La poetica di Dante Alighieri
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Dante Alighieri è un vero e proprio cittadino dell’epoca comunale di
Firenze, partecipando in maniera concreta alla crescita della città.
Trascorre la prima metà della propria esistenza nella città toscana, ma
il suo contributo non si limita alla cultura: è un personaggio che
incide nettamente anche alla vita politica del suo paese natale.
L’appartenenza politica e la conoscenza della situazione internazionale
entrano in maniera forte nella definizione della poetica di Dante.
La preparazione intellettuale dell’autore si collega con l’appartenenza
politica, creando una commistione unica che Dante riesce a sintetizzare
in maniera esemplare.
Dante nasce nel 1265 a Firenze, appartenente ad una famiglia della
piccola nobiltà. Resterà come abitante attivo nella città fino al 1302,
anno in cui verrà esiliato da Firenze per via delle lotte intestine che
attraversano la città.
Le prime opere dell’autore, realizzate durante la permanenza di Dante a
Firenze, parlano di una poetica amorosa nei confronti di una donna:
Beatrice.
L’immagine poetica dovrebbe corrispondere ad una ragazza, Bice, la
figlia di Folco Portinari. Si tratta di una donna morta ancora in
giovane età.
Questa sfortunata storia di amore segna in maniera netta Dante. Per
questa ragione il poeta aumenta i suoi studi teologici e filosofici,
cercando di razionalizzare la scomparsa della ragazza inquadrandola in
una chiara struttura metafisica.
Beatrice diviene allora un vero e proprio simbolo: rappresenta l’amore
sacro che porta direttamente a Dio. Il rapporto tra la conoscenza della
donna e la beatitudine che Beatrice causa in chi l’ha amata in maniera
pura rappresenta un rapporto complicato, che fa di questo tipo di donna
una possibile strada verso Dio. Si tratta di una evoluzione della
classica fede mariana medioevale. Preferiamo non approfondire troppo
l’argomento in quanto poi ci addentreremmo in un campo principalmente
teologico.
Dall’esperienza realizzata con questi studi nasce l’opera della Vita
Nova, una serie di poesie di argomento amoroso dalle quali si nota
ancora l’influsso dello Stilnovo nell’autore toscano. (Per maggiori
informazioni su questa opera clicca
qui).
Gli approfonditi studi, assieme alla partecipazione politica a Firenze,
pone Dante in una posizione che postula l’idea di una Chiesa lontana da
mire temporali, maggiormente impegnata ad indirizzare le scelte
spirituali del suo gregge.
Nella vita politica della città toscana vediamo la lotta per il potere
tra la fazione dei Bianchi, a cui appartiene Dante, che si
contrappongono ai Neri.
Una visione politica, quella dantesca, che cozza nettamente con gli
atteggiamenti e le mire territoriali di papa Bonifacio VIII, ma che si
avvicina, con una chiara sensibilità sociale, ad un sentire netto della
popolazione che verrà poi espresso dalla figura di San Franceso e dei
suoi seguaci.
La vittoria di Bonifacio VIII sulle idee di indipendenza di Firenze
porta direttamente alla vittoria nella città dei Neri contro i Bianchi.
E per Dante si apre la strada dell’esilio.
La vita da esule apre una nuova fase della poetica dantesca soprattutto
perché l’autore, lontano dall’impegno politico, si concentra
completamente sul lavoro poetico e di divulgazione culturale. Tra le
opere realizzate in questo periodo ricordiamo il “De vulgari eloquentia”,
un’opera in cui Dante argomenta come, secondo il suo parere, il futuro
della comunicazione non è più nel latino, quanto piuttosto nei vari
dialetti volgari, il linguaggio espresso dal popolo.
Sempre in questo periodo esce il Convivio, uno scritto di canzoni di
argomento filosofico, dove l’Alighieri esplica in maniera esplicita il
proprio mondo. Si tratta di una opera fondamentale innanzitutto perché
scritta in volgare, poi perché, proprio per la scelta del linguaggio, è
uno scritto che cerca di portare la “sapienza” anche alle persone che
non sapevano il latino, ovvero la maggior parte della popolazione. In
questa opera si supera la teoria medioevale in cui l’uomo doveva tendere
esclusivamente alla felicità nell’aldilà, ma si postula come necessaria
la ricerca della felicità terrena. La scelta del volgare sottolinea la
volontà, da parte di Dante, di creare una nuova forma di cultura “laica”
che faccia da contraltare a quella realizzata nella Chiesa.
Proseguiamo l’elenco delle opere con il Monarchia, che è un trattato in
latino sulla sua visione politica globale, un trattato in cui l’autore
toscano cerca di far quadrare il rapporto tra l’autorità imperiale e
quella papale. L’idea di società di Dante è quella che riesce a rendere
più semplice alle persone di ottenere la giustizia nel mondo terreno e
contemporaneamente la salvezza in quello divino. La sua visone pone il
papato al di fuori dell’agone politico, separando il pratica il potere
temporale da quello spirituale. Una concezione diametralmente opposta a
quella professata dalla Curia e il Papa nell’Alto Medioevo. La felicità
terrena deve venire dall’impero, erede di quello classico romano.
L’antico governo di Roma rappresenta un esempio fondamentale di saggezza
e quindi le leggi romane garantivano diritti umani fondamentali.
Infine ricordiamo la Divina Commedia, semplicemente il capolavoro di
Dante.
Si tratta di un viaggio ultraterreno dell’autore in tutti i regni
dell’oltretomba (Inferno, Purgatorio, Paradiso) in cui si attraversano
tutti i problemi della società fino a giungere a Dio, quindi alla eterna
gioia. Sottolineiamo che anche questa opera è scritta in volgare, con
una sperimentazione linguistica da parte dell’autore che apre la strada
al lunghissimo percorso che porterà alla nascita dell’italiano. (Per
avere maggiori informazioni sulla Divina commedia clicca
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La sua esperienza di vita porterà Dante ad una visione che,
rappresentata sia nel Monarchia che nella Divina Commedia, auspica un
ritorno, nell’amministrazione della giustizia terrena, dell’Impero e un
accordo tra questi e il papato per realizzare la giustizia nella
società. Questa visione, per l’epoca è fondamentalmente innovativa e
espressione di una vitalità culturale che travalica l’epoca in cui Dante
vive.
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