MICHELANGELO
BONARROTI
Il divino ribelle
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Michelangelo nasce il 6 marzo 1475 a Caprese (Arezzo)
da Lodovico di Lionardo di Buonarroto Simoni e da Francesca di Neri di
Miniato del Sera; grazie alle buone arti del padre riesce ad entrare, ad
appena tredici anni, nella bottega di Domenico e David Ghirlandaio,
personaggi impegnati in notevoli opere pittoriche.
Contrariamente a quello che noi oggi crediamo una
"Bottega" del Rinascimento è il luogo dove un giovane artista impara di
tutto, non solo a dipingere; impara la tecnica dell’affresco, il cesello
di un’armatura, la realizzazione di una lama d’acciaio temprato,
l’incastonatura delle pietre, la tecnica dell’acquaforte, impara a
realizzare l’armatura metallica di un monumento equestre, ecc….
E’ il massimo luogo formativo per chi ha talento e
voglia di imparare.
La leggenda ci fa credere che Michelangelo abbia
appreso i segreti dell’arte presso il Ghirlandaio e sia stato un fedele
allievo, dedito allo studio e alla disciplina, ma non è così;
Michelangelo, quasi da subito e giovanissimo, abbandona il Ghirlandaio
per seguire l’abilità di uno scultore di nome Bertoldo di Giovanni,
allievo di Donatello, che amava lavorare soltanto i marmi antichi ed è
presso di lui che impara ad apprezzare la levigatezza e il calore del
marmo, la grana e la compattezza delicata dei marmi antichi ed è lì che
si rivela la sua spiccata personalità e l’innata propensione alla
scultura; in quell’ambiente crea uno dei più celebri capolavori della
sua vita: uno straordinario "Eros alato con faretra" lo invecchia
e lo vende ad un mercante che, sedotto dalla bellezza di quel pezzo, lo
rivenderà ad un prezzo di molto superiore alla Granduchessa di Ferrara
che lo destinerà alle collezioni di Urbino.
Questa storia narrata da Vasari sembrerà per secoli
una leggenda perché nelle collezioni di Urbino l’Eros di Michelangelo
non compare ma, in un palazzo commerciale della Quinta strada a New York
è stato trovato un putto alato che gli esperti ritengono essere proprio
l’Eros di Michelangelo, e che dai primi del novecento, giunto chissà da
dove, è lì, come inizio di balaustra di una scalinata di marmo di un
palazzo americano.
Michelangelo apprende con straordinaria velocità i
segreti della scultura tanto da essere invitato nel "Giardino" del
Signore più famoso di Firenze, Lorenzo il Magnifico, che lo inserirà a
Corte dove incontrerà personaggi illustri come Marsilio Ficino, Agnolo
Poliziano, Cristoforo Landino, Pico della Mirandola che rappresentano la
grande accademia medicea.
Michelangelo Buonarroti, personaggio ombroso,
malinconico, taciturno, solitario, sarà per tutta la vita fierissimo
nemico della famiglia de’ Medici, crudeli e stolidi che apriranno le
porte di Firenze e della Toscana ai Francesi ma, non di Lorenzo,
illuminato, colto, sublime, privilegiato e straordinario con il quale
riesce ad aprirsi e a confidarsi.
Lorenzo ama osservare Michelangelo mentre scolpisce
e, un giorno, davanti ai suoi occhi accade un fatto increscioso un
giovane, muscoloso, rozzo, dal volto duro e brutale e dalle grandi mani,
Piero Torreggiani, pone continue osservazioni a Michelangelo che non lo
ascolta, non lo vuole sentire continuando nella sua opera di scultura.
Seccato e provocato dal continuo silenzio,
Torreggiani sferra un pugno fortissimo a Michelangelo procurandogli la
spaccatura del setto nasale con spostamento della cartilagine; da allora
Michelangelo avrà il caratteristico profilo con il naso schiacciato;
Torreggiani sarà subito allontanato da Lorenzo de’ Medici e si rifugerà
in Inghilterra.
Michelangelo lavorerà sodo a Firenze ma, quando alla
morte di Lorenzo, la città subisce l’onta di essere invasa, fugge prima
a Venezia e, poi, a Bologna dove rimarrà per un anno, ospite del
gentiluomo Francesco Aldovrandi.
