OTTOCENTO
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Il primo grande movimento artistico dell’Ottocento è
il Romanticismo. Abbattendo le ultime manifestazioni del neoclassicismo,
il Romanticismo occupa la prima metà del secolo, mentre l’intera seconda
metà è dominata dal Realismo.
Il Romanticismo si insinua oltre che nelle arti
figurative anche nella poesia, nella letteratura, nel teatro, nella
musica, …; è un mutamento di gusto, di pensiero, è il rifiuto d’ogni
ideale e d’ogni univoca classificazione del bello per dare libero sfogo
alla creazione individuale, al valore soggettivo, fantastico e
sentimentale; è un costante richiamo all’"io", che rispetto a tutti e a
tutto si contrappone come alternativa; è la libera creazione fondata su
soggettivi valori emozionali e fantastici.
Il contesto è quello dei grandi eventi politici e
culturali che culminano nella Rivoluzione francese per poi trasformarsi
nell’"epopea napoleonica", ma che non modificano, - almeno non di netto
- il percorso della cultura figurativa. Il recupero delle forme
classiche (al quale corrisponde anche un fervore di studi archeologici e
di scoperte basilari), com’era stato adottato ufficialmente da Luigi XVI,
diventa anche lo stile tipico della Rivoluzione; e si articolerà in
forme ampollose durante l’Impero napoleonico, divenendone quasi il
simbolo.
E’ un fenomeno di vasta portata culturale, che vede
intellettuali come Johann Joachim Winckelmann – fondatore della moderna
archeologia scientifica e precursore del neoclassicismo del primo
Ottocento – imporre a tutta l’Europa lo stile di un ottimo ma distaccato
pittore, Anton Raphael Mengs.
Nella pittura di quest’ultimo si compie un connubio
culturale che rimarrà tipico per tutta la pittura neoclassica: l’unione
dello stile di Raffaello, Correggio, Tiziano con lo stile delle pitture
greche e pompeiane (da poco riscoperte).
In Italia, ed in particolare a Roma, la prima
reazione al neoclassicismo si ha in quella curiosa "confraternita" dei
cosiddetti "nazzareni" che si stringe intorno a Friedrich Overbeck e che
ha come stile il ritorno alla purezza e alla semplicità dei primitivi
con allusioni mistiche. Ma le aspirazioni a una forma di primitivismo
ingenuo e puro che ripudi la complessità del tardo rinascimento non
daranno frutti sostanziosi anche perché, in Italia, la sorte del gusto
neoclassico è abbastanza singolare: infatti, pur essendo Roma il punto
focale verso cui converge naturalmente l’attività dei massimi artisti
dell’epoca, l’arte neoclassica italiana non si sottrae quasi mai a una
specie di dipendenza dalle forme francesi: unico fenomeno di totale
originalità è la scultura di Antonio Canova (Dedalo e Icaro,
Paolina Borghese) il cui monumentalismo celebrativo non è quasi mai
disgiunto da una piena raffinatezza delle forme. Altro scultore di
notevole valore è il toscano Lorenzo Bartolini (La fiducia in Dio).
Per quanto riguarda la pittura, il fenomeno maggiore
in Italia è l’attività di Andrea Appiani; mentre l’architettura ha in
Giuseppe Piermarini (Teatro della Scala) un grande artefice.
In Spagna, l’ultima attività di Goya (Affreschi
della Quinta del Sordo) segna più nettamente il passaggio al gusto
figurativo romantico.
La rivoluzione francese portò Goya su posizioni
liberali che lo resero insofferente al clima reazionario e arretrato del
suo paese e quando la Spagna subirà l’invasione napoleonica, Goya,
esprimerà con terrificante testimonianza i "Disastri della guerra"
e le repressioni di una rivolta popolare del 1808 ispireranno "Le
fucilazioni del 3 maggio" (Museo del Prado).
Le opere più significative del periodo, Goya, le
realizzò quando, nel 1819, e prima dell’esilio a Bordeaux, si chiuderà,
sordo e malato, in quella casa periferica che il popolino battezzerà
"Quinta del sordo". I dipinti che la ornavano (ora al Museo del Prado),
nascono da paurosi incubi, da agghiaccianti ossessioni, da sanguinarie
visioni: "Saturno che mastica i figli", "Sabba delle streghe".
