L'industria del cinema americano si incarna
ottimamente nel genere western, una delle più longeve e antiche
tipologie della settima arte made in USA nonostante alcuni momenti di
pura crisi del settore.
I temi centrali su cui ruotano la maggior parte delle
pellicole western sono l'appropriamento di terre selvagge, il dominio
sulla natura con il pretesto del progresso della civiltà e il soggiogare
il popolo indiano con la conquista forzata delle loro terre.
Le prime pellicole western furono realizzate
esclusivamente all'interno di studi all'inizio del XX secolo e
successivamente, per mezzo del progresso tecnologico, le riprese dei
film furono spostate anche in ambienti aperti come la California,
l'Arizona, lo Utah, il Nevada, il Colorado o il Wyoming; con il passare
del tempo il fattore “ambiente” non costituì soltanto una componente
decorativa e semplicemente paesaggistica ma divenne un elemento portante
e funzionale per lo svolgimento della trama del film.
L'aspetto paesaggistico molto spesso comparava la
povertà di una struttura lessicale basata su un sistema semplicistico, a
volte disarmante, di dialoghi.
Le classiche pellicole western mostravano, agli occhi
dello spettatore, una figura iniqua dell'indiano che il più delle volte
si accingeva a rapire le donne dell'uomo “bianco”.
“I magnifici sette” (1960) di John Sturges con Yul
Brinner invece mostra altri temi ricorrenti di questo genere di
pellicole, come le razzie portate da bande criminali nei piccoli centri
abitati e sistematicamente sbaragliate dall'eroe di turno o gli
spettacolari e lunghi cammini intrapresi dalle carovane.
Due registi che negli anni quaranta e cinquanta resero
glorioso il cinema western furono Howard Hawks e John Ford; quest'ultimo
lavorò spesso con l'icona mondiale dei pistoleri di celluloide, ovvero
il grande John Wayne (nome d'arte di Marion Robert Morrison, nato a
Winterset il 26 maggio 1907 e morto a Los Angeles l'11 giugno 1979).
“Ombre rosse” (1939) di John Ford con John Wayne è
semplicemente considerato il cinema western per eccellenza.
Altre pellicole degne di nota sono “Mezzogiorno di
fuoco” (1952) di Fred Zinnemann con Gary Cooper, “Sentieri Selvaggi”
(1956) di John Ford con John Wayne, “Un dollaro d’onore” (1959) di
Howard Hawks con John Wayne.
Il sessanta e il settanta influenzarono il cinema
italiano con la sfumatura western, generando il famosissimo e
italianissimo sottogenere definito “spaghetti western” o anche “Italo-westerns”
in inglese.
In questo genere made in Italy l'uso della violenza è
molto maggiore rispetto alle pellicole hollywoodiane; il regista simbolo
di questi film fu senza ombra di dubbio il grandissimo Sergio Leone che
realizzò la famosa trilogia incentrata sul dollaro: “Per un pugno di
dollari” (1964) con Clint Eastwood, “Per qualche dollaro in più” (1965)
con Clint Eastwood e “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966) con Clint
Eastwood considerato uno dei film cult del genere western.
In queste pellicole molto spesso facevano il loro
esordio, attori sconosciutissimi che in futuro sarebbero diventati vere
e proprie icone del genere western; solitamente le location dove
venivano girati i film si trovavano o in Spagna, o in Italia e in casi
eccezionali in luoghi mediterranei.
Nel territorio iberico la zona maggiormente usata per
le riprese era il deserto dell'Almería mentre nelle penisola italiana, i
settori maggiormente utilizzati erano quelli centrali e quelli laziali;
Camposecco (a Carsoli tra Lazio e Abruzzo), il parco della Valle del
Treia fra Roma e Viterbo, le zone di Bassano Romano e Formello, le cave
di travertino presso Tivoli Terme e la campagna di Lunghezza alla
periferia di Roma e ancora i rilievi dell'Amiata e del Gran Sasso erano
le zone preferite dai registi per girare le proprie opere.
Nelle pellicole che usavano location spagnole era
molto usato proiettare le vicende in scenari incentrati su tematiche
come il banditismo messicano, la pericolosa zona di demarcazione tra
Stati Uniti e Messico e la rivoluzione messicana.
Elemento invece assente, al contrario delle pellicole
americane, era la presenza del popolo pellirossa nei film dello
spaghetti-western; l'assenza di scene soleggiate (come ci avevano
abituato i western classici) che accresceva il carattere malinconico del
western nostrano era dovuta anche al semplice fatto di girare le scene
ad alta quota dove sono molto più frequenti le formazioni di nuvole.
Tra il 1964 e il 1978 il filone western, grazie a
questo innovativo sottogenere, visse un momento di nuova popolarità
specialmente nella nostra penisola influenzando anche le produzioni
mondiali non europee; nel 2007, durante la “Mostra Internazionale d'Arte
Cinematografica di Venezia”, è stato reso omaggio agli “spaghetti
western” con la proiezione di circa 32 titoli:
- “I sette del Texas” di Joaquin Luis
Romero Marchent
- “100.000 dollari per Ringo” di Alberto De Martino
- “Il ritorno di Ringo” di Duccio Tessari
- “Ringo del Nebraska” di Mario Bava e Antonio Román
- “Un dollaro bucato” di Giorgio Ferroni
- “Django” (versione integrale) di Sergio Corbucci
- “The Bounty Killer” di Eugenio Martin
- “La resa dei conti” di Sergio Sollima
- “Navajo Joe” di Sergio Corbucci
- “Sugar Colt” di Franco Giraldi
- “Un fiume di dollari” di Carlo Lizzani
- “Yankee” di Tinto Brass
- “10.000 dollari per un massacro” di Romolo Guarrieri
- “El Desperado” di Franco Rossetti
- “Il tempo degli avvoltoi” di Nando Cicero
- “La morte non conta i dollari” di Riccardo Freda
- “Se sei vivo spara” (versione integrale) di Giulio
Questi
- “Ognuno per sé” di Giorgio Capitani
- “Preparati la bara!” di Ferdinando Baldi
- “Tepepa” di Giulio Petroni
- “Una lunga fila di croci” di Sergio Garrone
- “E Dio disse a Caino” di Antonio Margheriti
- “La taglia è tua l'uomo l'ammazzo io” di Edoardo
Mulargia
- “Lo chiamavano Trinità” di Enzo Barboni
- “Matalo!” di Casare Canevari
- “Vamos a matar compañeros” di Sergio Corbucci
- “La vendetta è un piatto che si serve freddo” di
Pasquale Squitieri
- “Il grande duello” di Giancarlo Santi
- “Il mio nome è Shangai Joe” di Mario Caiano
- “Una ragione per vivere e una per morire” di Tonino
Valerii
- “I quattro dell'apocalisse” di Lucio Fulci
- “Keoma” di Enzo G. Castellari
Il vocabolo “spaghetti western” fu coniato in America
per definire pellicole sorrette da bassissimi budget girate in lingua
italiana per via degli scarsissimi strumenti a disposizione delle varie
case di produzione.
