Giovanna era una ragazza bruna e piccolina. Non particolarmente
bella, ma carina e con gli occhi verdi.
Andava bene a scuola ed aiutava i compagni.
Ma soprattutto amava il posto dove era nata.
Isola di un’isola, legata solo da un ponte di legno,
a sua volta isola di un’altra isola.
Isola stupenda e solitaria. Piena di profumi e colori,
come pochi altri posti al mondo.
Isola ricca di colorati corbezzoli, meta preferita
di api produttrici del miele più profumato e ricercato per condire le seadas.
Gli eucalipti, frusciando al vento spandono Il balsamico profumo mescolato
a quello forte del ginepro, del mirto, della ginestra.
I pini fanno la loro parte, con le loro chiome altissime
ed il profumo di resina.
In primavera è tutto un risvegliarsi di piccoli fiori,
di gemme verdi e poi il mirto, sempre meraviglioso!
Il mare intorno è unico. Mare di mille colori pieno
di sorprese e pesci colorati.
Sugli scogli disseminati in mare ai lati del ponte,
quasi a guardia dell’ingresso, colonie di cormorani e gabbiani alteri ed
immobili scrutano il mare in attesa di prede, o con le ali aperte, stendono
un ideale "bucato" in attesa che il sole le asciughi ben bene.
Le spiagge sono tutte splendide. Incastonate in infinite
piccole o grandi baie, quasi sempre circondate da scogli di granito scolpiti
dal vento, lisci e talmente ben modulati che a volte sembrano cuscinoni
di gommapiuma e vien voglia di sdraiartici sopra.
Altre volte le rocce sono rosse, ferrose, friabili
e danno alle acque ed alla sabbia su cui sono conficcate, un riflesso rossastro.
Meraviglioso contrasto con l’azzurro limpido e trasparente
del mare.
Alcune spiagge sono quasi inaccessibili via terra
e ci si approda d’estate con una miriade di imbarcazioni di turisti incantati.
In questo paradiso la strada asfaltata è una sola
e porta esclusivamente alla casa museo dell’eroe più famoso. Per il resto
c’è una strada bianca che porta alle principali spiagge e taglia, come una
ferita, l’isola fino all’estrema punta, Punta Rossa, dove ci sono alcuni
capannoni dei militari che ogni tanto vengono qui in tuta mimetica, il volto
dipinto e fanno delle esercitazioni in mare ed in terra per prepararsi a
missioni lontane.
Per il resto, ci sono dei sentieri più o meno nascosti,
che portano agli alti fortini, a spiagge deserte, a boschi incontaminati.
Gli abitanti si contano sulle dita di una mano e molti
di questi sono militari che prestano servizio nell’isola madre, al di là
del ponte.
Giovanna era figlia di un operaio dell’arsenale militare
ed abitava in una casetta che ricordava le favole. Ad un piano, con il tetto
rosso ed un piccolo giardino pieno di fiori tutto intorno. Aveva tutte le
finestre riquadrate di lastre di granito e tendine ricamate ai vetri. Nel
grande ingresso-sala-cucina c’era un enorme camino che raccoglieva attorno
a se’ tutta la famiglia d’inverno quando il vento fuori fischiava più forte
dello scoppiettare dei ciocchi.
Le camere erano piccoline ma con le travi di legno
al soffitto, annerite dal tempo e i muri imbiancati a calce.
La mamma aveva cucito per lei ed il fratello dei copriletti
con una stoffa meravigliosa piena di pesci, ricci e conchiglie e così aveva
fatto pure le mantovane per incorniciare le finestre.
Nel muro spesso e antico, il papà aveva ricavato delle
nicchie e mensole sulle quali Giovanna poggiava le foto e i ricordi lasciati
dal mare.
Stelle marine rosse come il fuoco e ricci viola come
anemoni o verdi o arancioni. Conchiglie con il profumo del mare e legni
levigati dalle forme più strane.
La sera, quando andava a letto, prima di addormentarsi,
nella penombra data dalla piccola luce da notte, guardando tutto l’arredamento
della stanza, sognava di scivolare in fondo al mare in un’immersione sempre
diversa e ogni notte più bella.
La casa faceva parte di un piccolo gruppo, tutte più
o meno simili. Vicino c’era una piccola cappella e si affacciavano tutte
su una baia.
C’era la spiaggetta, un piccolo molo con poche barchine
colorate e nient’altro. Per circa dieci mesi all’anno tutto quel paradiso
era il suo.
