Avevano trascorso la giornata a fare lunghi bagni,
a giocare, a godersi il silenzio ed a scaldarsi all’ultimo sole di quell’anno
particolarmente caldo.
Dopo la merenda, mentre si cominciavano a riporre
i teli da mare ed i giornali, qualcuno cominciò a parlare del lavoro che
scarseggiava in paese, delle difficoltà di loro giovani senza troppe esperienze.
Qualcuno parlava di iscriversi all’Università in una
grande città, un altro dichiarava di voler intraprendere la carriera militare.
Teta taceva, stranamente. Ma era diventata improvvisamente
triste. Perché sapeva che anche lei avrebbe dovuto prendere una decisione,
ma non osava neanche pensare di dover lasciare quei posti adorati, quel
mare, i pesci, per andare a lavorare o continuare gli studi in una città
più grande che avrebbe offerto maggiori sbocchi e possibilità.
Cominciò a pensare ad alta voce, che lì al Porto della
Madonna, ogni estate arrivavano centinaia e centinaia di barche al giorno.
Tutta quella gente doveva pur mangiare qualcosa, no?
E poi, avete visto il fondo del mare come è coperto di bicchieri, piatti
e posate di plastica. Senza parlare delle lattine! E allora perché non organizzare
un servizio di ristorazione su di una barca e portare le vivande direttamente
a domicilio, magari con un piccolo tender, studiando anche un modo per recuperare
i rifiuti.
Gli amici la presero in giro e tutto finì lì.
Ma Teta non scherzava quella volta, la notte pensò
ad un piano e l’indomani lo espose a suo padre. Anche lui, all’inizio, le
disse che l’idea era una pazzia ma poi, a forza di insistenze, promise che
l’avrebbe aiutata.
Si informarono e chiesero tutti i permessi alle autorità
e i depliant di cucine da campo a varie ditte.
Finalmente quando i fiori cominciarono a riempire
l’isola di colori e profumi, arrivarono tutti i permessi necessari e quando
i primi fichi selvatici cominciarono a mostrare, orgogliosi, i loro frutti,
anche se ancora acerbi, arrivò dal continente, una fiammante cucina da campo
da installare a prua della "Sole e Luna".
E quando tutte le strade erano bordate, come per un
magnifico matrimonio, di"uva tittina" (borracina) con i suoi piccoli cespugli
rossi, di margherite gialle, ginestre, lavanda e cardi e le piante grasse
riempivano praterie di fiori viola fino a lambire la spiaggia, Teta terminò
di rimettere a nuovo tutta la barca.
L’aveva sistemata, ridipinta da capo a fondo e dotata
di una campana per attirare i clienti, un frigo per le bibite, vari contenitori
come dispensa e perfino di un’insegna!..
Aveva escogitato un sistema per recuperare i rifiuti.
Avrebbe consegnato gli spuntini dentro dei sacchetti di carta pregando di
volta in volta i clienti di rimettere tutto lì dentro, dopo l’uso e poi
sarebbe ripassata lei stessa a ritirare i sacchetti. Per maggior chiarezza
aveva fatto stampare in diverse lingue le istruzioni su tutti i sacchetti.
Faticoso si, ma così il fondo del mare sarebbe rimasto
pulito.
Lunedì di Pasqua, Teta preparò un’abbondante pranzo,
caricò la "Sole e Luna e invitò gli amici ad un pic-nic.
Dopo averli incantati con tutte le prelibatezze cucinate,
tra una risata ed uno scherzo, Teta illustrò agli amici il suo programma.
Tutte le mattine sarebbe stata lì a Porto Madonna
ed avrebbe offerto, prevalentemente una specialità: crêpes. Crêpes in tutti
i gusti, anche alla Porto Madonna, con i gamberetti e frutti di mare. E
per i più patiti, anche qualche piatto di pasta.
Aldo, il suo più caro amico, si offrì con il suo gommone
a fare la spola dalla "Sole e Luna" alle altre barche per prendere le ordinazioni
e fare le consegne.
Evviva! Teta da disoccupata era diventata datore di
lavoro di Aldo.
Detto fatto all’arrivo del primo caldo Teta iniziò
a spadellare crêpes per i turisti.
Ben presto divenne famosa lei la sua barca e soprattutto
le sue specialità.
Dopo un mese Teta era piena di prenotazioni fin dalla
mattina ed alla sera, quando finalmente tutti erano andati via, Aldo ripartito
con il gommone carico dei sacchi dei rifiuti e con l’elenco della spesa
per l’indomani, Teta metteva in moto la sua barchetta e andava verso l’Isola
del Faro Bianco a fare il bagno in santa pace, togliersi l’odore di cucina
dalla pelle e godersi il panorama.
L’isola, poco distante dalle tre isole di fuori più
grandi, da dove veniva Teta, faceva parte di un altro piccolo gruppo di
scogli e di isolotti, lontani da tutti. Erano come una manciatina di perle
cadute da una collana.
Su uno di questi scogli c’era un piccolo faro bianco
e visto da lontano, sembrava, più che un’isola, un giocattolo di un bambino.
Quaggiù non ci veniva quasi nessuno, erano fuori anche
dai giri dei barconi dei turisti e dai curiosi.
Ci venivano solo alcuni pescatori e i pochi veri amanti
del mare.
Appena sotto il pelo dell’acqua, Teta scopriva sugli
scogli le stelle marine rosse come grandi segni di fuoco, ricci neri e viola,
pesci "barchetta" immobili, incantati davanti alle evoluzioni ed al mimetismo
dei polpi.
