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Storia dell'arte - Story of Art


 

 

Storia dell'arte

Il fenomeno Raffaello, ovvero la tomba del Sanzio presso la chiesa di Santa Maria ad Martyres

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Delle tombe che sopravvivono all’interno del Pantheon, quella di Raffaello è forse la più suggestiva, e per questo spesso la più ammirata dai turisti. Le spoglie dell’artista, sormontate dalla statua della Madonna del Sasso e racchiuse nel sobrio sarcofago romano, arricchito dalla poetica iscrizione latina del Bembo, si offrono allo spettatore con una solennità che contrasta con la regale potenza delle vicine tombe dei Savoia.

La sistemazione attuale, risalente ai restauri del 1911, non è però quella che Raffaello richiese nel suo testamento, o almeno lo è solo in parte, come ci riporta infatti il Vasari, egli fece restaurare un tabernacolo in Santa Maria "Ritonda", ovvero Santa Maria ad Martyres, con una statua della Madonna ed un altare, al di sotto del quale volle essere seppellito.

Le fonti che indicano questo luogo come tomba di uno dei pittori più amati, sono sempre state conosciute e numerose, ma nella sua collocazione originale, le spoglie del Sanzio non erano visibili né indicate da un’iscrizione precisa, forse per questo si iniziò ad ipotizzare che la sepoltura non fosse al Pantheon.

Nell’Ottocento, infatti, l’Accademia di S. Luca possedeva un teschio creduto di Raffaello, davanti al quale si diceva che anche Goethe fosse rimasto in lunga venerazione. A questo si aggiunse la tesi di Carlo Fea, Commissario delle Antichità e notissimo personaggio dell’epoca, che sosteneva che i resti del grande pittore erano conservati nella Cappella degli Urbinati, presso la chiesa di Santa Maria della Minerva.

Fu per sciogliere questi dubbi e definire la questione, che la Congregazione dei Virtuosi del Pantheon decise, nel giugno 1833, di far eseguire degli scavi intorno all’edicola della Madonna del Sasso, non senza aver creato altre polemiche tra i contrari all’indagine, come lo stesso Fea, e le persone, che si ritenevano in diritto di partecipare direttamente all’impresa, come il presidente dell’Accademia di San Luca, Gaspare Salvi.

La solennità della ricerca venne avvalorata dalla presenza del notaio Apolloni, incaricato di redigere un accurato verbale dei lavori sin dal primo giorno: il 9 settembre 1833.

Dopo cinque giorni di scavi si arrivò finalmente alla scoperta di uno scheletro contenuto da un arco di mattoni, proprio al di sotto della statua di Lorenzo Lotto. Assistettero al ritrovamento le personalità della cultura più importanti della Roma del tempo, riunite nelle associazioni della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, dell’Accademia di San Luca e dell’Accademia di Archeologia. Tra queste possiamo ricordare: il Reggente dei Virtuosi, Giuseppe Fabris, Francesco Benaglia, Gaspare Servi, Giovanni Ceccarini, Antonio Nibby, Bertel Thorwaldsen, Federico Overbeck, Rinaldo Rinaldi, il Principe D. Pietro Odescalchi, Luigi Biondi, Pietro Tenerani, e molti altri.

Lo scheletro, con la testa a cornu Evangelii rispetto all’edicola stessa, doveva essere contenuto da una cassa di abete ricoperta di calce, mentre furono Fabris e Salvi a liberare le ossa dalla terra che le copriva.

L’analisi dei rinvenimenti venne poi affidata al medico Antonio Trasmondo, che compì una descrizione, assai particolareggiata, di un uomo di altezza media e di "media età e forse più vicino al principio di questa, che il termine di lei", quando, la mattina del 17 settembre 1833, venne chiamato a dare la sua opinione sull’identità del cadavere.

Ma fu Luigi Biondi, presidente dell’Accademia di Archeologia, che tenne il discorso che enumerava le ragioni fondamentali per riconoscere in quei resti Raffaello. Egli elencò, infatti, le fonti che attestavano la tomba nel Pantheon, e puntò sull’insistenza della tradizione, che aveva il suo esempio più noto nell’iscrizione dedicata nel 1676 ad Annibale Carracci da Carlo Maratta, e dall’inserimento, disposto sempre dal Maratta, del busto del Sanzio in una nicchia di quella medesima parete.