Giovanna andava a scuola nell’isola grande e lì insegnava
catechismo ai bambini della parrocchia, andava a trovare le amiche ed insieme
facevano le passeggiate lungo il corso ad occhieggiare i ragazzi.
Ma appena poteva, scappava lì, nella sua isola e con
un paio di scarpe da ginnastica e la sua inseparabile amica, Teti, era pronta
ad avventurarsi per i sentieri più aspri a scoprire panorami sempre nuovi
ed angoli sconosciuti.
Un cenno particolare va fatto su Teti, membro ufficiale
della famiglia e, ormai, mascotte di tutta la comunità dell’isola.
Perché Teti non poteva certo passare inosservata.
Teti era un terranova di tre anni, nera e bellissima.
Dolce ed affettuosa compagna di giochi di tutti e tutti le mettevano da
parte un boccone speciale o una carezza.
Teti aveva conosciuto tempi peggiori. Era stata abbandonata
sull’isola da alcuni turisti, un giorno si settembre.
L’aveva trovata il padre di Giovanna, sola, piangente,
ferita ad una gamba e tutta sporca. L’aveva portata con se a casa e tutti
si erano presi cura di quel cane così bello e con quegli occhi così dolci
ed affettuosi.
L’avevano curata, lavata e sfamata, adottata ed amata
tutti, come fosse stata una bimba trovatella. Le avevano dato questo nome
importante e lei lo portava con grazia, da vera dea.
Era stata anche un’eroina. Un’estate aveva salvato
un bambino che stava annegando in mare. Mentre la madre urlava sulla spiaggia
ed il padre si tuffava cercando di raggiungere il bambino, Teti con un balzo
è entrata in acqua, veloce come il vento ha superato tutti i soccorritori,
si è tuffata ed ha tirato fuori il bambino, consegnandolo poi in braccio
al padre.
Così avevano capito che quel cane, in precedenza,
era stato anche addestrato per il salvataggio, come i migliori della sua
razza. Ed era stata abbandonata!
Giovanna. Oltre a giocarci come faceva Piero, il fratello,
la considerava la sua migliore amica e la portava sempre con se nelle sue
escursioni solitarie.
Quando trovava un posto nuovo lei si sedeva su un
masso e guardava il panorama e Teti iniziava a correre qua e la, quasi impazzita
dalla gioia.
E poi se erano vicine al mare, in qualunque stagione,
quel cagnone festoso e tanto simile ad un enorme orsacchiotto, voleva toccarlo
e appena possibile, buttarsi dentro, almeno per un tuffo e poi rotolarsi
sulla sabbia.
Giovanna sulle prime si arrabbiava perché quella scena
significava che poi bisognava lavarla e non era un’operazione semplice ed
indolore per quanto riguardava gli schizzi, ma poi rideva felice della felicità
dell’amica ed insieme correvano sulle più belle spiagge deserte dell’isola.
Si godevano insieme il tramonto e poi di corsa a casa,
via, vediamo chi arriva prima.
Un giorno vennero degli operai per pulire e mettere
in ordine una casetta, la più grande del gruppo che da parecchio tempo era
rimasta vuota.
Nel piccolo Borgo questo era già un avvenimento!
Tutti erano lì attorno a ronzare e curiosare, a commentare
sul colore dato alle pareti e delle nuove piastrelle che sostituivano quelle
malandate dei servizi della casa.
Chi sarà il nuovo arrivato? Uno importante!
E sì, ora uno importante lo mettevano proprio lì in
quel posto sperduto da Dio! Finché: lo so io chi sta per arrivare! E’ il
nuovo maresciallo con la famiglia.
Uno che si sa fare rispettare e che arriva dal Nord.
Ma che ama il mare e la pesca ed ha chiesto espressamente di stare qui.
Così un giorno di fine giugno, alla chiusura delle
scuole, quando l’isola di giorno cominciava ad essere invasa dai turisti,
arrivò un camion dei traslochi seguito da un fuoristrada ed i nuovi vicini
presero possesso della casa.
In giro, oltre i bambini non c’era nessuno, ma potete
giurarci, non ci fu poltrona, lampadario o vaso che non fu soppesato, giudicato
e criticato da decine di occhi che sbirciavano attraverso le persiane delle
finestre.
Verso sera, quando i turisti, in una lunga processione
di macchine, battendo la strada polverosa, abbandonavano l’isola, la gente
uscì dalle case come tutte le sere. Mentre alcuni uomini armavano le barche
per andare a pesca e altri sedevano a prendere il fresco, le donne con i
loro lavori femminili si scambiavano commenti e chiacchiere.
