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La risata al cinema e il suo Principe Antonio De Curtis

Totò il Principe della risataLa comicità italiana fin dalle prime pellicole (e anche precedentemente) è sempre stata un'arte che ha raccolto, da parte di coloro che ne hanno assaporato il gusto, un ottimo gradimento e accoglienza.

La tradizione dell'ironia della nostra penisola ha sempre riscontrato enorme successo in tutto il mondo come testimoniano nel 1999 gli Oscar ricevuti dalla pellicola “La vita è bella” per “Il miglior film straniero”, “La miglior colonna sonora” (Nicola Piovani) e “Il miglior attore” (Roberto Benigni).

Anche i più giovani cinefili, pur non avendoli visti recitare ai loro tempi, conosceranno mostri sacri della comicità italiana come Vittorio De Sica (il cui figlio Christian ne ha seguito le orme, diventando uno dei fondatori del famoso milionario appuntamento di Natale ovvero il “cinepanettone”), Vittorio Gassman (anch'egli seguito dal figlio Alessandro anche lui divenuto noto e talentuoso attore), Nino Manfredi, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi (di lui hanno seguito le orme recitative i due figli Ricky e Gianmarco), e Gigi Proietti.

Ovviamente l'universo italiano della spiritosaggine e della goliardia è molto più vasto e annovera un'infinità di attori comici che hanno provveduto a rendere questa dimensione unica e apprezzata in tutto il globo.

Anche se i nomi menzionati prima sono una piccolissima parte infinitesimale di questo universo, sono stati nominati fra i più grandi della comicità italiana; però leggendo i nomi salterà subito all'occhio un'imperdonabile mancanza...

No, non si tratta dell'inarrivabile Valter Chiari, delle'irresistibile Bramieri o del mitico Aldo Fabrizi... all'appello manca il principe della risata Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio meglio conosciuto come Totò!

Tale dimenticanza è stata fortemente voluta poiché “imballare” Totò in un appellativo di “attore comico”, pur seguito da un superlativo (ad esempio bravissimo) sarebbe troppo riduttivo.

Egli col suo modo di approcciarsi al pubblico e alla macchina da presa forgiò nuovi personaggi magari poveri nelle tasche ma ricchi nello spirito e nell'ironia; figure che nonostante una situazione quasi sempre precaria e misera riuscivano a districarsi dalle situazioni più problematiche col sorriso sulle labbra e con la serenità nel cuore.

Egli con la sua mimica dinoccolata e disarticolata (basti pensare alle infinite mosse esibite durante i suoi film) creava una trasmigrazione della realtà in una dimensione farsesca e ironica ma non stupida; anzi molti suoi dialoghi o battute in una prima lettura possono sembrare senza senso ma analizzandoli in modo approfondito, rivelano una genialità di fondo non comune nelle pellicole dell'epoca.

Ne sono un valido esempio la scena di Totò e Peppino a Milano in “Totò, Peppino e la malafemmina” oppure il dialogo surreale di Totò e il macellaio in “47 morto che parla”.

Forse l'irrealtà delle scene e l'estrazione sociale quasi sempre povera, o al massimo borghese, dei personaggi incarnati da Totò hanno contribuito a glorificare la figura dell'artista De Curtis.

Egli nell'inquadratura è il padrone assoluto della scena che domina con tutta le sue virtù “buffonesche”, rivelando un'indole pervasa da un elevato e genuino istrionismo atta ogni volta a salvarlo dalle situazioni intricate che egli stesso beffardamente si crea.

A volte le sue performance sono coadiuvate da ottime spalle (di lusso, e che lusso!) come Nino Taranto e Peppino De Filippo (solo per citarne alcuni) che, in modo quasi sempre succube, ogni volta “gettano” in mezzo al dialogo lo spunto per incitare Totò alla battuta come una bistecca grassa e succulenta lanciata ad un mastino affamato.

Comunque anche singolarmente l'istrionico ed egocentrico Totò riesce a dominare la scena come un cowboy che prende per le corna un toro imbizzarrito; così De Curtis cattura l'attenzione dello spettatore, guidandolo verso la strada della comicità e dell'ironia, che una volta intrapresa non potrà più fare a meno di percorrere una e più volte.

In definitiva possiamo, senza riserve o ripensamenti, affermare che Totò non appartiene alla comicità italiana me che egli stesso è la comicità italiana fatta persona.

 

 

 

 

 

 

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