Ritornerà a Firenze nel giugno del 1495 ospite di
Lorenzo di Pierfrancesco, un membro del ramo cadetto della famiglia de’
Medici che, vissuto in esilio, era tornato a Firenze come seguace della
politica di Girolamo Savonarola cambiando però il suo cognome con quello
di Popolano.
Michelangelo aveva nel frattempo eseguito una piccola
statua di marmo il "Cupido dormiente" di difficile vendita a
Firenze per la politica religiosa del Savonarola: libri, quadri,
immagini raffiguranti soggetti pagani venivano distrutti e gettati alle
fiamme in nome della "Repubblica di Cristo".
Fu Lorenzo Popolano che suggerì a Michelangelo di
anticare la statua per mandarla a Roma, tramite Baldassarre del
Milanese; la perfezione dell’opera ammalia il Cardinale Riario, nipote
del Papa Sisto IV, che, pur se scoperto l’inganno al quale era incorso
(la statua non era antica), vuole conoscere personalmente l’autore della
pregiata opera e gli commissiona la realizzazione di una statua di "Bacco"che,
però, lo stesso Cardinale cercherà di liberarsene al più presto,
cedendola ad un banchiere messer Jacopo Galli in quanto, nella Roma dei
Borgia, Bacco era diventato il simbolo deprecabile della dissolutezza,
dell’orgia peccaminosa e immorale (oggi il "Bacco" si trova al Museo
Nazionale del Bargello di Firenze).
Sempre a Roma per richiesta del Cardinale Bilhères de
Lagraulas, Ambasciatore di Carlo VIII, Michelangelo realizzerà un’opera
importante per la capitale; ad appena 23 anni e nell’arco di un anno dal
1498 al 1499 scolpirà la celeberrima "Pietà" firmando, per la
sola e unica volta nella sua vita, una sua opera; apporrà sulla cintola
che attraversa il petto della Vergine il suo nome: "MICAELANGELUS
BONAROTUS FLORENT FACIEBAT".
Il Papa Alessandro VI Borgia, interessatissimo alla
vita terrena e ben poco preoccupato dell’aldilà, rimarrà rapito e
confuso dalla bellezza e dalla dolcezza di quella sublime prestazione;
il volto fanciullesco di Maria che non conosce il peccato ha tratti
dolcissimi, lineamenti esili, fini, sottili, perfetti; una realizzazione
che è lontana dalle rigide, muscolose forme giunoniche, caratteristiche
dell’artista.
A Roma Michelangelo deve trovare una sistemazione
degna di lui ed andrà ad abitare a due passi dal Campidoglio, oggi Via
delle tre Pile ma, allora, non si chiamava così, lo sarà soltanto più
tardi quando verrà realizzato il monumento che ricorda il nome di
Innocenzo XII Pignatelli.
La famiglia Pignatelli era stata coinvolta nella
prima, seconda e terza crociata e fu durante quest’ultima che un pugno
di valorosi aveva pensato bene di attaccare la reggia dell’Imperatore di
Costantinopoli a Bisanzio; invece di salire all’interno del prestigioso
palazzo, i valorosi erano entrati nelle cucine ed, affamati, diedero
fondo a tutto ciò che di commestibile era presente compresa la
rigovernatura di gigantesche pignatte lorde di grasso; con tale
repulisti notarono che le pile erano d’argento; furono fatte a pezzi e
portate in patria e tutto il futuro della famiglia Pignatelli, dice la
leggenda, è ancora legato alle pignatte sottratte alle cucine
dell’Imperatore di Bisanzio e Via delle tre Pile è l’immediata
conseguenza in onore dell’impresa.
In Via delle tre Pile, Michelangelo, si fa costruire
una casa sullo stile toscano quasi fosse un omaggio nostalgico alla sua
terra, è in laterizio rosso e in peperino (in sostituzione della amata
pietra serena toscana che a Roma non esiste).
Nel 1930 con la costruzione della Via del mare e lo
sbancamento della zona, purtroppo, la casa di Michelangelo sarà demolita
ma l’architetto che ne curò la demolizione la sezionò, numerò ogni
singolo pezzo del prospetto che dava sul cortile e, almeno il prospetto,
fu fatto rimontare come copertura di un deposito dell’Acea al Gianicolo.