Ma gli sguardi erano tutti attratti da quella casina
tirata a lucido, dove dentro ancora c’erano delle persone che montavano
armadi, attaccavano lampadari e andavano avanti e indietro.
Poi, pian piano gli operai se ne andarono e i nuovi
inquilini uscirono anch’essi con le loro sedie, in giardino a prendere un
po’ di fresco e riposarsi.
Erano tre persone. Un uomo robusto, con i baffi e
l’aria severa. Era il maresciallo.
Una donna dai capelli rossi e ricci, dai tratti gentili
e dal portamento elegante.
Avevano un figlio dell’età di Giovanna, alto, moro
e riccio. Sembrava molto legato ai suoi ed educato.
Il primo giudizio sommario delle comari fu: "sembrano
buoni, si vedrà".
Giovanna si disse: "finalmente una persona della mia
età. Speriamo che si possa andare d’accordo".
Mauro, per i primi giorni, aveva un’aria infelice.
Aveva lasciato gli amici, la scuola, la sua città per andare a "fare il
selvaggio", come aveva confidato alla madre.
Così guardava con aria distratta quel mare che aveva
davanti e diceva: "è acqua! E’ tutta uguale!" la casa gli sembrava quasi
ridicola, piccina com’era!
Ma Teti lo conquistò subito. Assieme a Giovanna facevano
lunghe passeggiate sulla spiaggia e lasciavano correre Teti libera e felice.
Un po’ alla volta iniziò a vedere tutte le cose con
gli occhi di Giovanna.
Cominciò ad apprezzare i vari colori del mare e le
sue fredde acque. Si arrampicò con lei sul punto più alto dell’isola e godé
del panorama meraviglioso.
Conobbe un’infinità di sentieri pieni di profumi sconosciuti
e tutti indistintamente portavano ad uno scorcio, sempre diverso e magico,
di quel mare.
A volte andavano a piedi, soprattutto quando affrontavano
i sentieri o nei boschi.
A volte decidevano di "andare al mare" e allora via,
in bicicletta con un cestino per il pranzo e tanta voglia di sole e mare.
Così Mauro scoprì le più belle spiagge che non avesse
mai potuto sognare: la spiaggia di due mari, la spiaggia del relitto, cala
Andreana, Punta Rossa, come tanti turchesi e brillanti acque marine incastonati
in un antico gioiello di smeraldi. Erano spettacoli mozzafiato, anche se
bisognava dividerli con i turisti che erano già numerosi.
E poi attraverso sentieri, arrivavano a Cala Napoletana,
Cala Serena e un giorno, dopo una lunga arrampicata, ecco sotto i loro piedi
una cala stupenda, Cala Coticcio, chiamata anche Tahiti, il mare di un colore
azzurro intenso e trasparente.
Di lassù si vedevano le barche all’ancora e sotto
di loro gruppi di occhiate, affamate di pane, lanciato loro dai turisti.
Davanti a tali spettacoli Mauro restava senza fiato
e stringeva forte le mani di Giovanna. I loro cuori battevano all’impazzata
e in quei momenti sapevano che quello era amore.
Il loro primo unico vero grande amore.
L’amore non ha età questo è vero. Ma quando si è adolescenti,
tutto è eterno.
Di fronte ad ogni evento della vita, in genere, un
adulto riesce a reagire con la ragione. Un adolescente no. Per lui ogni
avvenimento, ogni sentimento è unico. O è bianco o è nero. Figurarsi l’amore!
L’amore, soprattutto quando non è banale, quando non
è uno stare assieme perché tutti fanno così, ma quando senti che l’altro
dentro è come te, quando assieme gioisci di un tramonto o ti commuovi quando
incontri uno scoiattolo o ti emozioni se in acqua incontri una medusa viola
con i tentacoli pericolosi sì, ma bellissimi, azzurri e fluorescenti.
L’amore è quell’esperienza unica che ti completa e
riempie l’anima.
Quando dopo il bagno, stanchi si sdraiavano al sole,
Giovanna poggiava la testa con i suoi lunghi capelli scuri sul petto di
lui, Mauro sentiva che bruciavano sul suo cuore, non riusciva a respirare
per l’emozione e voleva che quegli attimi non finissero mai.
Un giorno lessero una poesia di pochi versi, diceva
così: "Noi siamo angeli con un’ala soltanto, e solamente insieme possiamo
volare". Mai nessuna spiegazione dell’amore era stata così fulminante, precisa
e sintetica.