La tesi del Biondi fu sancita da un documento solenne firmato dai presenti alla discussione, ovvero coloro che avevano anche presieduto al rinvenimento.

A questo punto la scoperta venne "aperta al pubblico" per sei giorni, in cui la "le obliate reliquie di Raffaello" da "avvenimento scientifico" divennero un "fenomeno di massa", perché l’interesse si allargò dall’ambiente degli studiosi a quello dell’uomo comune, come semplice ammiratore. Spia di questo fenomeno sono i contributi a stampa, che si moltiplicarono per narrare questi avvenimenti a volte in modo completo, come la relazione scritta dal Principe D. Pietro Odescalchi, o nel linguaggio della gente, come fece il Belli , che dedicò due sonetti satirici a questo piccolo episodio della storia della città. Affiancò la diffusione scritta dei fatti anche quella visiva, con la realizzazione di vari quadri ed incisioni che evocavano il ritrovamento delle ossa.

Dopo l’esposizione, i resti del Sanzio vennero estratti per permettere altre indagini al di sotto della nicchia, ma non venne ritrovato nulla di rilevante.

A questo punto nacquero nuove discussioni, si dovette infatti decidere quale sarebbe stata la nuova sistemazione della tomba. I Virtuosi proposero una soluzione per rendere visibile l’urna con quello che restava del pittore. Ipotizzarono di aprire l’arco al di sotto dell’edicola verso la parte esterna della chiesa, in modo da corrispondere nell’abside posta dietro ogni tabernacolo del Pantheon. Per accedere poi all’abside, si proponeva di aprire una porta su un lato dell’altare, scavando un cunicolo, e praticare un foro nella nicchia dietro la Madonna, allo scopo di illuminare la camera. Questa soluzione non fu accettata dalle Accademie di San Luca e di Archeologia perché troppo invasiva nei confronti del Pantheon, che avrebbe subito danni eccessivi alle murature; in più, la salma non sarebbe stata protetta dai periodici allagamenti del Tevere di cui era vittima il monumento.

La ricollocazione al di sotto dell’arco avvenne con grande solennità il 18 ottobre, festa di S. Luca, quando le ossa furono disposte prima in una cassa di pino, e poi nel sarcofago di marmo con decorazione a festoni, proveniente dai magazzini del Museo Vaticano e donato dal Pontefice Gregorio XVI. Nell’arco, murato, venne inserita una lastra in marmo che indicava il sepolcro di Raffaello. Più tardi fu ricostruito l’altare davanti all’arco e l’anno seguente si realizzarono solenni esequie per l’anniversario.

Per l’occasione fu costruito un grandioso tumulo posticcio, di legno e stucco, decorato con statue, opera di Pietro Camporese.

Dopo i clamori del 1833, la tomba non suscitò più grande interesse, fino al 1911, quando, anche a causa della sistemazione della cappella sepolcrale di Re Umberto I, fu affidato ad Antonio Muňoz il compito di spostare alcune lapidi ai lati dell’edicola. La rimozione di una lapide dedicata a Raffaello portò alla scoperta di un foro, che immetteva ad un ripostiglio di forma irregolare ripieno di ossa, certamente maschili. Lo scheletro mancava del teschio, e venne per questo riconosciuto come appartenente al canonico Desiderio d’Adiutorio, di cui il cranio si conserva nelle sale della Congregazione dei Virtuosi, ma che nel 1833 era all’Accademia di S. Luca, e ritenuto come quello di Raffaello.

Muňoz procedette alla ristrutturazione dell’insieme della tomba seguendo un progetto che permise la vista delle spoglie. Rimosse il muro che chiudeva l’arco, rivestendone la fronte con marmo pavonazzetto, mentre ricostruì l’altare con una mensa sorretta da due balaustri, che ricalcavano quelli della cappella Carafa in Santa Maria della Minerva. A ricordo della sistemazione ottocentesca, venne lasciato il blocchetto di marmo con l’iscrizione indicante la sepoltura di Raffaello, un tempo inserito nel muro che chiudeva l’arco, ed oggi posto in terra davanti al sarcofago.

 

Roberto Luciani

 

 

 

 

 

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