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BIANCA D'ANNA

[Andrea principe di Spargi] [Il faro bianco] [Isola del pesce] [Niccolai dei gabbiani] [Il guerriero]

NICOLAI DEI GABBIANI

 

Tutte le sere, appena il sole non bruciava più sulla pelle e più gentile iniziava a prendere quel colore arancio che presto avrebbe dipinto il cielo, ogni sera, come un quadro sempre unico, quando le barche con i turisti ubriachi di sole, di mare, con i corpi color terracotta, lucidi per le troppe creme, iniziavano a rientrare in porto e i discorsi di tutti richiamavano appuntamenti per una sera e una notte d’estate indimenticabile e sempre uguale se stessa, cento gabbiani iniziavano ad agitarsi, riunirsi, addensarsi e ritrovarsi in un’ansa del porto riservata ai piccoli gozzi dei pescatori dell’isola.

Legni di mille colori e dai nomi che richiamano alla mente una donna amata, un santo protettore o rubati alla fantasia.

C’era una barchina pulita, bella, tutta bianca con delle righe rosse, elegante che si chiamava "Carulì", una tutta blu con una fascia bianca che si chiamava "Daniela", un’altra bianca e blu con una bella targa di ottone tutta scurita dal mare con su la scritta "S. Michele".

Ogni barca avrebbe potuto raccontare storie incredibili di mare, delfini, burrasche, amori e pescate memorabili.

Ogni pescatore, con il viso bruciato dal sole e dal salmastro, la sera in banchina o al bar del porto, davanti ad un buon bicchiere di Vermentino (ma di quello vero, non roba da turisti!) era disposto a raccontarti storie di ricciole grosse come balene e di orate come delfini.

Ma tutti diventavano vaghi e un po’ schivi quando dovevano rispondere a domande sull’Uomo dei Gabbiani.

Tutti erano d’accordo a dirti che era un po’ matto, che dopo un naufragio subìto quando era giovane, non era più lo stesso, che la sua testa non era più a posto, pensa.. che parlava di vivere solo per i gabbiani!

Ma una sera, d’inverno, Alfredo, un vecchio marinaio un po’ grasso e con pochi denti, che quando camminava dondolava sempre un po’ di qua e un po’ di là e con un passato di pesca di frodo sulle spalle, al bar del porto, mentre alcuni giocavano a carte ed altri fantasticavano sui calamari e le aragoste pescate in quell’anno, si decise e finalmente raccontò la storia di Nicolai dei Gabbiani.

Oggi nessuno sapeva più esattamente il suo nome. Aveva quel soprannome da sempre, nessuno sapeva da quando, ma una cosa era sicura come il sole e il mare: che tutte le sere poco prima del tramonto, quando tutti pensavano a rientrare in porto, Nicolai usciva con la sua incredibile barca, circondato da cento gabbiani reali, alcuni appollaiati sui legni della barca, altri in volo sopra ed altri ancora a seguire, poggiandosi ogni tanto in mare ad acchiappare un connero, un’occhiata di passaggio.

Alfredo giurava che potevi rimettere l’orologio quando vedevi partire quel gozzo bianco e azzurro con una tenda bianca, come per dormirci, dalla quale usciva una grossa barba rossa come quella di Garibaldi e sopra una massa ci capelli ricci, anch’essi dovevano essere stati rossi, tenuti a bada da un cappelluccio di lana blu.

Ed era tutto uno stridere di gabbiani che mentre iniziavano quel viaggio quotidiano verso il tramonto, raccontavano a Nicolai quello che avevano visto, mangiato e vissuto in quella giornata.

Nicolai sorrideva e dispensava sardine e pastone con il formaggio ai più ardimentosi, incitava gli uni e scherzava con gli altri.

Ma il boccone più ghiotto lo dedicava al Re, come lui lo chiamava.

Il Re era un gabbiano speciale. Bianco e grigio forse come gli altri, ma più altero, con un’apertura alare superiore a tutti, con un carisma riconosciuto da tutti i gabbiani delle isole.

Era il Capobranco e si poggiava sulla spalla di Nicolai.

Guardava gli altri che si affannavano a guadagnarsi ogni piccolo pezzetto di pane o litigavano fra loro urlando per una testa di pesce.