La parola “spaghetti western”giustamente fa venire in
mente accostamenti legati alla cucina, ma non è così poiché il pomodoro,
condimento del classico piatto di pasta, era riconducibile all'enorme
quantità di sangue presente nei vari film del genere.
Il più grande rappresentante di questo genere, per
critica e pubblico, fu in maniera indiscutibile il grande regista Sergio
Leone coadiuvato da un folto numero di attori che animavano le sue
pellicole; il suo stile nel fare cinema catturò l'interesse sia di
artisti americani che di quelli internazionali.
L'influenza delle pellicole figlie di Sergio Leone e
del genere “spaghetti western” in generale diedero una sferzata
rinnovativa alle molteplici componenti, su cui si basavano i migliori
registi, concretizzando così un netto cambiamento nel processo
strutturale preso come punto di partenza per realizzare opere di matrice
western.
Tale fenomeno, precedentemente diffuso a macchia
d'olio nel continente europeo, si propagò anche negli Stati Uniti a
partire dalla fine degli anni sessanta; risultati tangibili di questa
influenza si videro intorno alla prima metà degli anni settanta nelle
pellicole statunitensi che narravano le vicende di pistole e cavalieri
solitari servendosi di sfumature molto più similari agli originali
“spaghetti western” che ai classici film alla John Ford.
Opere filmiche sottovalutate o propriamente non
considerate negli anni ottanta riscossero la propria rivincita venendo
osannate dalla critica; tali pellicole sono state giustamente omaggiate
grazie alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica tenutasi nel
2007 a Venezia.
Le location utilizzate per le riprese degli “spaghetti
western” erano di solito ambienti simili alle cornici americane ma molto
meno costosi in termine di budget e ubicati in Africa meridionale, nel
Lazio, in Spagna e in Sardegna.
La prima prova concreta dello spaghetti-western fu
“Terrore dell'Oklahoma” (1959) di Mario Amendola con Maurizio Arena
mentre le opere più rappresentative di questo genere sono certamente le
tre pellicole precedentemente menzionate sul dollaro e dirette con
maestria da Sergio Leone.
In questa trilogia nacquero stereotipi come l'eroe
senza nome (ovvero i personaggi interpretati dall'icona del genere
western Clint Eastwood) e le strabilianti colonne sonore di Ennio
Moricone.
“Il buono, il brutto e il cattivo” (1966) con Clint
Eastwood risulta una delle pellicole western di maggior successo che
quindi seppe sfruttare al meglio l'ingente budget messo a disposizione
(circa un milione di dollari).
Non pago dell'aver mostrato tutto il suo talento, il
maestro Leone incrementò il suo curriculum con l'imponente capolavoro
cinematografico noto come “C'era una volta il West” (1968) con Henry
Fonda.
La pellicola descrive un'era western ormai in declino
in cui si muovono figure mosse da istinti più umani che animano uno
scenario pionieristico disincantato e malinconico, trasdotto in maniera
esemplare su pellicola grazie alle capacità di abili registi.
Il primo impatto degli spaghetti-western con il
pubblico non fu dei migliori, visto che il genere in questione veniva
relegato in una categoria minore; i così detti film di serie “B”.
Però come menzionato precedentemente con l'esempio
della trilogia del dollaro, alcune pellicole giudicate di basso costo e
prettamente prodotti commerciali di intrattenimento divennero (e lo sono
tutt'ora) dei veri e propri capolavori in ambito cinematografico e non
solo ristrettamente inerenti al genere western.
Nel panorama italiano non va solo ricordato Sergio
Leone ma anche altri validi registi che seppero sperimentare dietro la
macchina da presa il genere western: Florestano Vancini, Duccio Tessari,
Sergio Corbucci, Lucio Fulci e Sergio Sollima.
Anche lo “spaghetti western” subì influenze da altri
generi portando alla realizzazione di ibride opere filmiche come “Joko
invoca Dio e muori” (1968) di Antonio Margheriti con Richard Harrison e
“I quattro dell'apocalisse” (1975) di Lucio Fulci con Fabio Testi che
contrapponevano ai soliti e stereotipati paesaggi mozzafiato, atmosfere
più cupe e gotiche sorrette da location di matrice tombale.
Molto innovativa risulta la pellicola “Sentenza di
morte” di Mario Lanfranchi (1968) con Enrico Maria Salerno dove fa la
sua comparsa il primo "cowboy zombie", che anticipa di ben quindici anni
il romanzo “Dead in the West” di Joe R. Lansdale del 1983.
In questo contesto anche le pellicole thriller western
e western peplum vissero momenti di alto gradimento.
Nel 1968 anche la comicità influenzò il genere western
con la sceneggiatura della parodia musicale “Non cantare, spara”
realizzata da Daniele D'Anza per la RAI e interpretata dal Quartetto
Cetra.
