due amici si addentrarono tra la macchia mediterranea
di lentisco, ginepro e un mare di corbezzoli pieni di fiori e frutti, fino
in cima alla collina che sovrasta l’isola. Visitarono il fortino, ricordo
dell’ultima guerra, videro il panorama e i cinghiali selvatici e Andrea
si innamorò perdutamente.
Chiese ed ottenne di lavorare lì alla ristrutturazione
del rustico.
Passò giorni e giorni a studiare progetti, a visionare
materiali, ad acquistare attrezzi.
In paese fece anche un altro incontro fulminante:
Elsa, piccola cagna bastardina e randagia, nera e bianca scacciata da tutti
e per questo amata di più.
Con i soldi avuti in anticipo riuscì a comprare un
vecchio gozzo tutto rattoppato e con un motore che era un azzardo chiamarlo
così.
Ma lui era felice. Ci lavorò giorno e notte assieme
al suo amico e alla fine, a forza di legno, catrame, vernice e amore, la
barca diventò bellissima, almeno per i loro occhi.
Era tutta bianca con delle strisce azzurre.
Proprio intonata alla casa in cui lavorava che doveva
essere spartana, tutta bianca con solo qualche tocco di blu.
Poi venne il giorno del varo e si decise di darle
anche un nome: il più appropriato. Fu chiamata "Principessa".
Durante il giro di inaugurazione, a cui parteciparono
Maurizio, Brigitte, la piccola Sara e, ovviamente Elsa sull’estrema prua
come un’antica polena, tutti si sentivano vecchi armatori.
Fu una giornata magnifica, fecero un pic-nic sul mare,
visitarono tutte le isole, uno sguardo alla Spiaggia Rosa, una puntata nel
Porto della Madonna dove l’acqua è talmente azzurra e trasparente che sembra
di stare in Paradiso poi, per il Passo del Topo, dove sembra che la barca
tocchi il fondo, una passata a Corcelli e Barrettini e poi, nel primo pomeriggio,
dietro front e rientro in porto perché la piccola Sara non prendesse tanto
fresco.
la giornata non poteva essere completa se anche la
natura non avesse festeggiato la "Principessa".
Ma Sulla via del ritorno, proprio all’altezza di Spargi
e la Madonnetta, mentre l’allegra comitiva cantava Battisti, dal mare uscirono
due delfini.
Elsa sgranò gli occhi ed iniziò ad abbaiare e i due
magnifici delfini saltarono e giocarono felici attorno alla barca, accettarono
delle sardine lanciate e poi, addio, un ultimo tuffo e poi sparirono lontano.
Appena arrivati al porto, Andrea tirò a secco la barca
e disegnò a prua, su di un fianco, due delfini grigi e azzurri. Da allora
furono l’emblema della barca.
Andrea lavorava sodo, come se la casa fosse sua. Imparò
mille mestieri: faceva il muratore, il pittore, il piastrellista, l’idraulico
e il giardiniere.
Ogni particolare era curato con amore: le porte erano
incorniciate di blu come le piastrelle dei pavimenti. Sul camino troneggiavano
dei tronchi portati dal mare, sapientemente scelti, modellati e lucidati.
Come sarebbe stato orgoglioso di lui il suo amico Fabio!
I gradini furono ricoperti di vecchi cotti e poi il
giardino.. tutto intorno andava prendendo forma. Nel suo andirivieni dall’isola
madre portava sempre un trofeo: un geranio di un colore particolare regalato
da Caterina, una pianta grassa che fioriva in autunno, dono della Signora
Osvalda, un piccolo rampicante carico di fiori, consigliato da Corrado.
Su questo Gianni e soprattutto Lalla, gli davano carta
bianca. Riconoscevano in lui l’esperto.
Man mano che passavano i giorni i lavori progredivano,
lentamente ma si vedevano i passi fatti.
Gianni e Lalla erano partiti e così lui si trasferì
a Spargi con l’incarico di proseguire nei lavori e badare alla casa.
Andrea toccava il cielo con un dito. Pensate, lo pagavano
pure per realizzare il suo sogno!
Ogni due o tre giorni metteva in moto la barca, attraversava
quel piccolo tratto di mare e ormeggiava a Cava Francese. Elsa impazziva
dalla gioia. Ritrovava due amici bastardini come lei, di proprietà di Geppo
che aveva una casetta proprio lì all’imbocco della Cava di granito, ormai
in disuso e che aveva visto tempi migliori.
Un tempo alla Cava si ricevevano commesse da tutto
il mondo. Pare che avesse fornito il granito per costruire la Statua della
Libertà a New York.
Ancora oggi ci sono le rotaie e i carrelli che trasportavano
i massi di granito all’imbarco, direttamente sui pontili.
Da un lato ci sono ancora le baracche degli operai
e i macchinari dell’epoca, quasi come vecchi giganti pronti a difendere
la Cava.