Lui no. Lui volava più in alto di tutti, più veloce e sapeva rallentare quasi a restare sospeso in aria a scrutare il mare e in un attimo giù, si tuffava e il pesce non aveva scampo: era suo.

Quando la barchina così circondata, arrivava sotto la Madonnetta, messa li su di uno scoglio per proteggere i marinai, Nicolai, piegando leggermente il timone, si dirigeva lentamente verso Spargi, seguendo la rotta dei calamari, mentre il mare diventava di fuoco e la barca sembrava scivolasse in mezzo ad un incendio di velluto.

Nicolai raccontava ai suoi gabbiani tutto quello che era successo in paese.

Raccontava di quei pazzi dei compaesani che dimenticavano ogni giorno di più di essere isolani e figli del mare, che giravano tutti in macchina e che per fare, pensate, 200 metri di strada, dalla Bottega del Nodo con la stazione meteorologica fino al mercato del pesce insomma, certi giorni ora ci voleva anche un quarto d’ora, tutti seduti dentro quelle scatole di latta, sempre più grosse e costose. Quando da ragazzi tutti giravano l’isola a piedi conoscendone tutte le cale e i sentieri pieni di fichi per arrivarci!

Mah, che tempi strani viviamo diceva Nicolai. Una volta c’erano pochi negozi e senza fronzoli. C’era quello di Berto che vendeva gli ami e le reti, dove si passavano le giornate di burrasca a raccontare prodezze, c’era quello delle sorelle Lena che vendevano i chiodi per riparare le barche e le vernici per farle più belle, c’era quello che vendeva il pane ed il formaggio.

Oggi i vecchi negozi sono stati sostituiti da altri scintillanti e pieni di cose bellissime, colorate ma in fondo inutili.

Raccontava dell’odore del mare che avevano le vecchie case, piene di nasse e di reti, dove qua e là potevi trovare un remo o un pezzo di timone, ma dove c’era sempre l’uscio aperto e qualcuno che ti invitava ad entrare.

Quelle dei compaesani che usavano le macchine, invece, erano tutte lustre di granito lucido, con i mobili finti antichi e il salotto buono.

Le porte erano sempre sbarrate e chiuse a doppia mandata, perché non si sa mai, qualche malintenzionato poteva portar via tutte le loro ricchezze.

Nicolai rideva e i gabbiani stridevano. La sua ricchezza era lì.

Era la sua barca e i suoi gabbiani.

Ma non era stato sempre così.

Nicolai era stato giovane. Era bello. Con i capelli rossi e ricci, con il suo fisico robusto e non grosso, alto e allegro, faceva girare la testa a tutte le ragazze dell’isola.

Aveva la sua barca ed era un bravo pescatore. Ogni sera portava a secco la barca piena di pesce pregiato. All’asta spuntava buoni prezzi e così si era comprato una bella casina tutta celeste come il cielo e piena di sole.

Aveva due belle camere quadrate che man mano si riempivano di mobili fatti durante le lunghe giornate d’inverno con i tronchi tagliati nei boschi.

E così era nato un tavolo bellissimo di legno di eucalipto, rosso come un legno americano.

Nicolai aveva scolpito con un coltellino le fasce laterali e le zampe che aveva voluto terminassero come dei piedi dentro le scarpe e sopra aveva appoggiato un piano per poter cenare con gli amici. Perché Nicolai aveva tanti amici; gli piaceva scherzare e aiutare gli altri. Per questo tutti gli volevano bene e le mamme speravano che sposasse una loro figliola.

Poi venne la guerra e quelli furono giorni neri per tutti. Prima si pensava che quaggiù, dimenticati da Dio, nessuno potesse pensare a loro. Poi arrivarono le bombe perché, meschini, non avevano calcolato che l’isola era quasi al confine.

Nicolai, assieme agli altri giovani del paese partì e andò in terre a lui sconosciute. Combatte per una patria che riconosceva con difficoltà ma che amava con tutto l’ardore della sua giovinezza.

Poi, come Dio volle, la guerra finì, Nicolai ritornò nell’isola. Emozionato e tremante come un bambino, uscì il primo giorno in barca nel suo mare e scoprì che era il più bello del mondo, più profumato e azzurro di tutti gli altri mari. Che le spiagge delle sue isole erano le più belle e colorate di tutte quelle che aveva visto e sì che ne aveva visti di mari e spiagge negli anni della guerra!