Una costola dello “spaghetti western” all'italiana, ma
con una venatura molto più comica, è senz'altro il sottogenere definito
"fagioli-western" (rivisitazione in chiave parodistica dello “spaghetti
western”) egregiamente portata la successo dall'inossidabile coppia
Terence Hill e Bud Spencer; indelebile è il ricordo delle loro
interpretazioni in “Lo chiamavano Trinità” (1970) di Enzo Barboni e
“...continuavano a chiamarlo Trinità” (1971) di Enzo Barbieri.
Dopo il boom degli anni sessanta e settanta, lo
spaghetti-western scomparve gradualmente ricomparendo, però in modo
sporadico, intorno agli anni ottanta e novanta con pochissime opere
quasi a sancire il poco interesse delle masse odierne per un genere che
ha fatto la storia dell'industria cinematografica.
Tracce dell'ultimo vero western possono essere
ritrovate nella pellicola del 1992 “Gli spietati” di e con Clint
Eastwood; il suo ruolo dietro la macchina da presa, amaramente
simboleggia la resa di un genere cinematografico ormai in declino e
avviato verso la via del tramonto.
La testimonianza che lo stile di Sergio Leone nel
realizzare western cambiò e influenzò radicalmente il modo di pensare
dei registi che lo avrebbero succeduto venne sottolineata dagli omaggi
di Quentin Tarantino (nei due volumi di “Kill Bill”) e Clint Eastwood
(“Gli spietati) al maestro della regia con la dedica durante i titoli di
coda “A Sergio”.
Non solo in Italia si diffuse il genere
spaghetti-western ma anche in altri paesi presero piede pellicole molto
simili a questo tipo di opere filmiche.
Ad esempio nella penisola iberica tali tipologie di
film furono denominate “chorizo-western” o “paella-western”
(quest'ultima definizione molto più similare al nostro
spaghetti-western); nella terra del Sol Levante invece il termine “noodle-western”
(dove noodle sono i tipici spaghetti giapponesi) fu ideato per
pubblicizzare la commedia “Tampopo” (1985) di Juzo Itami con Nobuko
Miyamoto.
Le opere odierne di Robert Rodriguez si sono
conquistate l'appellativo di burrito-western.
Un'analisi ben accurata fu svolta nel 1971 dallo
sceneggiatore italiano Franco Ferrini sulla rivista “Bianco e Nero”;
nelle righe del testo si apprendono le nove differenziazioni che
distinguono il western classico da quello nostrano della nostra
penisola.
Tali specifiche sono inerenti al diverso significato
funzionale che negli “spaghetti western” veniva dato alle banche, al
duello, al cimitero, all'alcol, alla legge e ai nomi; ovviamente la
linea di separazione non si limita solo a questi aspetti ma anche a
semplici accorgimenti come il fatto che la figura dell'Eroe non calza
mai a pennello sulla pelle del protagonista che agisce non in base ad un
senso di giustizia o di dovere ma essenzialmente per i propri interessi
che si concretizzano quasi sempre in beni in denaro.
E' proprio quest'ultimo che nelle pellicole italiane
prende il posto, spodestandoli, dei valori radicati nelle vecchie
pellicole western come amicizia, amore, rispetto, uguaglianza ed onore;
facendo una comparazione, gli spaghetti-western sono pregni di un
pessimismo che nelle classiche opere western americane veniva totalmente
cancellato ad appannaggio di un fervido e inarrestabile ottimismo.
Quindi la demarcazione tra male e bene e perciò tra
buono e cattivo non esiste più negli spaghetti-western a differenza del
western americano costituito da determinate figure ognuna aventi il
proprio ruolo.
Con il cinema di Sergio Leone si ha un impoverimento
dell'eroe buono di turno che si riflette sul resto dei comprimari delle
sue pellicole facendo apparire anche i personaggi più ottimisti come
figure pervase da impassibilità e insensibilità.
Prendendo come canoni di misura quelli impregnanti le
pellicole del western classico, ovviamente la comparazione tra
spaghetti-western e western americano è tutta a favore di quest'ultimo;
però il regista Sergio Leone con il suo aver voluto imbruttire
volutamente l'immaginario del classico western, ha donato allo
spettatore un punto di vista più vero con cui analizzare ed apprezzare
personaggi molto più simili alla realtà di quelli che popolavano i
radicati western americani.
Questa concezione realistica poteva essere ritrovata
non solo nelle persone in carne ed ossa delle pellicole ma anche nelle
abitazioni risultanti povere, quasi abbandonate e costituenti veri e
propri desolati villaggi paragonabili a quelli fantasmi.
Pellicole appartenenti allo spaghetti-western
risultavano spoglie di quell'alone di mitizzazione o leggenda che
imperversava nei classici western americani, conferendo quindi toni più
vicini alla realtà e al quotidiano.
Il nuovo stile glorificato da Sergio Leone descrive un
mondo popolato da pistoleri pieni di macchie e senza lode che si muovono
in scenari meno algidi e molto crudi o come odiernamente definiremo
politicamente scorretti.
Particolare dello “spaghetti western” è anche la
scelta di determinati titoli affibbiati ad alcune pellicole che
propongono frasi inerenti al contenuto del film; un esempio è “Lo
chiamavano Tresette... giocava sempre col morto” (1973) di Giuliano
Carnimeo con George Hilton.
Singolari sono anche le pellicole che si intitolano
con nomi o soprannomi dei personaggi “intrappolati” nei film in
questione; ne sono un esempio nomi e soprannomi come Trinità, Alleluja,
il Magnifico.
In alcuni casi sono sorti personaggi divenuti
protagonisti di vere e proprie saghe formate da decine di film come
Django, Sartana, Sabata; si usava questo espediente per invogliare il
pubblico a vedere pellicole che narravano le vicende di personaggi già
conosciuti oppure creando diversi personaggi che rispondevano tutti alle
caratteristiche di un collaudato prototipo.