Lei leggeva negli occhi di lui la certezza del futuro
e questo le faceva tremare il cuore. A volte era convinta di non riuscire
a sopportare il peso di quell’amore, le sembrava che il cuore le dovesse
scoppiare e le tremavano le gambe.
Non avevano bisogno di parole, di dirsi tutte quelle
cose melense che dicevano gli attori nei film o che raccontavano i compagni
di scuola. Loro non ne avevano bisogno. Tutto era scontato fra loro.
Mauro diceva che non se ne sarebbe mai andato. Lei
taceva.
Lui progettava di realizzare il suo grande sogno:
dentro il suo cuore si sentiva militare: voleva partecipare al concorso
in marina, fare l’ufficiale e poi chiedere il trasferimento lì. Era sicuro
che l’avrebbero accontentato, in fondo era una base militare.
Spesso, usciti dal mare, con i capelli bagnati, giocavano
"al guerriero". Con le alghe bagnate lei gli modellava direttamente sul
corpo le mostrine di un esercito di pace e i gradi più alti. Con la posidonia
spiaggiata, gli costruiva addosso una corazza. E lui, con il fisico da dio
greco, brandiva la sua spada fatta ora con una canna con ancora le foglie
attaccare, ora con un bastone, e guidava il suo esercito all’attacco.
Giovanna rideva e lo chiamava "il Guerriero".
E nel suo cuore sapeva che il "suo Guerriero" aveva
vinto la sua battaglia e lei era la preda.
Così passarono quei meravigliosi mesi e venne l’autunno.
Il più bello della loro vita.
I turisti erano andati via e l’isola era tornata ad
essere tutta loro.
Il mare d’autunno, fra quelle isole è uno spettacolo
che ti prende allo stomaco, ha un colore più scuro, a volte anche violetto.
Il cielo è stranamente più limpido e l’aria è come sospesa.
I tramonti hanno la violenza di quelli orientali.
Ogni sera ti sembra di morire con il sole. La respirazione rallenta finché
il sole, come un’immensa palla arancione, si tuffa laggiù, tra il mare tutto
d’oro e il cielo di mille colori. Poi, sembra che tutto si fermi fino all’indomani
mattina.
Passato l’autunno, arrivarono le piogge, il freddo
e una mattina incantata, arrivò addirittura la neve. Poca ma sufficiente
per fare impazzire tutti i bambini e i gatti del piccolo borgo. Teti all’inizio
non capiva bene cos’era quella roba bianca e fredda che veniva giù dal cielo
e si poggiava sulla spiaggia.
L’annusò, l’assaggiò e poi ci si rotolò sopra. Ma
durò poco.
D’inverno, si sa, fa buio presto e dopo fatti i compiti,
nelle case si accendevano i camini ed i vecchi raccontavano fatti favolosi
e storie magiche.
Come una lunga collana di perle, passarono i giorni
dell’inverno e all’improvviso arrivò la primavera.
Con il tepore delle giornate ed il risvegliarsi dei
fiori gialli ai bordi delle strade, arrivò la notizia.
Il maresciallo, finito l’anno di addestramento, sarebbe
tornato al nord.
E con lui la bella moglie dai capelli rossi e ricci
e suo figlio Mauro.
Un trasferimento come tanti, in quelle isole piene
di militari italiani e stranieri.
Il cuore di Giovanna cominciò a battere in maniera
strana, ogni tanto sembrava si volesse fermare.
A volte, di notte, piangeva e provava ad immaginarsi
di vivere un giorno senza il suo Guerriero.
Non ci riusciva. Non era possibile. L’unica cosa che
le veniva in mente era come se qualcuno potesse passare, con un grande pennello,
una mano di grigio sulla sua vita.
Tutto sarebbe rimasto uguale: il sole, il mare, le
pinete, Teti, le spiagge ed il loro amore.
Ma nulla sarebbe rimasto uguale. Tutto sarebbe stato
un po’ più grigio e meno splendente.
Giovanna e Mauro passavano tutto il loro tempo libero
abbracciati. Come se ogni abbraccio, ogni contatto, fosse messo in una sorta
di dispensa da riempire fino all’orlo. Dove poter attingere nei giorni futuri
di solitudine.