Tornato a casa, Nicolai cominciò a guardarsi intorno.

Lui cresciuto senza padre né madre, ma con un vecchio nonno che nel frattempo era morto, adesso, stranamente, a volte si sentiva solo.

Così iniziò a costruirsi una bella stanza da letto. Due comodini ed un comò per la biancheria, un bel letto comodo ed una specchiera con un pettine d’argento.

Perché Nicolai voleva proprio lei Rosa, la più bella del paese. Figlia di pescatori, con i capelli neri neri come il catrame e due occhi luminosi come stelle. Le labbra rosse come il corallo e le gambe svelte e nervose che correvano sempre via quando lui si avvicinava.

Tutti i ragazzi del paese le facevano la corte ma lei li rifiutava.

Saltava sugli scogli e faceva "marameo" a tutti. Rosa sapeva di essere bella e teneva tutti sulla corda.

Il farmacista le regalava profumi, il fornaio faceva dei dolci per lei e spesso sul gradino della porta di casa la mattina c’era un fiore o una stella marina rossa come il sangue.

Ma lei rideva. Prendeva i regali, diceva forse… e sognava Nicolai.

Nicolai, bello, simpatico, sapeva che finche non avesse completato i mobili della casa e messo da parte un gruzzolo di denari non poteva mandare le comari a chiedere per lui, la mano a Pietro, padre di Rosa.

E così usciva che era ancora buio con la barca e pescava tutto il giorno, spingendosi lontano. Tornava la sera, vendeva il pesce e soddisfatto rientrava a casa passando sotto le finestre di Rosa, fischiettando.

Lei sorrideva e rientrava in casa e lui rinfrancato dal suo sorriso e contento della sua ritrosia, lavorava il legno di pero per la camera da letto e intagliava onde, barche, delfini e gabbiani perché al mattino, appena sveglio voleva vedere le cose che amava di più.

A maggio, quando il mirto iniziava a fiorire e cespugli di margherite gialle facevano da cornice a tutte le strade e anche a qualche barca in secca sulla spiaggia, in paese ci fu un grande andirivieni.

Le comari facevano la spola dalla casa di Nicolai a quella di Rosa per mettere a punto i termini dell’accordo e, soprattutto, vincere la resistenza di Pietro, geloso dell’unica figlia.

Rosa, dal suo canto, non faceva altro che correre avanti e indietro per comprare tela e trine.

Il curato si faceva vedere sempre più spesso al borgo dei pescatori per convincere Nicolai a sentimenti Cristiani.

E soprattutto giravano senza sosta le chiacchiere del paese. Ognuno voleva dire la sua e partecipare a quella grande festa che c’era nell’aria.

Finalmente arriva il gran giorno. La chiesa è parata a festa.

Sul Sagrato un Nicolai irriconoscibile chiuso in un vestito scuro come un antico guerriero nella sua armatura e i ricci tutti pettinati e tenuti a bada da una lozione profumata.

Poco dopo arriva la Rosa con un codazzo di parenti.

Bella come non mai, tra due ali di paesani affollati al lati della piazza della Chiesa. Avvolta in una nuvola di velo, ne aveva voluto uno sproposito, il viso rosso per la camminata a piedi e l’emozione e un profumo speciale di mare e di isola attorno a se.

Nicolai aveva voluto per lei il più bello dei mazzi di fiori, il più semplice ma il più tipico: un intreccio di odoroso mirto in fiore.

I primi anni furono splendidi, volarono in un attimo perché Rosa non solo era bella ma anche una tenera compagna.

Spesso accompagnava il suo uomo in mare ed ecco perché Nicolai aveva attrezzato quella sorta di tenda sulla sua barca: per fa riposare ogni tanto la Rosina e proteggere la sua pelle dai raggi del sole più cocente. E insieme pescavano, mangiavano e si riposavano in quella sorta di casa galleggiante.

Non si sentivano le scomodità delle rudi assi di legno, né la fatica di tirare su le reti, in due era tutto più facile e anche più bello.

Erano stupendi i lunghi bagni che facevano assieme per scoprire le tane dei pesci più grossi.