Gli spaghetti-western riescono a valicare i confini
territoriali italiani approdando anche in terra giamaicana riuscendo ad
attrarre a se i consensi di molti produttori giamaicani di musica reggae
intorno agli anni settanta.
Tra di loro si distingue l'eccentrico Lee "Scratch"
Perry che produsse diversi brani musicali incentrati su tematiche di
matrice western all'italiana.
Tra i suoi lavori ricordiamo l'album del 1969 “Return
of Django” che comprendeva l'omonima e popolarissima canzone che
ovviamente faceva riferimento alla pellicola “Django” (1966) di Sergio
Corbucci con Franco Nero; l'album del 1970 “Clint Eastwood” con brani
come “For A Few Dollars More” (ispirato dalla pellicola “Per qualche
dollaro in più” di Sergio Leone del 1965 con Clint Eastwood) e “Clint
Eastwood” , l'album del 1970 “The Good, the Bad and the Upsetters”
(chiaramente ispirato dal film di Sergio Leone, “Il buono, il brutto, il
cattivo” del 1966 con Clint Eastwood); l'album del 1970 “Eastwood Rides
Again”.
Lee "Scratch" Perry e gli Upsetters (complesso di
supporto di Perry) utilizzarono le loro figure vestite da cowboy (con
speroni, cavallo, pistole e cappelli) nelle copertine di alcuni degli
album precedentemente menzionati.
Joe Gibbs è un altro produttore totalmente affascinato
dal mondo degli “spaghetti western” che produsse brani intitolati “Lee
Van Cleef” e “Franco Nero”.
Negli ultimi anni sono state prodotte raccolte che
mettono in risalto l'influenza degli spaghetti-western sul variegato
mondo del reggae:
VV.AA. - “For A Few Dollars More” (28 Shots Of Western
Inspired Reggae e pubblicato da Trojan Records nel 1998)
VV.AA. - “The Big Gundown” (Reggae Inspired By
Spaghetti Westerns e pubblicato da Trojan Records nel 2004)
Registi degli “spaghetti western”
-
Sergio Leone
-
Sergio Corbucci
-
Sergio Sollima
-
Giulio Petroni
-
Tonino Valerii
-
Enzo G. Castellari
-
Antonio Margheriti
-
Lucio Fulci
-
Giulio Questi
-
Florestano Vancini
-
Giuliano Carnimeo
-
Duccio Tessari
-
Mario Bava
-
Mario Caiano
-
Cesare Canevari
-
Ennio Morricone
-
Romolo Guerrieri
Compositori degli “spaghetti western”
-
Luis Enríquez Bacalov
-
Francesco De Masi
-
Ennio Morricone
-
Bruno Nicolai
-
Riz Ortolani
-
Piero Piccioni
-
Carlo Savina
-
Armando Trovaioli
-
Piero Umiliani
Attori degli “spaghetti western”
-
Clint Eastwood
-
Gian Maria Volontè
-
Lee Van Cleef
-
Eli Wallach
-
Henry Fonda
-
Charles Bronson
-
Bud Spencer (Carlo Pedersoli)
-
Terence Hill (Mario Girotti)
-
Klaus Kinski
-
Franco Nero
-
Giuliano Gemma
-
Mario Brega
-
Gianni Garko
-
Jack Palance
-
George Eastman (Luigi Montefiori)
-
Fernando Sancho
-
Tomas Milian
-
Fabio Testi
-
George Hilton
-
John Philip Law
-
Anthony Steffen (Antonio de Teffé)
Personaggi principali degli “spaghetti
western”
-
Uomo senza nome (Clint Eastwood)
-
Django (Franco Nero)
-
Banjo (William Berger)
-
Armonica (Charles Bronson)
-
Tuco (Eli Wallach)
-
Sabata (Lee Van Cleef)
-
Sentenza (Lee Van Cleef)
-
Sartana (Gianni Garko)
-
Cheyenne (Jason Robards)
-
Predicatore (Lou Castel)
-
Silenzio (Jean-Louis Trintignant)
-
Cuchillo (Tomas Milian)
-
Ringo (Giuliano Gemma)
-
Indio (Gian Maria Volontè)
-
Ramón Rojo (Gian Maria Volontè)
-
Jack (Henry Fonda)
-
Hallelujah (George Hilton)
-
Nessuno (Terence Hill)
-
Trinità (Terence Hill)
-
Bambino (Bud Spencer)
-
Mannaja (Maurizio Merli)
Filmografia “spaghetti western”: anni sessanta
-
1963 - “Duello nel Texas” di Ricardo
Blasco e Mario Caiano
-
1964 - “Per un pugno di dollari” di
Sergio Leone
-
1964 - “Minnesota Clay” di Sergio
Corbucci
-
1965 - “All'ombra di una colt” di
Giovanni Grimaldi
-
1965 - “Per qualche dollaro in più” di
Sergio Leone
-
1965 - “Una pistola per Ringo” di
Duccio Tessari
-
1965 - “Il ritorno di Ringo” di Duccio
Tessari
-
1965 - “Un dollaro bucato” di Giorgio
Ferroni
-
1965 - “Una bara per lo sceriffo” di
Mario Caiano
-
1966 - “Le colt cantarono la morte...
