KONSTANTIN SERGEEVIČ STANISLAVSKIJ
Se si segue la
felice definizione “il teatro è le donne e gli uomini che lo fanno”,
si arriva alla consapevolezza che questo magico mondo della
rappresentazione prende piena forma dalle mani che lo indicano e
dagli occhi che lo guardano, dai sogni che lo spingono e dalle idee
di donne e uomini che nell’arte cercano un ordine nuovo per ovviare
all’imperfezione della vita. Negli anni, molti artisti hanno
contribuito a trasformare il palcoscenico in un ponte che unisce
l’attore e lo spettatore, o in un salto nella forma che trova piena
legittimazione nella rappresentazione.
Di questi ponti
Konstantin Stanislavskij è certamente uno dei più grandi
costruttori; nella sua carriera ha unito il sapere, il fare ed il
saper fare nel preciso intento di dare nuova forma alla
rappresentazione teatrale.
A Konstantin
Sergeevič Alekseev, vero nome di Konstantin Sergeevič
Stanislavskij (Mosca, 1863 – 1938), va il merito innanzitutto di
aver dato forma ad una vasta pedagogia teatrale che, attraverso
numerosi scritti, ha formato un metodo, detto appunto
metodo
Stanislavskij, tanto praticato da molti attori in tutto il
mondo.
Questo metodo, va
detto, riporta ad un particolare contesto storico e culturale che
vede in molti luoghi, soprattutto in Francia, Germania, Inghilterra,
Norvegia e Russia, la messa in discussione di tutti i valori morali,
sociali, estetici e tradizionali. Il naturalismo di Zola e
dei fratelli De Goncourt, la cura del dettaglio e l’autenticità
della compagnia dei Meininger, il realismo scenico di Irving e lo
stile irriverente di Ibsen accompagnano il teatro verso nuove
prospettive e metodologie che devono necessariamente confrontarsi
con il piccolo gigante nato dalle proiezioni dei fratelli Lumiere.
Nel 1897, anno in
cui Stanislavskij e il critico e drammaturgo Vladimir Nemirovič
Dančenko danno vita al Teatro d’Arte a Mosca, una
compagnia di attori professionisti e dilettanti, è già maturata la
convinzione che il teatro è ormai avviato verso la nuova epoca della
regia totalizzante.
Questo aspetto
colpisce l’attenzione del giovane Stanislavskij in occasione della
tourné dei Meininger in Russia. Proprio la compagnia del duca
Giorgio II di Saxe-Meiningen, diretta da Ludwig Chronegk, aveva dato
vita tra il 1866 ed il 1894 ad un nuovo modo di intendere
l’organizzazione dello spettacolo; ogni attore, infatti, era
chiamato di volta in volta ad interpretare la parte per la quale era
ritenuto più adatto. Questa nuova metodologia porta al superamento
della regia tradizionale e del principio dei ruoli. In questo
processo si inserisce una nuova figura, quella del regista,
che decide quale attore sia più adatto ad interpretare un
personaggio, azzerando in un sol colpo la consolidata gerarchia dei
ruoli.
Se a questo si
unisce il fatto che negli stessi anni della tourné dei Meininger la
Russia si preparava ad un’intensa rivoluzione culturale che avrebbe
capovolto nel giro di pochi anni i valori delle vecchie gerarchie
per attirare l’attenzione sulle problematiche della borghesia
emergente (si guardino a tal proposito le opere di Gogol’, Ostovskij,
Čechov e Gor’kij), si arriva a comprendere che Stanislavskij e
Dančenko si siano trovati, insieme al francese André Antoine, al
tedesco Otto Brahm ed all’olandese J.T. Grein, a condurre il nuovo
movimento.
Stanislavskij e
Dančenko decidono di dar vita ad una nuova compagnia teatrale; al
drammaturgo spetta la direzione letteraria del repertorio,
all’attore il compito di dirigere attori e scenografi. I due hanno a
disposizione i fondi del ricco mecenate Savra Morozov.
Il successo del
dramma di Čechov Il gabbiano convince Stanislavskij a seguire
la strada del realismo assoluto: sulla scena tutto
diventa realtà effettuale, scompare la mimesi della realtà ed appare
la realtà del personaggio. Per arrivare a questo, il regista
individua un preciso metodo, detto psicotecnica, con
il quale l’attore può ri-nascere per ri-vivere la vita
del personaggio. Attraverso la reviviscenza (pereživanie)
l’attore conosce il personaggio grazie alle proprie sensazioni ei i
propri sentimenti; ogni azione, ogni gesto, viene vissuto
dall’attore come se fosse in una totale immedesimazione, come se la
vita del personaggio fosse possibile solo grazie alla linfa
psicologica dell’attore. Quest’aderenza all’intima natura, porta
l’attore a creare il sottotesto necessario alla realtà del
personaggio.
Tutto questo
processo, dedicato al grande artista che è l’attore, è emerso nel
corso del Novecento negli allestimenti di Čechov, Shakespeare, Gor´kij
e Maeterlinck, e, specialmente, nei numerosi scritti, in particolare
ne La mia vita nell'arte,Il lavoro dell'attore su sé stesso, Il
lavoro dell'attore sul personaggio e L'attore creativo.
Nel corso del Novecento, la psicotecnica di Stanislavskij ha portato
Lee Strasberg a creare il metodo diffuso nel rinomato
Actor’s
Studio di New York.
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