Altra nazione che impreziosì il genere cinematografico
drammatico fu sicuramente la Francia che trovò in Jean Renoir, con “La
grande illusione” (1937), un degno rappresentante; questa orientazione
stilistica si perfezionò successivamente negli anni cinquanta grazie
alla strepitosa “Nouvelle Vague” che come una musica armoniosa seppe
trovare in François Truffaut (“I quattrocento colpi” del 1959 con Jean
Pierre Léaud), Alain Resnais (“Hiroshima mon amour” del 1959 con
Emmanuelle Riva) e Jean-Luc Godard (“Fino all’ultimo respiro” del 1960
con Jean-Paul Belmondo) degli eccellenti direttori d'orchestra.
La cinematografia drammatica iberica si incarnò nella
regia stilistica di affermati registi come Luis Bun~uel
(“Bella di giorno” del 1967 con la bellissima Katherine Deneuve) e Pedro
Almodóvar (“Tutto su mia madre” del 1999 con Pénelope Cruz); la
cinematografia tedesca va ricordata in ambito drammatico grazie
al regista Fritz Lang (“Metropolis” del 1927 con Alfred Abel, Gustav
Fröhlich e Rudolf Klein-Rogge, “M - Il mostro di Dusseldorf” del 1931
con Peter Lorre).
Anche il Sol Levante lasciò la sua massiccia impronta
nel genere drammatico grazie a registi del calibro di Kenji Mizoguchi
(“Amanti crocifissi” del 1954 con Kazuo Hasegawa e Kyôko Kagawa) e Akira
Kurosawa (“I sette samurai” del 1954” con Toshirô Mifune e Takashi
Shimura, “Rashomon” del 1950 con Toshirô Mifune e Machiko Kyô e “Ran”
del 1985 con Tatsuya Nakadai e Akira Terao).
Nella zona nord dell'Europa, la drammaticità trovò in
Ingmar Bergman il suo più grande rappresentante.
Il regista svedese si rese protagonista della
realizzazione di film molto introspettivi e pregni di simboli che
celavano un visione molto personale delle vicende come “Il settimo
sigillo” del 1957 con Max Von Sydow, “Il posto delle fragole” del 1957
con Victor Sjöström e Bibi Andersson, “Sussurri e grida” del 1972 con
Harriet Andersson e Kari Sylwan e “Fanny e Alexander” del 1982 con
Pernilla Allwin e Bertil Guve.
Il regista Krzysztof Kieslowski di origini polacche
simboleggiò la drammaticità dell'Europa dell'Est grazie ai tre film
capolavoro che facevano parte della struttura filmica conosciuta con il
nome di “Tre colori”; le tre pellicole costituenti la trilogia sono:
“Film bianco” del 1994 con Zbigniew Zamachowski e Julie Delpy, “Film
rosso” del 1994 con Irène Jacob e Jean-Louis Trintignant e “Film blu”
del 1993 con Juliette Binoche e Benoît Régent.
Nella nostra penisola il genere drammatico, dalla
seconda metà degli anni quaranta, ebbe in Roberto Rossellini e Vittorio
De Sica i suoi maggiori sostenitori e promulgatori; il primo realizzò
“Roma città aperta” (1945 con Aldo Fabrizi e Anna Magnani) e “Germania
anno zero” (1948 con Edmund Moeschke e Ernst Pittschau) mentre il
secondo diresse capolavori come “Sciuscià” (1946 con Franco Interlenghi
e Rinaldo Smordoni), “Ladri di biciclette” (1948 con Lamberto Maggiorani
ed Enzo Staiola) e “Umberto D” (1952 con Carlo Battisti e Maria-Pia
Casilio).
La componente cinematografica drammatica inoltre fu
notevolmente influenzata dalla corrente neorealista che si andò
diffondendo a macchia d'olio in quel periodo.
Negli anni cinquanta e sessanta opere come
“Ossessione” (1943) con Massimo Girotti, “Senso” (1954) con Aida Valli e
“Rocco e i suoi fratelli” (1960) con Alain Delon fecero conoscere al
pubblico il talento emergente di Luchino Visconti; altri grandi
interpreti del genere drammatico furono i registi Michelangelo Antonioni
che diresse “L’avventura” (del 1960 con Monica Vitti e Lea Massari),
Francesco Rosi con “Salvatore Giuliano” (del 1962 con Frank Wolff),
Marco Ferreri con “Dillinger è morto” (1969 con Michel Piccoli), Ettore
Scola con “Una giornata particolare”(1977 con Sophia Loren e Marcello
Mastroianni).
Un regista che ha lasciato il segno nella
cinematografia italiana e anche mondiale è sicuramente il romagnolo
Federico Fellini; tra i suoi tanti capolavori ricordiamo “La strada”
(1954) con Anthony Quinn e Giulietta Masina, “La dolce vita” (1960) con
Anita Ekberg e Marcello Mastroianni e “8½” (1963) con Marcello
Mastroianni e Claudia Cardinale.
Il suo stile di raccontare con eleganza la realtà e la
vita quotidiana, condendo la struttura descrittiva con malinconico
surrealismo e raffinata percezione onirica, divenne un marchio unico e
inimitabile che lo contraddistinse in tutte le zone del mondo.
Altre pellicole che riscossero enorme successo
mondiale furono “Ultimo tango a Parigi” (1972) di Bernardo Bertolucci
con Marlon Brando e Maria Schneider, “C’era una volta in America” (1984)
di Sergio Leone con Robert De Niro e Joe Pesci, “Nuovo Cinema Paradiso”
(1988) di Giuseppe Tornatore con Salvatore Cascio, “La vita è bella”
(1997) di Roberto Benigni con Roberto Benigni e Nicoletta Braschi e “Gomorra”
(2008) di Matteo Garrone con Toni Servillo.
Un sottogenere molto apprezzato, nonostante l'alta
componente ibrida dramma-sentimento, soprattutto da un'alta percentuale
di donne è il dramma sentimentale.
Tra le moltissime pellicole di questo stampo, sono
passate alla storia “Romeo e Giulietta” (1968) di Franco Zeffirelli con
Leonard Whiting e Olivia Hussey, “Love story” (1970) di Arthur Hiller
con Ryan O'Neal e Ali MacGraw e “Il laureato” (1967) di Mike Nichols con
Dustin Hoffman.