e fu tempo di massacro” di Lucio Fulci
-
1965 - “Adiós gringo” di Giorgio
Stegani
-
1966 - “Texas addio” di Ferdinando
Baldi
-
1966 - “The Bounty Killer” (El precio
de un hombre) di Eugenio Martín
-
1966 - “Django” di Sergio Corbucci
-
1966 - “10.000 dollari per un
massacro” di Romolo Guerrieri
-
1966 - “Perché uccidi ancora” di José
Antonio de la Loma
-
1966 - “I lunghi giorni della
vendetta” di Florestano Vancini
-
1966 - “Sette dollari sul rosso” di
Alberto Cardone
-
1966 - “Requiescant” di Carlo Lizzani
-
1966 - “I crudeli” di Sergio Corbucci
-
1966 - “Arizona Colt” di Michele Lupo
-
1966 - “Gli uomini dal passo pesante”
di Albert Band e Mario Sequi
-
1966 - “Per pochi dollari ancora” di
Giorgio Ferroni
-
1966 - “Ringo, il volto della
vendetta” (Los cuatro salvajes) di Mario Caiano
-
1966 - “Il buono, il brutto, il
cattivo” di Sergio Leone
-
1966 - “Pochi dollari per Django” di
León Klimovsky
-
1966 - “Johnny Oro” di Sergio Corbucci
-
1966 - “1000 dollari sul nero” di
Alberto Cardone
-
1966 - “Quien sabe?” di Damiano
Damiani
-
1967 - “Navajo Joe” di Sergio Corbucci
-
1967 - “...E divenne il più spietato
bandito del sud” (El hombre que mató a Billy el Niño) di
Julio Buchs
-
1967 - “Il pistolero segnato da Dio”
di Giorgio Ferroni
-
1967 - “L'uomo, l'orgoglio, la
vendetta” di Luigi Bazzoni
-
1967 - “Dio perdona... io no!” di
Giuseppe Colizzi
-
1967 - “Il figlio di Django” di
Osvaldo Civirani
-
1967 - “La resa dei conti” di Sergio
Sollima
-
1967 - “La più grande rapina del West”
di Maurizio Lucidi
-
1967 - “Da uomo a uomo” di Giulio
Petroni
-
1967 - “Professionisti per un
massacro” di Nando Cicero
-
1967 - “I giorni dell'ira” di Tonino
Valerii
-
1967 - “Un poker di pistole” di
Giuseppe Vari
-
1967 - “Per 100.000 dollari ti
ammazzo” di Giovanni Fago
-
1967 - “Vado... l'ammazzo e torno” di
Enzo G. Castellari
-
1967 - “Ballata per un pistolero” di
Alfio Caltabiano
-
1967 - “Se sei vivo spara” di Giulio
Questi
-
1967 - “Adiòs Hombre - Sette pistole
per un massacro” di Mario Caiano
-
1968 - “C'era una volta il West” di
Sergio Leone
-
1968 - “Il grande Silenzio” di Sergio
Corbucci
-
1968 - “Faccia a faccia” di Sergio
Sollima
-
1968 - “Al di là della legge” di
Giorgio Stegani
-
1968 - “I quattro dell'Ave Maria” di
Giuseppe Colizzi
-
1968 - “Uno di più all'inferno” di
Giovanni Fago
-
1968 - “I vigliacchi non pregano” di
Mario Siciliano
-
1968 - “Gentleman Jo... uccidi” di
Giorgio Stegani
-
1968 - “Preparati la bara!” di
Ferdinando Baldi
-
1968 - “T'ammazzo! - Raccomandati a
Dio” di Osvaldo Civirani
-
1968 - “Il mercenario” di Sergio
Corbucci
-
1968 - “I morti non si contano” (¿Quién
grita venganza?) di Rafael Romero Marchent
-
1968 - “Oggi a me... domani a te!” di
Tonino Cervi
-
1968 - “Se incontri Sartana prega per
la tua morte” di Gianfranco Parolini
-
1968 - “...e per tetto un cielo di
stelle” di Giulio Petroni
-
1969 - “Tepepa” di Giulio Petroni
-
1969 - “Sono Sartana, il vostro
becchino” di Giuliano Carnimeo
-
1969 - “Un esercito di cinque uomini”
di Don Taylor e Italo Zingarelli
-
1969 - “Garringo”regia di Rafael
Romero Marchent
-
1969 - “Gli specialisti” di Sergio
Corbucci
-
1969 - “Corri, uomo, corri” di Sergio
Sollima
-
1969 - “Django il bastardo” di Sergio
Garrone
-
1969 - “Il prezzo del potere” di
Tonino Valerii
-
1969 - “La collina degli stivali” di
Giuseppe Colizzi
-
1969 - “Vivi o, preferibilmente,
morti” di Duccio Tessari
-
1969 - “Ehi amico... c'è Sabata, hai
chiuso!” di Gianfranco Parolini
Filmografia “spaghetti western”: anni settanta
-
1970 - “Matalo!” di Cesare Cavenari
-
1970 - “Lo irritarono... e Sartana
fece piazza pulita” (Un par de asesinos) di Rafael
Romero Marchent
-
1970 - “Lo chiamavano Trinità” di Enzo
Barboni
-
1970 - “Arizona si scatenò... e li
fece fuori tutti” di Sergio Martino
-
1970 - “Un uomo chiamato Apocalisse
Joe” di Leopoldo Savona
-
1970 - “Anda muchacho, spara!” (El sol
bajo la tierra) di Aldo Florio
-
1970 - “Django sfida Sartana” di
Pasquale Squitieri
-
1970 - “C'è Sartana... vendi la
pistola e comprati la bara” di Giuliano Carnimeo
-
1970 - “Vamos a matar, compañeros” di
Sergio Corbucci
-
1970 - “Buon funerale, amigos!... paga
Sartana” di Giuliano Carnimeo
-
1970 - “Arriva Sabata!” di Tulio
Demicheli
-
1970 - “Una nuvola di polvere... un
grido di morte... arriva Sartana” di Giuliano Carnimeo
-
1970 - “Shango, la pistola
infallibile” di Edoardo Mulargia
-
1970 - “Quel maledetto giorno
d'inverno... Django e Sartana all'ultimo sangue” di
Demofilo Fidani
-
1970 - “La collera del vento” di Mario
Camus
-
1970 - “Indio Black, sai che ti dico:
Sei un gran figlio di...” di Gianfranco Parolini
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1971 - “Giù la testa” di Sergio Leone
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1971 - “...continuavano a chiamarlo
Trinità” di Enzo Barboni
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1971 - “Gli fumavano le Colt... lo
chiamavano Camposanto” di Giuliano Carnimeo
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1971 - “...e lo chiamarono Spirito
Santo” di Roberto Mauri
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1971 - “Blindman” di Ferdinando Baldi
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1971 - “È tornato Sabata... hai chiuso
un'altra volta” di Gianfranco Parolini
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1971 - “E continuavano a fregarsi il
milione di dollari” (Bad Man's River) di Eugenio Martín
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1971 - “W Django!” di Edoardo Mulargia
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1971 - “Tara Pokì” di Amasi Damiani
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1971 - “Testa t'ammazzo, croce... sei
morto... Mi chiamano Alleluja” di Giuliano Carnimeo
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1971 - “Acquasanta Joe” di Mario
Gariazzo
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1972 - “Si può fare... amigo” di
Maurizio Lucidi
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1972 - “E poi lo chiamarono il
magnifico” di Enzo Barboni
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1972 - “Il West ti va stretto,