A volte, quando lui si spingeva lontano oltre il confine, e c’era anche pericolo, la lasciava nell’isola di Razzoli presso il faro dove c’era Benito, guardiano del faro più lontano, e Gina la giovane moglie.

Rosa faceva lunghe passeggiate con Gina e raccoglieva la legna spiaggiata dal mare per portarla casa per il camino.

 

Gina era contenta di vedere un’amica che le raccontasse cosa succedeva in paese.

Poi, insieme cucinavano il pesce che pescava Benito e aspettavano il ritorno di Nicolai..

Nicolai sempre da quelle incursioni marine portava a Rosa ora una stella marina rossa come il fuoco, ora conchiglie stupende che lei indossava come gioielli preziosi.

Ma le comari non erano contente. L’invidia le rodeva quando a sera rientrava quella barchetta pesante per il pesce e piena d’amore e di allegria.

E così cominciarono a dire che una donna in mare, alla lunga porta sfortuna, che per forza che non venivano i figlioli, con una donna così strana che conduceva una vita impossibile.

Sulle prime Rosa e Nicolai ne ridevano, poi durante i lunghi inverni, quando lei stava a casa ad aspettarlo, Rosa cominciò ad apprezzare le comodità del paese, finche in mare non ci andò più.

Ma era una donna inquieta. In casa non ci stava volentieri e così usciva a fare compere e andava a trovare le amiche come una volta quando era ragazza.

Ma le amiche ormai erano tutte madri di famiglia e tempo per la bella Rosina ce n’era pochino.

Così, piano piano, cominciarono a farsi avanti i vecchi corteggiatori e i nuovi sfaccendati.

Chi era disposto a portarle la sporta della spesa, chi era pronto a riparare quella serratura della porta che cigolava talmente e Nicolai la sera era troppo stanco per ripararla. E nessuno voleva mai accettare niente in cambio, ne’ denari ne’ un bicchiere di vino.

Erano tutte amicizie innocenti ma il paese già mormorava e quando la sera, Nicolai entrava al bar del porto per bere in santa pace con gli amici un bicchiere di vino, all’improvviso cadeva il silenzio e gli amici più cari, con una scusa, andavano via.

Lui si straniva, tornava a casa ed era nervoso.

Lei che l’avrebbe voluto tutto per se’ come una volta, doveva dividerlo con l’uggia che lo divorava e andava a letto indispettita.

E un giorno in cui le reti erano così gonfie da far pensare che a sera con il ricavato di quel pescato avrebbe potuto finalmente comprare quegli orecchini con una goccia di corallo che tanto piacevano a lei, all’improvviso il motore cominciò a sbuffare, poi si fermò del tutto, poi ripartì e poi si spense. Nel frattempo in cielo arrivavano dei nuvoloni ed il mare cominciò ad agitarsi.

Rientrò con mille difficoltà, un po’ con il motore al minimo, un po’ a remi, a metà mattinata e a casa non trovò nessuno. Attese l’ora di pranzo, mangiò qualcosa, poi il tramonto. Verso sera, poco prima dell’ora in cui lui sarebbe dovuto tornare come al solito, vide Rosa in fondo alla via che tornava correndo, agitata. Le comari al suo passaggio si giravano e tiravano via i bambini.

Lui vedeva dalla finestra tutta la scena, come a teatro, e cominciava a capire.

Finche lei entrò, ancora ignara della sua presenza, tutta affannata, rossa in viso ma mai quanto le due gocce di corallo che le pendevano alle orecchie.

Lo vide e, soffocando un grido, divenne all’improvviso verde come il vestito nuovo ed elegante, ma sconosciuto per lui, che indossava.

La sera stessa tornò a casa di suo padre e dopo qualche giorno nessuno la vide più in paese. Si mormorava che fosse andata in continente. Alcuni dicevano, pietosamente, da una parente; altri, più diretti, con il suo amante. Uno di fuori.

Nicolai riprese la sua vita normale. La mattina a pesca, la sera al bar, dove beveva un po’ di più.

Sembrava tutto normale. Però si sa, quel genere di dolore, sopportato per un amore come il suo, totale e bruciante, atteso da sempre, è il più devastante che esista al mondo. E’ superiore ad un lutto, anche alla perdita di un figlio.. anche se non sembra.