L’Inghilterra dà al Romanticismo un apporto
importante e precoce; ancora in epoca neoclassica arriva a Londra , dopo
un soggiorno romano, lo svizzero Henry Fuselli, grande ammiratore di
Michelangelo e di Shakespeare che inizia quel rinnovamento delle forme
che dà i suoi frutti maggiori con le opere di John Constable e di
William Turner, paesisti di altissimo livello.
Constable, che rivela un’altissima sensibilità
naturalistica fu per i pittori romantici francesi la rivelazione del "Salon"
parigino del 1824.
Ma è in Francia che inizia la grande battaglia
romantica. Il clamoroso annuncio del Romanticismo si ebbe al "Salon" del
1819, quando Theodore Gericault presentò la sua "Zattera della
Medusa" che offre una sorta di manifesto anticlassicistico
accentuando la libertà formale della struttura e la forte drammaticità
dell’immagine. Il soggetto è ispirato dall’episodio di cronaca di un
tragico naufragio, ma ciò che fa risaltare la potenza espressiva delle
passioni è il contrasto tra il fragile carico umano della sgangherata
zattera e la furia degli elementi che si abbattono su una massa
affannosa di corpi vivi e morti.
Il suo esempio viene immediatamente raccolto, al
"Salon" del 1824, da un grandissimo artista, Eugène Delacroix che già
con la Barca di Dante, del 1822 aveva affermato il suo
stile tragico e con la scena dei "Massacri di Scio", 1824 – a
ricordo della lotta dei Greci contro l’oppressione turca - riafferma il
suo impeto di grande e violento colorista.
Fenomeno tipicamente "romantico" si ha sempre in
Francia, con il formarsi della cosiddetta scuola di Barbizon, un
villaggio ai margini della foresta di Fontainebleau dove un gruppo di
pittori si propone una riforma in senso liricamente spontaneo della
pittura di paesaggio.
Rappresentante caratteristico è Charles François
Daubigny; ma la massima personalità che ne emerge è quella del nomade
Camille Corot, uno dei più grandi pittori del secolo che deve la sua
formazione ai lunghi soggiorni italiani dove acquisì la tecnica degli
"effetti di tono" e delle "luminose macchie" del paesaggio immerso nella
luce.
Con queste premesse, si sviluppa in Francia una delle
più grandi stagioni artistiche della civiltà moderna; e il fervore delle
riforme suscita l’impegno di intellettuali, letterati, poeti.
Delacroix viene variamente interpretato o
contraddetto da grandi personalità come Gustave Courbet (Gli
spaccapietre, 1849), sostenitore di una riforma figurativa
impregnata di demagogia; Honorè Daumier, tra i massimi disegnatori del
secolo, pittore, grafico, scultore di altissima vena satirica; François
Millet, che nelle sue migliori opere (L’Angelus) si dimostra
pittore di forte ispirazione lirica.
Il mutare degli orientamenti si manifesta verso la
metà del secolo ed è brusco. Le scoperte scientifiche e le
trasformazioni tecniche in atto inducevano a dare preminenza ai fatti e
alle sperimentazioni concrete; la scienza in pieno sviluppo mirava a
dare una spiegazione a tutto, non accettando interventi discutibili o
soprannaturali; le teorie evoluzionistiche che trovano in Darwin il
grande propugnatore si richiamavano alla spassionata obiettività della
realtà. Diceva Courbet: "La pittura è un’arte essenzialmente concreta e
non può consistere che nella rappresentazione di cose reali ed esistenti
…". Il Realismo, quindi, è il punto di partenza per un più profondo
impegno creativo e per l’affermazione di nuovi valori.
Contemporaneamente al fiorire di tale cultura, però,
l’arte francese "ufficiale" è quella rappresentata dal convenzionalismo
dei Salons, in cui il gusto "storico" di abilissimi mestieranti
come Jean Louis-Ernest Meissonnier incontra i consensi della borghesia e
della corte di Napoleone III.
L’ondata realista si estende un po’ in tutti i paesi,
anche l’Italia non ne è esente anche se rimane legata alle scuole
regionali.