Ma torniamo a Michelangelo che, con le opere romane,
ha raggiunto fama e celebrità tanto da essere subissato di richieste
prestigiose: firma i contratti per la realizzazione della decorazione
scultorea dell’Altare Piccolomini a Siena, la realizzazione di un grande
David di marmo per la Chiesa di Santa Maria del Fiore a Firenze, la
realizzazione di un David di bronzo per il maresciallo Pierre de Rohan,
dodici statue di apostoli per l’Opera del Duomo di Firenze, diverse
richieste da parte delle grandi famiglie toscane Doni, Pitti, Taddei ma,
l’opera che più lo intrigherà, quasi a sfida, è la realizzazione del "David"
in marmo, da collocare in Piazza della Signoria a Firenze (oggi in
Piazza della Signoria esiste una copia del David, l’originale si trova
presso la Galleria dell’Accademia).
Erano più di trenta anni che un grande blocco di
marmo era stato messo in disparte nel cortile dell’Opera di Santa Maria
del Fiore perché considerato "guasto" da altri nomi importanti dello
scalpello come Agostino di Duccio e Antonio Rossellino ma Michelangelo
non ebbe problemi ad affrontare il grande blocco e, dopo tre anni di
lavoro, ne uscì un’opera molto rappresentativa della virilità, della
potenza, della forza che voleva simboleggiare il temperamento vigoroso
del popolo fiorentino: il David, ossia il simbolo del Rinascimento
fiorentino.
E’ il 1503 quando il Papa Giulio II della Rovere fa
due grandi richieste a Michelangelo; vuole che, per la sua vita eterna
venga creata una splendida, sublime, tomba da superare ogni altra per
grandiosità e ricchezza da porre in San Pietro, solo più tardi verrà
collocata in San Pietro in Vincoli e vuole che venga realizzata la volta
di quella che era la cappella privata di Sisto IV della Rovere, creata
dall’ architetto Baccio Pontelli.
Michelangelo accoglie con entusiasmo l’idea di
realizzare le sculture di una tomba che rivaleggi con il passato e
l’antico e farà subito il progetto di una gigantesca architettura tale
da riempire l’intera tribuna di San Pietro, ma è spaventato dal lavoro
per la Sistina non soltanto per l’immensa mole che la volta riveste ma,
sopratutto, perché deve mettere le mani su qualche cosa di
straordinario, già presente: la volta della Sistina è tutta azzurra a
stelle d’oro, secondo l’uso tradizionale del decoro e, presenta problemi
di staticità, perciò occorre inserire catene di ferro che
comprometteranno la decorazione a cielo stellato e le pareti che sono
ricoperte degli affreschi di Luca Signorelli, Botticelli, Ghirlandaio,
Perugino, Pinturicchio, i più grandi maestri di Toscana.
Michelangelo non può rifiutare e il Papa lo
obbligherà a creare quella che sarà, per il mondo, la più straordinaria
opera d’arte ma che, per lui, sarà la più tragica delle condanne.
Tra il 1508 e il 1512 la singolare volta sarà
realizzata, l’impalcatura sarà di quasi 30 metri e si avvarrà di
numerosi collaboratori (oltre cinquanta) e il caos è totale: che tritura
i colori (l’azzurro per esempio, deriva da lapislazzuli tritati e
ridotti a polvere e non da crisocolla, minerale composto da silicato di
rame idrato, che a lungo andare cambia colore), chi impasta la calce,
chi prepara il fondo, chi fora i cartoni, chi prepara le sagome, chi
passa il nerofumo, ecc…
Michelangelo dipinge sdraiato, a distanza
ravvicinata, è costretto in spazi limitati, la testa schiacciata, il
petto gonfio, il colore che gli cola sul viso e sulla barba come lui
stesso descrive in un suo sonetto.
Dall’impalcatura Michelangelo cade due volte: si
rompe la gamba destra ma continua imperterrito a dipingere, … a creare.
Litiga con il Papa, fa la pace; hanno entrambi lo
stesso carattere spigoloso, orgoglioso, irascibile; più volte arrivano
alla rottura, ad improvvise fughe dell’artista si susseguono udienze
negate del Papa; alle sollecitazioni del Papa, Michelangelo risponde con
insolenza, alle visite di amici del Papa per ammirare la prosecuzione
del lavoro della volta, Michelangelo chiede la ragione per cui il Papa
desideri tanto far giudicare a dei ciechi l’opera che sta per realizzare
ma, alla fine, la loro intesa è lineare, assoluta, completa; mai con
nessuno, eccetto Lorenzo il Magnifico, Michelangelo s’era accordato così
alla perfezione.