E così Nicolai, apparentemente viveva come prima, ma era come reciso dentro e in realtà aveva smesso di sorridere, a volte non ricordava più le cose. Non aveva più voglia di fare festa, ne’ parlava con nessuno.

Pian piano si stava spegnendo la sua voglia di vivere e sicuramente sarebbe morto se non fosse stato per loro. I gabbiani.

Da sempre, a sera, al rientro all’isola, era seguito dai gabbiani in cerca degli scarti del pescato. E lui, poco alla volta, si era abituato a parlare con loro, a raccontare le sue pene e il suo dolore.

Sembrava che loro capissero, che si ricordassero della bella Rosina che quando andava in barca con lui portava sempre qualcosa per loro. E così, piano piano, solo loro erano i suoi amici.

In paese si cominciò a notare ogni giorno di più la sua stranezza. Parlava da solo. Era sempre irascibile.

E a pesca non andava quasi più.

I giorni di festa e di burrasca stava sempre rintanato in casa a cucire le reti e a bere, non andava più al bar dove era compatito.

Ma ogni sera, qualunque sera, con qualunque tempo, sotto la pioggia o la grandine, prendeva la sua barchina così piccola e strana con la sua tendina e usciva, andava verso la Madonnetta e poi dritto su Spargi, sulla rotta dei calamari. Portava un pastone fatto di pane, formaggio e pesce e lo dava ai suoi amici che lo accoglievano con strida di gioia e di festa.

E lui raccontava loro di Rosina, di lei che aveva inventato quel cibo che era così apprezzato e diceva che era come se lo mandasse lei tutte le sere, apposta per loro.

I gabbiani lo ascoltavano in silenzio, un po’ preoccupati, e facevano cenno con il capo che capivano, che sì, Rosina era anche nei loro cuori sempre viva.

In paese, si sa la gente è strana, a volte preferisce una bugia comoda ad una verità scomoda, così un poco alla volta, cominciò a circolare la voce che Nicolai si era stranito dopo un naufragio. Si parlava di una botta in testa da perfetto eroe. Era quello che tutti preferivano pensare.

Passarono molti anni finche un giorno il borgo dei pescatori si svegliò con uno stridio di gabbiani insistente e inconsueto, forte come non mai.

Sembrava che tutti i gabbiani del mondo si fossero raccolti lì sulla barca di Nicolai a piangere ed urlare.

Qualcuno si ricordò allora, che la sera prima Nicolai non era uscito. Un altro, timidamente, bussò all’uscio che era socchiuso, entrò piano piano e trovò Nicolai, bello come il sole, sul suo letto pieno di mare scolpito, abbracciato forte forte ad un cuscino, come fosse stata una donna, che dormiva di un sonno lungo ed eterno.

L’indomani tutti accompagnarono Nicolai in Chiesa, vestito come il giorno delle sue nozze, come un guerriero nella sua armatura, e poi al Cimitero arroccato in collina che guardava il mare, per l’ultima volta.

E da quel giorno, nessuno lo crederebbe, ogni sera, prima del tramonto, quando l’aria è ferma e tutto diventa rosa e d’oro, lui il gabbiano più bello, il Re, il Capobranco, l’amico di Nicolai, portando con se ogni sera alcuni altri gabbiani reali, vola silenzioso sulla tomba di Nicolai e spesso lascia cadere dal becco, ora un pesce, ora un sassolino dai colori vivaci, ora un fiore.

Ogni giorno va a trovare il suo amico e gli porta un dono, come per tanti anni aveva fatto lui.

E gli racconta che ora il paese è diverso, che in mare sembrano tutti impazziti con barche sempre più veloci e costose, che di pesci ora non ce ne sono quasi più perché gli uomini scellerati, forti con i loro fucili potenti di fronte a piccoli polpi di tutti i colori, a triglie che brucano nella sabbia sotto le ancore delle barche, a branchi di occhiate d’argento, sparano e sparano, a volte portando trionfanti prede che nemmeno un gabbiano stolto prenderebbe.

E poi con un ultimo stridio, CIAO NICOLAI, un ultimo volteggio, un colpo di ala e CIAO, lontano nel cielo dorato, CIAO, ci vediamo domani.