L’esperienza più viva del realismo italiano,
veramente degna di assumere importanza europea è quella dei "macchiaioli
toscani"; tutti ribelli al soffocante accademismo fiorentino e animati
dallo spirito dell’epopea garibaldina, costoro, tra il 1856 e il 1861,
si pongono a dipingere dal vero, con la tecnica sintetica e abbreviata
di scansioni in macchie approssimative, mirando ai risultati tonali, ai
valori di luce, ai giusti rapporti di colore.
Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani, Raffaello Sernesi,
Vito D’Ancona, Vincenzo Cabianca, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori
sono i nomi importanti per questo stile di arte.
Il realismo aveva introdotto innovazioni nella
rappresentazione pittorica ma non nella tecnica ed è contro questa
situazione che intende reagire, nel 1874, il gruppo dei pittori
chiamati, con netto significato limitativo, Impressionisti. E’ difficile
enumerare coloro che realmente aderirono con continuità al gruppo;
difficile e sostanzialmente inutile se si pensa che uno dei massimi
pittori di tale "tendenza", Edouard Manet, non fu e non volle mai essere
ufficialmente "impressionista".
Il maggior impeto della rivolta impressionista fu
nella intenzionale rappresentazione di soggetti apparentemente banali,
dei fatti di ogni giorno, di paesaggi non "ideali" ma comuni,
famigliari; nascono così la pittura "en plair air", il ritratto di
individuazione narrativa, la rappresentazione di aspetti tipici della
vita parigina.
Le innovazioni della tecnica impressionistica
sconcertarono il pubblico non abituato alla dissociazione dell’integrità
dei toni e dei colori, alla moltitudine di pennellate e ai rapidi tocchi
di colore, all’accostamento di macchie di colore, al contrasto dei
colori; tutto ciò sembrava un audace pasticcio
La tecnica adottata, pur trovando un sostegno nei
contemporanei studi sulla complementarietà dei colori, non seguì un
metodo rigorosamente stabilito, come avvenne poi per altri movimenti
posteriori che proprio dall’impressionismo presero impulso
(neo-impressionismo, divisionismo, puntinismo) ma si realizzò sul piano
della sensibilità pittorica individuale.
Naturalmente in questo comune ambito polemico le
personalità furono culturalmente e poeticamente diversissime, e a volte
contrastanti.
Nella fase formativa del movimento ebbe grande
importanza il programma antiaccademico di Manet (Olympia, Il
balcone, 1865) che divenne il portabandiera delle tendenze
innovatrici .
La critica ufficiale accolse negativamente le opere
di Manet.
La guerra del 1870 allontanò i componenti del gruppo
giacché alcuni artisti si arruolarono; Monet, Pissarro e Sisley
ripararono in Inghilterra e si accostarono allo stile e alle
interpretazioni del paesaggio date da Turner e Constable; Bazille morì
in guerra.
E’ proprio con l’attività di Monet soprattutto, ma
anche di Sisley, che dopo il 1880 comincia una nuova fase della pittura
impressionista: la ricerca si orienta nettamente verso nuove soluzioni
tecniche, verso nuovi "esperimenti" che in un certo senso smorzano il
primitivo impeto di rivolta.
Se l’interesse comune per la pittura "en plein air"
aveva dato temporaneamente un’impronta unitaria all’operare di questi
artisti, pur senza eliminare differenze di stile e sensibilità,
tuttavia, l’Impressionismo non ebbe mai l’assetto di un movimento
organizzato e coerente ad un programma; le diverse direzioni in cui si
indirizzarono le ricerche di ciascuno dei suoi membri dopo il 1880 ne
confermano il carattere di momento culturale transitorio.
L’esaurirsi del programma impressionista sfocia in
una serie di fenomeni fortemente legati alle forme tipiche della cultura
contemporanea.
Il simbolismo mistico di Joseph, detto Joséphin,
Péladan che attinse ai misteri della magia orientale, le disquisizioni
inutili, i resti accentuati del tecnicismo impressionista, sono presenti
in quasi tutte le personalità della pittura nello scorcio dell’Ottocento
francese dai cosiddetti Nabis , una specie di confraternita con
presupposti estetici e formulazioni pittoriche molto aderenti ai
principi del sintetismo impressionista-simbolista; ne fanno parte Felix
Eduard Vallotton, Paul Serusier, Emile Bernard, Odilon Redon, e lo
stesso Gauguin e quei pittori che, pur appartenendo alla corrente,
ebbero più libera fantasia, come il grande Pierre Bonnard.