amico... è arrivato Alleluja” di Giuliano Carnimeo
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1972 - “Viva la muerte... tua!” di
Duccio Tessari
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1972 - “Il grande duello” di Giancarlo
Santi
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1972 - “La vita, a volte, è molto
dura, vero Provvidenza?” di Giulio Petroni
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1972 - “Una ragione per vivere e una
per morire” di Tonino Valerii
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1972 - “La banda J. e S. cronaca
criminale del Far West” di Sergio Corbucci
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1972 - “Amico, stammi lontano almeno
un palmo” di Michele Lupo
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1972 - “Il mio nome è Shangai Joe” di
Mario Caiano
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1972 - “Pancho Villa - I tre del mazzo
selvaggio” (Pancho Villa) di Eugenio Martín
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1973 - “Campa carogna... la taglia
cresce” di Giuseppe Rosati
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1973 - “Los amigos” di Paolo Cavara
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1973 - “Ci risiamo, vero Provvidenza?”
di Alberto De Martino
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1973 - “Spirito Santo e le 5
magnifiche canaglie” di Roberto Mauri
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1973 - “Il mio nome è Nessuno” di
Tonino Valerii
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1973 - “Lo chiamavano Tresette...
giocava sempre col morto” di Giuliano Carnimeo
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1973 - “Tequila!” (Uno, dos, tres...
dispara otra vez) di Tulio Demicheli
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1974 - “Di Tresette ce n'è uno, tutti
gli altri son nessuno” di Giuliano Carnimeo
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1974 - “Il bianco, il giallo, il nero”
di Sergio Corbucci
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1974 - “Giubbe rosse” di Joe d'Amato
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1975 - “Il mio nome è Scopone e faccio
sempre cappotto” di Juan Bosch
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1975 - “I quattro dell'apocalisse” di
Lucio Fulci
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1975 - “La parola di un fuorilegge...
è legge!” (Take a Hard Ride) di Antonio Margheriti
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1975 - “Un genio, due compari, un
pollo” di Damiano Damiani
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1975 - “Cipolla Colt” di Enzo G.
Castellari
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1976 - “Keoma” di Enzo G. Castellari
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1977 - “California” di Michele Lupo
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1977 - “El Macho” di Marcello Andrei
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1977 - Mannaja, regia di Sergio
Martino
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1978 - “Sella d'argento” di Lucio
Fulci
Filmografia “spaghetti western”: anni ottanta
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1981 - “Occhio alla penna” Michele
Lupo
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1981 - “Comin' At Ya” di Ferdinando
Baldi
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1985 - “Tex e il signore degli abissi”
di Duccio Tessari
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1986 - “L'Apache bianco” di Bruno
Mattei eta Claudio Fragasso
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1987 - “Django 2 - Il grande ritorno”
di Nello Rossati
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1987 - “Scalps” di Bruno Mattei
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Filmografia “spaghetti western”: anni
novanta
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1991 - “Lucky Luke” di Terence Hill
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1994 - “Botte di Natale” di Terence
Hill
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1995 - “Jonathan degli orsi” di Enzo
G. Castellari
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1995 - “Trinità e Bambino... e adesso
tocca a noi!” di Enzo Barboni
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1998 - “Il mio West” di Giovanni
Veronesi
Il crescere dell'iniquità e della crudezza non tardò
ad influenzare anche il cinema americano che intorno alla fine degli
anni sessanta capovolse principi saldi come il ruolo di cattivi dei
nativi indiani, ora visti anche come vittime di soprusi perpetrati
dall'ex uomo bianco o la strumentalizzazione della violenza come unico
mezzo per imporre la ragione e dimostrare di non essere dalla parte
sbagliata della barricata.
Questa nuova concezione di vedere le pellicole western
fornì l'incentivo per produrre opere filmiche come “Il mucchio
selvaggio” (1969) di Sam Peckinpah con Ernest Borgnine, “Piccolo grande
uomo” (1970) di Arthur Penn con Dustin Hoffman, “I compari” (1971) di
Robert Altman con Warren Beatty, e “Corvo rosso non avrai il mio scalpo”
(1972) di Sydney Pollack con Robert Redford.
Intorno agli anni novanta il genere western era caduto
un po' in disuso ma grazie a pellicole memorabili come “Balla coi lupi”
(1990) di e con Kevin Costner e “Gli spietati” (1992) di e con Clint
Eastwood tale tipologia di film seppe rialzarsi alla grande.
La parola western, specialmente secondo un'ottica
prettamente cinematografica, rievoca nella mente di ognuno
l'ambientazione tipicamente americana del XIX secolo; però non sempre è
stato così poiché pellicole come “I sette samurai” (1954) di Akira
Kurosawa con Toshiro Mifune testimoniano come le tematiche presenti nel
western dei vari Johj Wayne e Clint Eastwood possano essere riproposte
tali e quali nel loro contenuto in una realtà orientale totalmente
diversa nella forma.
In molte pellicole western le location in cui vengono
girate le scene sono essenziali, trovandosi sullo stesso piano dei
personaggi.