Il 31 ottobre 1512 tutta Roma è lì ad ammirare il
capolavoro rimanendone estasiata: non si è mai vista un’opera di tale
grandiosità, Giulio II rimane allibito, turbato, rapito; mai opera più
solenne è stata realizzata; non c’è spazio che non sia riempito di
figure umane vive, possenti; mai la figura umana ha avuto nell’arte una
tale esaltazione.
Molte storie vengono narrate in quel capolavoro
artistico: l’ebbrezza di Noè, le scene del Diluvio universale, il
Peccato originale con la cacciata di Adamo e di Eva, i Profeti, le
Sibille, gli Ignudi, gli Schiavi e altre composizioni minori; tante
figure tutte magnificamente individuate nell’aspetto fisico e collocate
con varietà di piani a formare un’architettura umana di stupenda
originalità.
Michelangelo riprende a lavorare alla sua ossessione:
la Tomba di Giulio II, prepara i bozzetti delle statue, sceglie
personalmente i marmi ma Giulio II muore e il nuovo Papa Giovanni de’
Medici che prende il nome di Leone X taglia corto, non vuole tutta
quella pomposità e Michelangelo è costretto in breve, con statue non di
sua mano ma del suo allievo Tommaso Boscoli, a concludere l’opera;
realizzerà il Mosè, i due Prigioni poi scartati e ora al
Louvre e, poi, la statua di Giulio II sdraiato; il rammarico di
non aver portato a compimento la tomba a lui commissionata sarà un
rimorso per tutta la vita.
Leone X ha un disegno particolare in mente: vuole
creare un collegamento tra Roma e Firenze affidando a Michelangelo il
compito di occuparsi della capitale medicea e a Raffaello quello di
occuparsi della sede pontificia.
Al Buonarroti viene quindi commissionata la
realizzazione della facciata della Chiesa di San Lorenzo, opera di
Brunelleschi; il confronto lo stimola tanto da recarsi personalmente a
Carrara per la scelta dei marmi ma è costretto a sospendere i lavori in
quanto il Papa cambia idea e gli commissiona la costruzione, nella
stessa Chiesa di San Lorenzo, di una Sagrestia Nuova, simmetrica a
quella già esistente del Brunelleschi; la Sagrestia Nuova dovrà
contenere quattro tombe dove deporre i resti mortali di Lorenzo il
Magnifico, del fratello Giuliano ucciso nella congiura de’ Pazzi, dei
Duchi Lorenzo e Giuliano. Anche questi lavori saranno interrotti per la
morte di Leone X.
Sale al trono di San Pietro un Cardinale fiammingo
che prende il nome di Adriano VI ma dura solo due anni e viene
sostituito da un altro de’ Medici, il Cardinale Giulio che prende il
nome di Clemente VII, Michelangelo lo conosce da tempo e può riprendere
i lavori delle tombe medicee insieme con un’altra importante
commissione: la costruzione della Biblioteca Laurenziana.
Nel 1527 Roma è saccheggiata dai lanzichenecchi e
Firenze, cacciati i Medici, ritorna ad essere una Repubblica; le
commissioni medicee vengono per l’ennesima volta interrotte.
Nel 1532 Michelangelo è di nuovo a Roma per
riprendere le trattative per la tomba di Giulio II che a vent’anni dalla
morte ancora non ha il suo monumento; a Roma si trasferirà
definitivamente due anni dopo sia per l’antipatia con il nuovo governo
fiorentino retto dal Duca Alessandro e sia perché si è legato con
affettuosa amicizia ad un affascinante giovanetto Tommaso de’ Cavalieri
cui dedica una serie di sonetti e madrigali raffinati, teneri e amorosi
e sia perché gli viene commissionata un’opera prestigiosa: il "Giudizio
Universale".