Attivo già nei primi anni dell’Impressionismo, giunge
ora nella sua piena maturazione poetica il massimo pittore del secondo
Ottocento europeo: Paul Cézanne, alla cui esperienza (Mulino di
Pontoise, 1881) si riallaccia gran parte della cultura pittorica del
Novecento.
Altre grandissime personalità sono: l’olandese
Vincent Van Gogh – pittore di prorompente, accorata fantasia e grande
passionalità – e Henri Toulouse-Lautrec.
Nel resto dell’Europa l’eccezionale fenomeno non si
ripete ma in alcuni paesi – e tra questi l’Italia - non mancano grandi
personalità.
Legata agli eventi di Barbizon è la riforma in senso
"paesistico" della cosiddetta Scuola di Posillipo, con a capo Giacinto
Gigante; e dopo di essa la tradizione napoletana continua validamente
con personalità di rilievo come Domenico Morelli che elaborò uno stile
verista fondato sulla preminenza della pennellata veloce e a macchia
rispetto al disegno; l’allievo di Morelli, Francesco Paolo Michetti, che
si distinse per la pennellata sciolta e la materia cromatica corposa;
Vincenzo Gemito, scultore, che valendosi della terracotta creò opere di
spontaneo verismo.
Legata invece a un uso della luce di derivazione
correggesca, è la pittura in Lombardia: l’opera di Giovanni Carnevali
detto il Piccio ne costituisce la prima manifestazione di rilievo,
mentre i pittori della cosiddetta Scapigliatura (Tranquillo Cremona e
Daniele Ranzoni) raggiungono i risultati artisticamente più notevoli.
In Piemonte, poi, si forma un gruppo estremamente
qualificato di paesisti, il cui esempio migliore è dato dall’opera di
Antonio Fontanesi.
L’avvenimento maggiore dell’arte italiana del secolo
si ha però in Toscana, nella formazione del gruppo dei "macchiaioli": un
filone particolare del grande movimento verista in cui confluirono
artisti di tutta Italia Silvestro Lega e Telemaco Signorini, Giovanni
Fattori, il romano Nino Costa, il ferrarese Giovanni Boldini, il veneto
Vincenzo Cabianca, il pugliese Francesco De Nittis …
Alla base del rinnovamento era la tecnica
rivoluzionaria della "macchia" basata su forti contrasti di ombra e luce
ottenuti non solo con il disegno e il chiaroscuro, ma anche con
l’accostamento di toni diversi di colore.
Ultimo e grande fenomeno della cultura figurativa
italiana dell’Ottocento è l’opera dello scultore Medardo Rosso,
precocissimo nella sua vocazione, artista dotato di un alto senso del
verismo che opera in pieno abbandono della monumentalità e di ogni
effetto statuario con eliminazione dei contorni e delle superfici
definite.
In Inghilterra, dopo la grande stagione paesistica di
Turner e Constable, il fenomeno più rilevante si ha dapprima nel ritorno
di forme quattrocentesche (quelle dei preraffaelliti) e poi nello
sviluppo polemico del neogotico: da questo poi deriverà – attraverso
l’opera di William Morris – la cosiddetta stagione del Liberty o
Jugendstil o Art Nouveau.
Il Liberty, conosciuto altresì come "stile floreale",
ha un’eccezionale importanza anche nel costume dei primi del Novecento
europeo: in Francia si lega direttamente agli esperimenti dei Nabis;
in Austria ha la sua massima espressione in artisti come Gustav Klimt,
pittore di raffinatissima fantasia, e gli architetti Otto Wagner e
Joseph Maria Olbricht; in Belgio vede l’affermazione del grande
architetto Victor Horta; e mentre in Inghilterra, oltre al
sensibilissimo disegnatore Aubry Bearsdley, si impone una complessa
figura di architetto come Charles Rennie Mac Kintosch, in Spagna esplode
la fantasia decorativa dell’architetto Antonio Gaudì.
In Italia, pur influenzando fortemente il costume, il
Liberty presenta personalità di rilievo minore: esempi di grande
interesse si hanno tuttavia nella prima attività di ceramista e
decoratore di Galileo Chini, nell’aspetto meno appariscente della
pittura di Plinio Novellini, e nella attività di architetti come
Giuseppe Sommaruga e Gino Coppedè.
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