Scorgeva le triglie che brucavano sotto la sabbia
e, a volte, qualche cerniotta paciosa.
Ma una di queste sere di fine agosto, Teta era appena
arrivata nei pressi degli scogli di Barrettini di Fuori (così si chiamava
quel gruppo di scogli), all’orizzonte c’era solo una barca con un ragazzo
che pescava, quando, all’improvviso, dalle onde esce fuori un delfino. Teta
ne aveva visti tanti di delfini e ne era affascinata. Ma uno come quello
non l’aveva visto mai.
Era un delfino pasticcione, faceva tanta confusione
ogni volta che usciva dall’acqua. Ma la cosa più curiosa era il colore:
più scuro degli altri: quasi nero e soprattutto, aveva una spettacolare
pinna dorsale bianca.
Mai vista una cosa simile!
Stava banchettando, tant’è che ogni tanto saltavano
fuori dall’acqua pesci terrorizzati ed ad un certo punto ci fu una scena
meravigliosa. Saltarono
fuori dall’acqua il delfino al centro e ai due lati
branchi di pesci come due getti di una fontana che brillavano al sole del
tramonto.
Di tanto in tanto, usciva dall’acqua anche un piccolo
delfino con la pinna nera regolamentare, lui.
Questo spettacolo durò tantissimo, circa venti minuti.
Ad un certo punto il delfino, con un balzo, saltò
verso di lei, poi si immerse e Teta lo vide passare sotto la sua barca e
sparire lontano, seguito sempre dal piccolo.
Teta era talmente presa dalla scena che non si era
accorta che si era avvicinata l’altra barca.
Quando la scorse i delfini erano già lontani e così
commentò con il giovane pescatore lo spettacolo a cui aveva assistito.
Lui si presentò: si chiamava Emilio ed anche lui disse
che non aveva mai visto un delfino così.
Risultò essere uno studioso dei cetacei ed era anche
molto carino. Veniva dal nord, era biologo e la invitò a cena.
Parlarono tutta la sera di donzelle, murene, gorgonie
e posidonia e si dettero appuntamento per l’indomani sera al tramonto all’isola
del Faro Bianco.
Così tutte le sere Teta, la ragazza delle crêpes di
Porto Madonna, famosa fino in Corsica, appena andava via l’ultimo goloso,
dirigeva la "Sole e Luna" verso il piccolo faro, diventato ora il loro faro
ed insieme ad Emilio si immergeva in quelle acque più blu del blu ed insieme
facevano lunghe immersioni tra nuvole di occhiate e saraghi.
A volte andavano a pescare calamari e spesso, rientrando
incontravano Nicolai con il suo corteo di gabbiani.
La sera andavano al cinema o a spasso.
Qualche sera, particolarmente calda dormivano in barca
e restavano per ore a guardare le stelle e fare mille progetti, a raccontarsi
le storie della loro vita, a scambiarsi impressioni e trame di libri o film.
Scoprirono che avevano tante cose in comune, che amavano
le stesse cose, che pensavano le stesse cose.
A volte bastava che si guardassero, per capire il
pensiero dell’altro.
Ridevano molto assieme.
Certo, entrambi sapevano che quella era una storia
che sarebbe finita al termine delle vacanze di Emilio. Teta sapeva che quella
era la sua prima storia importante e che quel ragazzo dagli occhi verdi,
così serio, così studioso, le avrebbe spezzato il cuore e che nulla, da
allora in poi, sarebbe stato uguale a prima.
Invece non fu così.
Quel ragazzo così serio dagli occhi verdi scoprì che
non poteva dimenticare mai più quella sirena uscita da una barca da sogno,
con un lavoro da favola che incontrava tutte le sere su di uno scoglio sperduto
in mezzo al mare più blu e profondo, con un piccolissimo faro bianco.
E così scriveva lunghe lettere piene di nostalgia,
in attesa di un po’ di vacanze per stringere in un unico, solo, lungo abbraccio
Teta, l’arcipelago tutto ed il loro Faro.
Alla vigilia della festa di S. Giovanni, in una calda
sera di fine giugno, Teta preparava "la conca", una ciotola piena
d’acqua e di bianchi fiori di mirto galleggianti da mettere fuori dalla
finestra affinché S. Giovanni la potesse benedire, come voleva la tradizione
dell’isola.
Mentre disponeva i fiori profumati nella ciotola,
Teta vide, in fondo alla strada, arrivare Emilio.
Gli corse incontro, ringraziando in cuor suo S. Giovanni
che aveva voluto farle quella sorpresa.
Fu una seconda estate magica, generosa di sole, di
crêpes, d’amore e di colori.
Da allora Emilio tornò tutti gli anni, anche più volte
l’anno, finché una primavera, da uno sbuffante traghetto, scese un Emilio
con una macchina così carica che a malapena ci si vedeva attraverso i vetri.
C’era di tutto: il computer con tutti i più sofisticati
programmi, la "borsa del mare" piena di mute, piombi, maschere e pinne;
scatoloni di libri che pesavano così tanto da far gemere le balestre della
macchina, un binocolo, due macchine fotografiche di cui una subacquea; una
stufetta, un po’ di indumenti ed il famoso vestito buono.
E sì, perché l’indomani doveva presentarsi per un
nuovo lavoro. Importante, interessante e soprattutto a contatto con il mare
e i suoi delfini in quell’isola meravigliosa dove abitava la sua Teta.
Quel giorno scendendo da quel traghetto sbuffante,
mentre scorgeva Teta sulla banchina avvolta in una mantella bianca bordata
di blu, Emilio capì che quello era il posto dove voleva vivere. Per sempre.