E’ il periodo in cui si intensifica l’attività
poetica e l’artista cade in una profonda crisi religiosa; Michelangelo è
circondato dalla fama e dalla stima del mondo intero ma non ha un amore
femminile intorno a se, ha soltanto l’amore del suo giovane allievo;
l’unica donna che Michelangelo frequenta è Vittoria Colonna figlia di
Fabrizio Colonna, una delle poetesse più celebri ed eleganti del tempo
ma che è dedita esclusivamente alla memoria del marito e per lei
Michelangelo nutre un amore platonico oltre ad una profonda stima; molto
spesso è ospite del Convento di Santa Maria sopra Minerva dove si
incontra con Vittoria Colonna per passare intere giornate a leggere "…di
versi e di poesie".
Clemente VII prima e Paolo II, poi, gli chiedono di
realizzare il Giudizio universale; Michelangelo si mette d’impegno e
purtroppo è costretto a rimuovere un’intera parete affrescata da
Botticelli e a realizzare un’intercapedine spiovente per evitare che la
polvere si depositi.
Inizia a dipingere e crea qualcosa di sconcertante:
Cristo è muscoloso, senza barba, senza ferite, senza capelli bipartiti,
il torso è quello dell’Apollo del Belvedere; è la prima volta che Cristo
viene rappresentato così come era rappresentato un tempo, all’interno
del Mausoleo di Galla Placidia.
Cristo è un giovane elegante senza i capelli lunghi,
è il Cristo di prima che appaia la rappresentazione della Sacra Sindone
arrivata miracolosamente da Bisanzio in Italia; è un Cristo possente,
gigantesco e dai gesti da imperatore.
I personaggi che lo circondano sono tutti nudi,
giganteschi, perché – diceva Michelangelo: "scoprendo i corpi copro le
differenze"; gli Angeli e Demoni non si riconoscono più se gli angeli,
nudi, non hanno le ali piumate e i demoni, nudi, non hanno le ali
squamose.
Pietro porge a Cristo le chiavi d’oro e d’argento del
Paradiso e del Purgatorio ma le chiavi non hanno denti, o meglio, hanno
i denti limati: è talmente poco il bene nel mondo che Paradiso e
Purgatorio sono quasi vuoti; nella Sistina questa affermazione viene
evidenziata dalla immensa quantità dei reprobi e dalla minima quantità
dei buoni.
Quando Michelangelo nel 1541 termina l’opera così
sublime e particolare, il Papa rabbrividisce nel vedere le immagini che
mai avrebbe sospettato di vedere, rimane sconvolto i suoi cardinali gli
consigliano di distruggere l’affresco: troppi nudi; per cinque volte uno
dei più grandi capolavori del mondo rischia di essere completamente
smantellato e la polemica si trascina per tantissimi anni.
Un mese prima della morte di Michelangelo il Concilio
di Trento pone fine alle discussioni e fa apportare dei ritocchi censori
all’opera; fu incaricato un allievo di Michelangelo, un tal Daniele da
Volterra, che sarà costretto a mettere le "brache" a una serie di
personaggi (fortunatamente fatte a tempera e rimovibili senza intaccare
il capolavoro del maestro) ma oltre ai "braghettoni" altri correttivi
vengono posti in essere per esempio, a destra della Vergine, ci sono San
Biagio e Santa Caterina da Alessandria; Santa Caterina è una donna con
il corpo imponente, Michelangelo non è in grado di dipingere la
delicatezza e la sensualità del corpo femminile; le donne di
Michelangelo sono tutte imponenti, muscolose, gigantesche, mascoline;
Santa Caterina è piegata, nuda e mostra la ruota acuminata che ne ha
straziato le carni, dietro a lei, San Biagio, che tiene in mano i
pettini acuminati che lo hanno scarnificato e guarda fissamente i
pettini; la scena originale fu interpretata dai Cardinali come una scena
di sodomia perché lei è piegata e lui è dietro accovacciato quasi sul
suo corpo e pare scrutarla; dunque occorre rivestire interamente la
Santa e San Biagio deve cambiare prospettiva; la parte venne scalpellata
e ridipinta; ora il volto di San Biagio guarda dritto, verso il Cristo
non più verso i pettini ma, forse tardiva vendetta di Michelangelo?
L’intonaco è butterato ed è ricoperto da una sorta di malattia fungina
che non si riesce a debellare.
La prova dell’intervento censorio da parte
dell’allievo di Michelangelo si trova in una tavola al Museo di
Capodimonte; è una tavola realizzata da Marcello Venusti che assieme a
Daniele da Volterra, dovendo dipingere i braghettoni, ha dovuto
raffigurare il Giudizio Universale in originale dove Santa Caterina è
nuda e San Biagio fissa i pettini nella posizione accovacciata.