Spesso le ambientazioni sono funzionali con ciò che si
vuole rappresentare emotivamente; ad esempio quando si vuole esprimere
crudezza e durezza si utilizzano riprese incentrate su paesaggi
desertici come in “Sentieri selvaggi” (1956) di John Ford con John Wayne
e “Terra di confine - Open Range” (2003) di e con Kevin Costner.
In alcuni casi la gioia e la spensieratezza di una
vita vissuta immersi nelle meraviglie della natura vengono trasdotte sul
grande schermo con scenari ricchi di allegria come in “Mezzogiorno di
fuoco” (1952) di Fred Zinnemann con Gary Cooper.
Location molto usate di frequente sono ranch, saloon,
prigioni e fortini mentre elementi simbolici come i cappelli larghi, le
pistole colt, gli speroni, l'inseparabile cavallo e le
prostitute-ballerine ormai identificavano la figura classica del
pistolero western.
Le trame delle pellicole western spesso sono
incentrate sull'esplorazione e sulla conquista di terre dure e
sconfinate e sull'espropriazione delle stesse a danno del popolo indiano
dei pellirossa che erano i veri proprietari naturali di tali territori.
I canoni che regolano il lineare svolgimento della
vita si basavano non sulla legge giuridica, ma su quella morale dominata
dal codice d'onore; quindi non esistono nel selvaggio west carte
d'identità che definiscono lo stato di un individuo ma bensì valori
positivi come il buonismo e negativi come la violenza che identificano
l'inclinazione del singolo, delineando la linea di demarcazione tra
buono e cattivo e tra male e bene.
Spesso si vedono scontri tra pistoleri e indiani
inizialmente a favore dell'uomo bianco e successivamente ad appannaggio
del popolo pellirossa; elementi ridondanti presenti nelle pellicole
western sono i lunghi viaggi intrapresi da numerose carovane e le orde
di banditi che mietono terrore e saccheggi nelle piccole cittadine come
ne “I magnifici sette” (1960) di John Sturges con Yul Brynner.
Anche per il western, come tutte le altre tipologie,
si possono distinguere dei sottogeneri ibridi aventi come base il genere
western: il western epico, il western sparatutto, il western cantato, la
commedia western ed il western revisionista che è stato utilizzato per
il rilancio di questo genere.
“La grande rapina al treno” (1903) di Edwin S. Porter,
interpretato da Broncho Billy Anderson viene considerata una delle prime
pellicole promotrici del genere western; il film fu mostrato al pubblico
nel 1903 riscuotendo un successo tale da trasformare Anderson in una
vera e propria icona di questa tipologia.
Molteplici furono i tipi di arma da fuoco impiegati
nelle pellicole western come le pistole “Colt 1873” e le carabine
“Winchester a leva”.
In alcuni casi l'utilizzo di armi in pellicole western
di seconda categoria ha causato piccole incongruenze temporali come
l'uso della pistola precedentemente menzionata, la “Colt 1873” durante
la guerra di Secessione (1861 – 1865); sicuramente la scelta di
quest'arma è stata dettata da esigenze di budget e di “pragmaticità”.
Infatti nel vivo delle scene d'azione sarebbe stato
d'impaccio caricare dei revolver ad avancarica (pallottole separate,
capsule e fiaschetta per la polvere) e quindi l'utilizzo cadde su
semplici revolver a cartucce anche andando incontro ad anacronismi
storici.
Con le pellicole western man mano le dinamiche
inerenti alla precisione nel colpire i bersagli e alla rapidità
nell'estrarre la pistola e sparare assunsero sfumature quasi irreali ed
esagerate; negli spaghetti-western furono progettate nuove armi,
ottenute da quelle semplici in modo fantasioso che funzionalmente non
servivano a niente ma ne guadagnava la spettacolarità.
Odiernamente invece l'arsenale usato nelle pellicole
western tende ad essere sempre più attinente all'originale soprattutto a
livello storico a seconda del contesto in cui è immersa la vicenda
narrata.
Alla fine degli anni sessanta per via dei moti di
ribellione nati intorno al 1968 si incominciò a nutrire dubbi sugli
aspetti basilari del genere western come la natura selvaggia affibbiata
ai Nativi Americani considerati i cattivi di turno o come l'utilizzo
delle maniere forti per far valere la propria ragione.
Un esempio di questa cinema revisionista sono
pellicole come “Soldato blu” (1970) di Ralph Nelson con Donald Pleasence,
“Corvo rosso non avrai il mio scalpo” (1972) di Sidney Pollack con con
Robert Redford, “Piccolo grande uomo” (1970) di Arthur Penn con Dustin
Hoffman, “Balla coi lupi” (1990) di e con Kevin Costner, “Il texano
dagli occhi di ghiaccio” (1976) di e con Clint Eastwood e “Gli spietati”
di e con Clint Eastwood.
Ora si verifica un'inversione di rotta con il
capovolgimento dei ruoli dove l'indiano pellirossa non viene mostrato
più come il cattivo e crudele indigeno ma come povero, indifeso e
legittimo proprietario naturale delle terre in cui è insediato e l'uomo
bianco come colui che in modo prepotente vuole operare la confisca,
anche con la forza, dei propri beni terrieri.
Infatti ora personaggi leggendari come Buffalo Bill in
“Buffalo Bill e gli indiani” (1976) di Robert Altman con Paul Newman e
il Generale Custer in “Piccolo grande uomo” (1970) di Arthur Penn con
Dustin Hoffman vengono derisi e smitizzati.
Anche le donne nelle pellicole western incominciarono
ad assumere ruoli più autonomi e in alcuni film anche più smaliziati
come in “C'era una volta il West” (1968) di Sergio Leone con Henry Fonda
“Terra di confine - Open Range” (2003) di e con Kevin Costner, “The
Quick and the Dead - Pronti a morire” (1995) di Sam Raimi con Sharon
Stone e “The Missing” (2003) di Ron Howard con Tommy Lee Jones.
