FRANCESCO PETRARCA
Francesco
Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304; il padre, notaio fiorentino esiliato
da Firenze perché appartenente alla fazione dei Bianchi, si trasferisce
insieme alla famiglia ad Avignone, allora sede pontificia.
Il giovane Francesco
viene avviato allo studio della grammatica, della dialettica e della retorica
sotto la guida di Convenevole da Prato; successivamente studia legge, prima
a Montpellier, poi a Bologna. Tornato ad Avignone, frequenta l’elegante
mondo cittadino, intrattenendosi in conviti ed altri eventi, sempre ricercato
per la sua arguzia e prontezza d’intelligenza; conosce una gentildonna,
Laura, e si innamora di colei che “distolse il mio animo giovanile da ogni
turpitudine, lo ritrasse, come si suol dire, con l’uncino, e lo spinse a
mirare in alto”.
Il poeta cerca una sistemazione
tranquilla ed onorevole prendendo i voti degli ordini religiosi minori.
Studia con fervore filosofia morale e letteratura, ed approfondisce in particolare
la lettura di Cicerone, Virgilio, Sant’Agostino ed i Padri della Chiesa.
Dopo esser stato cappellano
del cardinale Giovanni Colonna, viaggia a lungo in Europa, spinto da un’instancabile
bisogno di conoscenza. Nel 1337 torna definitivamente ad Avignone e si trasferisce
in solitudine a Valchiusa, desideroso di trovare nell’intimità degli studi
e della meditazione un equilibrio spirituale tra le passioni ed il bisogno
di condurre una vita integralmente cristiana.
Questo dissidio spirituale
tra le l’ideale religioso e le ardenti passioni rappresenta un costante
nella travagliata vita del poeta; la ricerca della gloria e dei piaceri
terreni lacera il suo animo desideroso di lodare Dio.
Nel 1342 Petrarca si ferma
per circa un anno a Selvapiana (Parma), dove porta a termine la stesura
del poema in latino Africa, al quale l’autore affidava la sua gloria.
Dal 1342 al 1353 il poeta
ritorna nell’abitazione di Valchiusa, dalla quale si allontana spesso per
alcuni viaggi in Italia, la patria sempre cara. Dal 1353 sino al 1374 Petrarca
vive in maniera stabile in Italia, dapprima presso i Visconti a Milano,
poi a Padova, Venezia ed Arquà, dove conclude la sua vita “lungi dai tumulti,
dai rumori, dalle cure, leggendo continuamente, scrivendo e lodando Dio”.
La tensione del Petrarca
tra lo spirito e I piaceri terreni trova precise legami con il mutare delle
situazioni sociali e culturali del tempo; la cultura medioevale, retta dall’idea
di trascendenza, contrasta con la nuova civiltà umanistico-rinascimentale;
la bellezza dell’esistenza terrena e la dignità dell’uomo appaiono come
nuovi valori per superare un periodo dominato dalla gerarchia dell’universo.
Se il poeta che meglio
ha espresso l’anima profonda del medioevo, Dante, era legato alla teologia
ed alla poesia, alla politica ed alla religione, al contrario il Petrarca
respinge la Scolastica perché interessato alle scienze morali; dalla lettura
di Sant’Agostino, dei Vangeli e dei Padri della Chiesa il poeta rivolge
la sua meditazione verso il dramma del peccato, scava nella propria anima
alla ricerca della redenzione.
Anche gli interessi politici
del Petrarca differiscono da quelli di Dante; se per Dante la politica era
inscindibile dalla poesia e dalla morale, il Petrarca sfugge al colloquio
con gli uomini del suo tempo e si rifugia nella grande civiltà dell’antica
Roma per cercare negli scritti dei poeti latini classici un’ideale ancora
moderno di perfezione umana.
Il Secretum
Tra il 1342 ed il 1343,
nella tranquilla residenza di Valchiusa, Petrarca immagina di una serie
di colloqui con Sant’Agostino, e li raccoglie in tre libri scritti in latino.
Davanti al maestro il Petrarca confessa il suo male spirituale, nato da
quel senso di scoramento per non cercare i beni veri, ma la gloria e l’onore,
la fama e l’amore. Sant’Agostino intuisce che l’infelicità del Petrarca
è causata dal peccato; ma da esso ci si può liberare, seguendo il bene e
la virtù ed estirpando dall’animo tutto ciò che allontana il poeta dall’amore
verso Dio.
La soluzione del poeta
però non è quella accettata dal fratello Gherardo, diventato monaco; il
Petrarca accetta di sfidare la fortuna e rimanere tra gli affanni umani
prima di dedicarsi “al retto cammino della salute”.
La produzione del Petrarca
in lingua latina è maggiore rispetto a quella in italiano; alle rime ed
alla prosa in latino, infatti, il poeta affidava la sua fama.
Delle numerose lettere
scritte dal Petrarca, ci restano quattro Epistolari; il Rerum
Familiarium raccoglie 350 lettere, scritte tra il 1325 ed il 1366
e divise in 24 libri. Una parte di queste lettere è rivolta ai grandi scrittori
classici, da Cicerone a Orazio.
Le altre raccolte sono
Sine nomine, Varie, e Senili.
Nel 1338 il poeta da vita
ad una vasta opera biografica degli uomini illustri del passato. De
Viris illustribus, rimasta incompiuta, raccoglie numerose biografie
che vanno da Romolo a Mosè, da Adamo a Giasone.
Tra le opere morali e religiose
del Petrarca si ricorda il De vita solitaria, opera dedicata
all’esaltazione della vita dedita allo studio ed alla meditazione.
Il Canzoniere
Nel 1374 Petrarca rivede
e corregge la raccolta Rerum vulgarium fragmenta, antologia
delle rime in volgare; vi si contano 366 poesie (317 sonetti, 29 canzoni,
madrigali, sestine e ballate). Le rime sono state scritte in tempi diversi,
continuamente rielaborate e corrette dal poeta; qui si presentano in un
complesso unitario ed organico che reca all’inizio una partecipazione diretta
del lettore ad una storia non solo personale, ma tesa a ricercare in senso
profondo della vita. In un continuo fluttuare dell’anima, il Petrarca passa
dall’illusione terrena alla redenzione, in una complessa storia spirituale
che si conclude con la canzone alla Vergine e l’amore per Dio.
L’immagine di Laura sottende
tutta l’opera come mito soave e irraggiungibile nella sua natura; la sua
persona, amata in gioventù ed ispiratrice di alti sentimenti d’amore, diviene
ora il mito di una felicità totale. Sotto l’influsso della lirica provenzale,
il poeta ha elaborato un nuovo concetto dell’amore, visto come simbolo della
vita profonda e molteplice della coscienza, spogliato dei valori allegorici
dello stil novo e presentato con uno spessore individuale ben definito.
Il travaglio personale del poeta travalica l’esperienza personale per cogliere
ogni uomo nella stessa esperienza; in questo modo quell’io che si
confessa chiaramente all’inizio del Canzoniere diventa simbolo del contrasto
tra infinito e finito che ogni uomo vive nella continua ricerca di significati
capaci di giustificare l’esistenza.
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