RAPPRESENTAZIONE CINEMATOGRAFICA E
PSICOLOGIA
Se il cinema viene definito come produzione umana dal
punto di vista artistico, culturale e storico, e la psicologia altro non è
se non la scienza che studia i fenomeni propri del meccanismo mentale e
affettivo, è interessante osservare come tra le due discipline esista un
innegabile innamoramento.
Il cinema mette in scena tali meccanismi, la psicologia
dà spunto al cinema e insieme lo pervade.
Si è da sempre autorevolmente sostenuto e dimostrato
che l’arte, categoria a cui i cinema appartiene, assolva la funzione di
purificare l’animo dalle emozioni, far salire alla ribalta la memoria,
determinando nell’individuo una presa di coscienza delle proprie
inquietudini e spesso consentendo di risolverle.
Nel mondo greco - classico questa funzione era assolta
dalla tragedia cosiddetta catartica (da katarsi = purificazione), in quanto
generatrice nello spettatore di impressioni vive, e capace di far
affiorare gli stati interiori dell’uomo. Nella società moderna si può
affermare che sia il cinema a raccoglierne l’eredità e che l’arte
cinematografica, per la sua diffusione e per l’immediatezza delle immagini
non mediate da simboli quindi ancora più efficaci e dirette, coinvolga lo
spettatore immergendolo in uno stato che annulla momentaneamente il mondo
circostante, calandolo in storie che divertono, commuovono o fanno
sognare.
L’arte cinematografica, secondo la stessa osservazione
scientifica, rivela contenuti psicologici tipici dell’inconscio e
appartenenti a quella parte dell’animo umano dove sono più resistenti ad
essere riconosciuti e identificati.
Il cinema è anche dissacratore, provocatorio, ironico,
intimistico e di inchiesta, di condanna sociale, ma ha sempre qualcosa da
raccontare perché appartiene alla libertà di espressione e pensiero. Se
resiste alla tentazione di indugiare morbosamente e per mera curiosità
sugli eventi umani, può aiutare a rappresentare, senza avere la
presunzione di capire, fenomeni drammatici come la sofferenza e la morte,
imponenti tabù dell’era moderna. Deve, però, fuggire dalla tentazione
delle immagini della morte che si fa spettacolo e della sofferenza altrui,
tanto più spiacevole quanto più sopportabile per chi assiste da semplice
spettatore, evitando di costruire quella che a ragione è stata definita la
"morte secondo copione". Nel caso contrario si finirebbe per sottrarre
sacralità a un evento naturale e drammatico della vita umana e quindi alla
vita stessa.
Laura Sforza
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