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Boccaccio

Giovanni Boccaccio è ritenuto il padre della prosa volgare italiana e, insieme a Petrarca  e a Dante, il maggior letterato del XIV secolo sia in Italia che in Europa.

Nacque nel 1313 a Certaldo in Toscana,  figlio illegittimo di un mercante (nato cioè all'esterno del matrimonio) e di una donna sconosciuta agli studiosi. Venne  comunque legittimato dal padre e trascorse la giovinezza  con pari diritti rispetto ai fratelli.  Dopo i primi studi a Firenze, nel 1327 venne inviato a Napoli  per imparare il mestiere di mercante. Poiché era mal disposto a tale pratica, iniziò a studiare diritto canonico.

Fu in questo periodo che il poeta conobbe i classici latini e la letteratura cortese francese e italiana. Entrato in contatto con il raffinato mondo letterario napoletano, si cimentò per la prima volta con la scrittura nel 1335, componendo il suo primo lavoro, “il  Filostrato”.  Nel 1336 scrisse il “Filocolo”, nel ‘39 “Teseida”, “Caccia” di Diana nel ‘38 e “le Rime” (la cui composizione non è certa).

Nel 1341 la banca dei Bardi falli e Boccaccio dovette far ritorno a Firenze per aiutare il padre, precipitato in gravi difficoltà economiche. Anche se la vita agiata e spensierata che conduceva a Napoli venne bruscamente interrotta, Giovanni non smise di comporre e tra il 13541 e 1344 diede alla luce diverse opere poetiche e narrative: Ninfale d'Ameto o Commedia delle Ninfe fiorentine (1341-42) e Elegia di madonna Fiammetta (1343-44). Fiammetta era lo pseudonimo di una donna, amata da Boccaccio, che gli studiosi hanno in seguito riconosciuto nella persona di Maria, la figlia del re Roberto D’Angiò. Frequentò per breve periodo le corti della Romagna (Ravenna, Forlì) in cerca di un lavoro, ma nel 1348 tornò di nuovo a Firenze, falcidiata dalla  peste, per assistere  alla morte del padre.

Grazie alla sua fama di letterato iniziò prendere parte in vario modo alla vita pubblica e culturale della sua città, occupando posizioni di rilievo in uffici e ambascerie. Nel frattempo componeva quello che diventò il suo capolavoro, il Decameron, terminato nel 1351.

Negli ultimi anni strinse una grande di amicizia con Francesco Petrarca il quale diresse l'attività del Boccaccio verso una poetica letteraria di tipo "umanistico". Le opere ultime del Boccaccio, infatti, furono scritte  in latino, e fra queste va citata la Genealogia deorum gentilium, uno studio sulla mitologia greco-romana che per più due secoli rimase il manuale più autorevole  su questo argomento. Dopo un breve periodo trascorso a Venezia,  nel 1370 si allontanò nella sua casa di Certaldo, presso Firenze, per poter vivere in solitario e dedicarsi alla meditazione religiosa e allo studio della divina commedia (che prese questo epiteto proprio per volere di Boccaccio). Morì il 21 dicembre 1375.

Il Decamerone è l’opera che ha reso il nome di  Boccaccio immortale.

l’opera consiste in  una collezione di cento novelle esposte a turno in dieci giorni (il titolo convertito dal greco significa proprio "dieci giorni") da sette ragazze e tre ragazzi.

Questi giovani, dopo il loro incontro avvenuto nel 1348 nella chiesa di Santa Maria Novella, in una  Firenze falcidiata dalla peste, scelgono di allontanarsi dall’incubo e trascorrere due settimane in campagna.

Tramite questa personificazione, Boccaccio procede  alla narrazione di alcune storie.

Ogni giorno tra i ragazzi viene eletto un re o una regina che decide il tema della giornata al quale devono attenersi tutti i dieci ragazzi, ad eccezione di Dioneo, il più gradevole nel raccontare storie. A Dioneo è consentito di narrare sempre l'ultima storia scegliendo un argomento a suo piacere.

Più che lo stile, l’importanza del Decameron è attribuibile ai suoi contenuti. A differenza di Dante e Petrarca, Boccaccio tratta  temi più terreni e naturalistici. Emblematica è la novella raccontata da uno dei ragazzi, Filostrato, in cui si narra del nobile Masetto di Lamoprecchio. Il nobile si finge muto e si nasconde in un convento di suore, le quali giaceranno con lui diverse volte.  La novella raccontata da pampinea narra addirittura di un frate di nome Alberto che fa credere  ad una donna di essere l'Angelo Gabriele e di essere  innamorato di lei. Sotto mentite spoglie si unirà sessualmente con la donna  fin quando non verrà scoperto e castigato dagli altri frati.

Dunque, tramite la voce di questi ragazzi, il poeta regala un affresco della società borghese dell’epoca, illustrandone i vizi e le  virtù. I temi trattati spaziano dall’amore alla passione (non sublimata e beatificata come facevano gli stilnovisti) alle critiche sottili ma pungenti delle istituzioni dell’epoca. Gli argomenti religiosi e morali vengono volutamente trascurati.

Ma ciò che destò  più scalpore e  scandalizzò la società dell’epoca è che  Boccaccio segnò un sostanziale momento di rottura  nella rappresentazione letteraria della sessualità. Lo scandalo, infatti, fu tale che ne resta testimonianza nell’aggettivo «boccaccesco», ancora oggi in uso, come sinonimo di sboccato e licenzioso. In realtà  il Decamerone rivendica una visione naturalistica e materialistica degli istinti sessuali, in antitesi all’idealizzazione dell’amore contrapposto alla vita quotidiana (tipico nell’opera del Dante e del Petrarca). L’impulso erotico è concepito come un inclinazione naturale e giustificata, da soddisfare a buon diritto. La repressione è addirittura vista in senso negativo, poiché secondo il poeta essa determina dolore e può causare nientemeno che la morte. Boccaccio dunque, a differenza della cultura del periodo, dà molta importanza alle manifestazioni del corpo, perché considera impossibile raggiungere la serenità dell’anima senza soddisfare le esigenze fisiche.