Il periodo romano di Michelangelo non vede solo la
sua arte pittorica ma anche la sistemazione della Piazza del
Campidoglio, la direzione della fabbrica di San Pietro, il completamento
di Palazzo Farnese, i disegni della scala nel cortile del Belvedere in
Vaticano, ecc…
Michelangelo lavora fino agli ultimi istanti della
sua vita mantenendo fede ad una lettera diretta a Tommaso da Pistoia
dove dice: "Voglio morire scolpendo, scolpendo morir" e così il 18
febbraio 1564, viene trovato a terra ai piedi dell’ultimo suo lavoro, "la
Pietà Rondanini" che, iniziata nel 1552, aveva per un’ennesima volta
desiderato ritoccare; aveva già compiuto gli ottantanove anni.
Il Papa vorrebbe farlo seppellire a Roma ma un nipote
dell’artista ne trafuga il corpo perché Firenze lo reclama per
attribuirgli le onoranze funebri a Santa Croce.
I SUOI MAGGIORI CAPOLAVORI
PERIODO TITOLO
ALLOCAZIONE
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1496 Bacco Firenze-Museo Naz. del Bargello
-
1498 Pietà Roma-Basilica di San Pietro in Vaticano
-
1503/04 oppure
1506/07
Sacra famiglia con S. Giovannino e ignudi (Tondo Doni)
Firenze–Galleria degli Uffizi
-
1504 David Firenze-Galleria dell’Accademia
-
1504 Tondo Pitti Firenze-Museo Naz. del
Bargello
-
1504 Tondo Taddei Londra-Royal Academy
-
1508-1512
Volta della Cappella Sistina Città
del Vaticano-Cappella Sistina
-
1516 Mosè Roma-San Pietro in Vincoli
-
1521 Tombe
medicee Firenze
-
1524 Biblioteca
Laurenziana Firenze
-
1535-1541
Giudizio universale Città del
Vaticano-Cappella Sistina
-
1537 Primo progetto
per la Piazza del Campidoglio Roma
-
1542-1545
Conversione di Saulo Città del
Vaticano-Cappella Paolina
-
1546-1550
Crocifissione di San Pietro Città del
Vaticano-Cappella Paolina
-
1546 Completamento
di Palazzo Farnese e di S. Pietro
Roma
-
1550 Pietà di Santa Maria del Fiore Firenze
-
1552 Pietà Rondanini (prima versione) Milano-Castello Sforzesco
PRINCIPALI OPERE ANDATE PERDUTE
-
1492 -
Crocifisso di legno eseguito per il
Priore di Santo Spirito.
-
1492/94 - Statua di marmo alta circa 2,30
raffigurante Ercole posta da Francesco I di Francia nel giardino
di Fontainebleau; nel 1713 il giardino fu distrutto e la statua andò
perduta.
-
1492/95 – Scultura di marmo del patrono di Firenze,
San Giovannino, commissionata dalla famiglia de’ Medici.
-
1496 – Statua di marmo alta circa 80 centimetri
raffigurante un Cupido dormiente acquistato da Cesare Borgia come
"cosa antica" e da lui regalata ad Isabella d’Este di Mantova
(nell’inventario mantovano la statua appare catalogata); nel 1632 la
statua venne spedita al Re Carlo I d’Inghilterra e da allora risulta
dispersa.
-
1497 – Statua di marmo raffigurante
Apollo o
Cupido commissionata dal banchiere messer Jacopo Galli; nella
seconda metà del Cinquecento passò alla collezione Medici e da allora
risulta dispersa.
-
1502 – Statua di bronzo raffigurante
David commissionata dal collezionista d’arte, il maresciallo di Francia Pierre
de Rohan per il Castello di Bury (compare nell’inventario del 1532); nel
1650 fu trasferita nel Castello di Villeroy e da allora non se ne ha più
traccia.
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1507 - Statua del Papa
Giulio II alta circa
2,90 metri che nel 1508 fu collocata sulla facciata della chiesa
di S. Petronio a Firenze; nel 1511 per volontà del Duca Alfonso d’Este
fu gettata a terra e spedita a Ferrara per essere fusa per ricavarne un
pezzo di artiglieria detto la "Giuliana".
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