Andrea ormeggiava lì la sua Principessa, gli piaceva
di più del porto, e poi a piedi con Elsa che correva felice avanti e indietro,
arrivava in paese, faceva le spese necessarie, salutava gli amici e tornava
nella "sua isola".
Pian piano tutti avevano preso a chiamarlo Andrea
Principe di Spargi, perché da allora sono passati quattro anni e lui è sempre
lì, per dieci mesi l’anno, sempre sulla "sua isola", padrone indiscusso.
Sull’isola oggi c’è un pontile nuovo ed un gruppo
elettrogeno, quindi può far funzionare il frigorifero ed ogni tanto si può
permettere il lusso di usare la lavatrice. Ma la sera viene illuminata sempre
dalle candele e lumi a petrolio.
Il primo Natale di questa strana vita, mamma e papà
gli hanno fatto un regalo importante, un telefonino potentissimo con cui
poter comunicare in qualsiasi momento e con ogni condizione atmosferica.
Ma nonno Alberto era stato insuperabile: gli aveva regalato un "baracchino"
con il quale, piano piano, aveva imparato a comunicare con tutto il mondo.
Durante il giorno fa lunghe passeggiate con l’inseparabile
Elsa in esplorazione delle zone ancora sconosciute oppure, seguendo sentieri
già battuti, va alla ricerca ora di funghi commestibili, ora di erbe o fiori,
a volte si siede su di un vecchio tronco e con il binocolo osserva gli uccelli
nei loro rituali o scruta l’orizzonte. Ogni giorno cura le galline, zappetta
l’orto e ne raccoglie i frutti. La sera legge o, per mezzo del suo prezioso
baracchino, parla con altri radioamatori scambiandosi le proprie esperienze.
C’è un problema che ancora non riesce a risolvere:
i cinghiali. Da qualche anno ce ne sono tanti su Spargi, forse troppi. Alcuni
sono diventati amici: c’è Nicolino e Peppino, una coppia di buontemponi
che d’estate, scendono fino al mare a giocare con i bagnanti, ma ce ne sono
alcuni, non cattivi, ma indisciplinati sì.
Ogni tanto il giardino della casa o l’orto vengono
completamente devastati dalle scorribande di alcuni cinghiali, sui gerani
viola, sull’insalata. Tutto buttato all’aria alla ricerca di tuberi. Una
volta, d’inverno, ha trovato anche una gallina uccisa.
Quando Gianni e Lalla decidono di passare qualche
giorno in quel Paradiso, Andrea li va a prendere all’aeroporto e poi, arrivati
a Spargi, li lascia soli nella loro casa e si rifugia nel fortino in cima
alla collina, dove si è attrezzato una stanza con tutte le poche comodità
di cui lui necessita.
Certo che la lunga esperienza scout fatta da ragazzo
gli è servita e non poco!
Nei mesi di Luglio e Agosto, quando i turisti arrivano
in massa e le "sue spiagge" diventano piene di romani, milanesi, francesi
e chissà chi altri, lui piano piano, prende la sua "Principessa", Elsa,
uno zaino e torna a casa, nella capitale semivuota e quindi bellissima.
Rivede gli amici e aspetta Settembre.
Una sera d’inverno, mentre fuori c’era un vento che
faceva volare, tipico dell’arcipelago, lui con il baracchino si mise in
contatto con Lucia.
Per la verità l’aveva già sentita qualche volta e
si erano scambiati delle idee. Lei abitava nell’isola di Capraia ed era
figlia del guardiano del faro e si trovava in perfetta sintonia con lui.
Quella sera Andrea prese il coraggio a due mani e
le propose in incontrarsi. Lei accettò e si decise che venisse lei perché
non era mai stata da quelle parti.
Così, un tiepido giorno di febbraio, lei arrivò radiosa
come il sole, allegra come il vento, pulita come l’aria.
Conobbe quello strano ragazzo che viveva da solo su
di un’isola.
Fu ospite di Maurizio e Brigitte. Rimase affascinata
da Elsa, dal mare, dalla affollata solitudine di Spargi. E si innamorò di
Andrea.
Ogni tanto si scambiavano le visite e durante l’estate
si incontravano dai genitori di lui e si tuffavano nella civiltà godendo
delle belle iniziative estive offerte dalla grande città. Andavano al cinema
tra gli antichi monumenti, vedevano le mostre, ballavano nei parchi e seguivano
gli spettacoli all’aperto.
Si divertivano molto a comprare cianfrusaglie nei
mercatini e immagazzinavano nei loro cuori mille esperienze da centellinare
per tutto il resto dell’anno.
Questo settembre, alla fine della lunga ubriacatura
estiva, sono partiti insieme e sono tornati a Spargi per vivere lì insieme,
finché ne avranno voglia.