Simboli significativi e specifici si generarono in
questa tipologia di pellicole come l'incontro tra due persone in un
luogo desolato sgorgava inevitabilmente in un duello all'ultimo sangue,
oppure il colore dei cappelli indicava l'inclinazione di ogni individuo
(cappello nero era sfoggiato dal cattivo di turno mentre quello bianco
dall'eroe della situazione).
“Maverick” (1994) di Richard Donner con Mel Gibson e
“Piccolo grande uomo” (1970) di Arthur Penn con Dustin Hoffman
sovvertono i canoni base del cinema western con l'indiano come
protagonista della pellicola al contrario del classico cowboy.
Simile è anche “Balla coi lupi” (1990) di e con Kevin
Costner in cui i ruoli sono invertiti presentando iniqui soldati ed
eroici indiani; ne “Gli spietati” (1992) di e con Clint Eastwood si
verifica un mescolamento di tutti i classici ingredienti del western
ottenendo un prodotto però diverso: l'eroe principale non è temerario e
ne coraggioso ma bensì fifone, i malvagi riescono ad ottenere la propria
vendetta e i buoni finiscono col rimetterci la vita.
Con l'evolversi dello stile western si è modificata
anche l'ambientazione in cui si svolge la vicenda narrata nella
pellicola; quindi si incominciano a vedere non più duelli e scene
d'azione collocate nel west americano del XIX secolo ma anche in
ambienti diversi come in “Hud il selvaggio” (1963) di Martin Ritt con
Paul Newman e in “I sette samurai” (1954) di Akira Kurosawa con Toshiro
Mifune.
Comunque il genere western non fu utilizzato solo per
realizzare pellicole d'azione o totalmente seriose ma anche film ironici
che hanno messo in risalto aspetti principali e basilari del genere
cinematografico in esame.
Esilaranti pellicole parodistiche furono realizzate
come “Mezzogiorno e mezzo di fuoco” (1974) di Mel Brooks con Gene
Wilder, “McCabe & Mrs Miller: I compari” (1971) di Robert Altman con
Warren Beatty.
Sostanziale fu il contributo apportato dall'industria
cinematografica italiana al genere western parodistico con
l'inossidabile duo Franco Franchi e Ciccio Ingrassia: “Il bello, il
brutto, il cretino” (1967) di Giovanni Grimaldi e con Mimmo Palmara e
Gino Buzzanca, “I due sergenti del generale Custer” (1966) di Giorgio C.
Simonelli e con Aroldo Tieri, “I due figli di Trinità” (1972) di
O.Civirani e “I due figli di Ringo” (1966) di C. Simonelli con George
Hilton.
Famose pellicole sono anche “Il dito più veloce del
West” (1969) di Burt Kennedy con James Garner, “Cat Ballou” (1965) di
Elliot Silverstein con Jane Fonda e” Mezzogiorno e mezzo di fuoco”
(1974) di Mel Brooks con Gene Wilder.
Lo stile orientale del Giappone influenzò, con il
cinema di Akira Kurosawa, il genere western con pellicole come “I
magnifici sette” (1960) di John Sturges con Yul Brinner (rifacimento de
“I sette samurai” del 1954 di Akira Kurosawa con Toshiro Mifune); “Per
un pugno di dollari” (1964) di Sergio Leone con Clint Eastwood e “Ancora
vivo” (1996) di Walter Hill con Bruce Willis prendono spunto da “La
sfida del samurai” (1961) di Akira Kurosawa con Toshiro Mifune.
Quest'ultima pellicola del maestro giapponese a sua
volta si era ispirata al film “Piombo e sangue” (1929) romanzo
dell'americano Dashiell Hammett.
L'Europa Orientale, nonostante gli ostacoli conseguiti
dalla Guerra fredda, fu influenzato notevolmente dal genere western,
producendo un proprio genere cinematografico denominato “Western rosso”
o “Ostern”; tale stile si suddivise in due tipologie che si
differenziavano per le ambientazioni dove in una si rappresentavano
vicende all'epoca della guerra civile o della ribellione dei basmachi o
della rivoluzione russa e in un'altra zone del Blocco Orientale.
Altro genere che si interseca con quello western è il
western "post-apocalittico" che narra le avventure di un gruppo ben
delineato di sopravvissuti ad una catastrofe mondiale del XIX che
lottano ogni giorno per ridare credito e speranza ad un'era in cui i
valori come rispetto e dignità si sono dissolti come neve al sole.
Ne sono un esempio filmico la serie di Mad Max con le
tre pellicole “Mad Max” (1979) di George Miller con Mel Gibson, “Interceptor
– il guerriero della strada” (1981) di George Miller con Mel Gibson, “Mad
Max – Oltre la sfera del tuono” (1985) di George Ogilvie e George Miller
con Mel Gibson e “L'uomo del giorno dopo” (1997) di e con Kevin Costner.
Alcune volte il genere western si sposta nel futuro
come in “Atmosfera zero” (1981) di Peter Hyams con Sean Connery che si
rifa alle vicende narrate in “Mezzogiorno di fuoco” (1952) di Fred
Zinnemann con Gary Cooper.
L'azione si mescola con il western come in “I
Guerrieri” (1970) di Brian G. Hutton con Clint Eastwood, pellicola di
guerra animata da figure di pura matrice western.
Lo stesso George Lucas ha definito la sua creatura
“Guerre stellari” un rinnovamento delle pellicole western sostituendo le
classiche colt con le colorate spade laser.
Gli Jedi, che devono il loro nome alla saga giapponese
Jidaigeki incentrata sui samurai, sono i cowboy del futuro notevolmente
influenzati dai personaggi dei film del maestro orientale Kurosawa; la
figura di Han Solo ricorda molto un tipico pistolero e il locale a Mos
Eisley sul pianeta Tatooine strutturalmente è simile ad un saloon del
vecchio west.