Una mattina di settembre, mentre un cormorano si tuffava
per acchiappare il suo primo pesce della giornata e uno stormo di gabbiani
strideva per assegnarsi il territorio, mentre l’aria si scaldava e illuminava
con la stessa precisa metodicità di ogni giorno, arrivò una squadra di operai
per imballare piatti, smontare armadi, staccare lampadari nella casa del
maresciallo.
La gente del borgo si fingeva un po’ distratta per
discrezione, buttava un’occhiata a quella novità e poi si immergeva nelle
proprie occupazioni.
Soltanto Teti era rimasta seduta li, ad una certa
distanza, immobile e con aria preoccupata.
Verso sera, la gente cominciò ad uscire fuori casa
a prendere il fresco, chiacchierando di quella stagione particolarmente
lunga e calda, era come se non volesse finire mai e delle spese fatte quel
giorno al mercato.
Il giorno di mercato era un avvenimento. Si aspettava,
per tutta la settimana, che arrivasse Alì Babà con tutta la mercanzia esistente
al mondo, per poi accorgersi che arrivavano sempre le solite bancarelle,
con sempre le solite cose. Ci si sentiva un po’ delusi, ci si accontentava
lo stesso e dall’indomani si iniziava nuovamente a sognare Alì Babà per
la prossima settimana. Questo era il fascino del mercato settimanale.
Quando fu quasi buio, uscirono a prendere il fresco
anche il maresciallo e la sua famiglia. Stanchi e con l’aria un po’ triste.
Questa volta però tutti si avvicinarono a scambiare
due chiacchiere. Chi salutava affettuosamente, chi portava un dono per ricordo,
gli uomini parlavano con aria più distaccata di servizio e di pesca e tutti
si passavano indirizzi e numeri di telefono.
Mauro e Giovanna, seduti su uno scoglio lontano, nel
buio più profondo di quello reale, nel silenzio più sordo che avessero mai
udito, stavano fermi a guardare il mare e si stringevano la mano.
Poi lui cominciò a dire che avrebbe scritto tutti
i giorni, che sarebbe tornato, che nulla ormai avrebbe avuto un senso al
di fuori di quell’isola incantata. Che quel profumo di servaggio e di natura
ormai ce l’aveva addosso e che lì avrebbe voluto vivere per sempre.
Giovanna guardava il suo guerriero e se lo immaginava
bello, forte nella sua armatura, pronto ad affrontare chissà quali nemici
in quella Crociata senza senso.
Lei aveva bisogno di credere a tutto quello che sentiva
in quel momento.
Beveva tutto con tutti i pori della sua pelle, perché
era quello che voleva sentire. Ma, nello stesso tempo, sapeva che lui non
sarebbe più tornato e che forse non l’avrebbe rivisto mai più.
Per questo taceva.
Lui le regalò la sua macchina fotografica, perché
diceva, non avrebbe più fotografato niente di così bello.
Lei, erano un paio di giorni che ci lavorava, gli
regalò un pupazzo, fatto con le sue mani: un guerriero fatto di legni, alghe
secche, latta e stoffa, dipinto con cura da sembrare un prode paladino.
Anzi ne aveva fatti due. Uno per lui ed uno per se.
Tutto l’inverno Mauro scrisse quasi regolarmente.
Le raccontava di cose a lei difficili da immaginare. Si era iscritto all’università
in una grande città del Nord e parlava di lezioni, amici nuovi, metropolitane
e fast-food. Di una vita notturna inimmaginabile laggiù nell’isola, dove
al tramonto, nella calma quiete della sera ci si preparava per andare a
dormire. Poi le lettere non arrivarono più. Una cartolina ogni tanto, poi
più.
Una sera, era andata con le amiche nell’isola madre
perché in paese era arrivata la fiera, c’era festa. E lì, tra le varie luci
del Luna Park, tra l’odore dello zucchero filato e le mille luci colorate
di una giostra, ripensando al verso di una canzone, Giovanna idealmente
capì che doveva togliersi quelle "ali affittate ad un baraccone, perché
volare da soli è solamente un’illusione".
Capì che il suo "Guerriero" era morto combattendo
in quella Crociata che era la vita vera fuori dall’isola e che era rimasto
soltanto il ricordo di un amico speciale, di un ragazzo normale, lontano
da lei miliardi di anni luce che, per un attimo, le era passato vicino.
Però, in un angolino, su una mensola scavata nel granito
della sua camera, vicino ad un riccio viola, c’era sempre un guerriero luccicante
nella sua armatura di latta, sorridente e che ogni tanto lei poggiava sul
cuore per lenire un sordo dolore di una ferita che non si sarebbe mai rimarginata.