Storie antiche di monaci
e alberi
Il "Codice Forestale Camaldolese"
Nella drammatica contingenza odierna di una
dolosa e dolorosa distruzione del patrimonio boschivo italiano, segno inequivocabile
della caduta di una cultura e dunque di una civiltà consapevole del rapporto
vitale tra uomo e ambiente, il Collegium Scriptorium Fontis Avellanae propone
uno studio vasto e mai affrontato intorno al "Codice Forestale Camaldolese",
testimonianza storica e ambientale di straordinario valore.
Il Collegium, creato nel Monastero Benedettino
Camaldolese di Fonte Avellana nel 1997, ha l’intento di affrontare in modo
interdisciplinare le tematiche umanistiche proposte dall’attuale momento
di riflessione culturale, spirituale, sociale, tecnologica.
L’occasione offerta dall’Anno Internazionale
delle Montagne, promosso dall’ONU nel 2002, ha suscitato l’interesse del
Collegium che risiede in un monastero ultra millenario nel cuore dell’Appennino
marchigiano. L’opportunità di proporre alla conoscenza e alla ricerca scientifica
forestale l’esperienza plurisecolare della forestazione vissuta dai monaci
camaldolesi è parsa quanto mai attuale. Non solo quale conoscenza storica
ma anche quale opportunità di ricerca e di esplorazione dei territori appenninici
di oggi
Parlare del rapporto spirituale, tecnico,
sociale ed economico dei monaci-eremiti di Camaldoli con la "loro" foresta,
antica quanto l’Appennino tosco-romagnolo, che li ha accolti e che da loro
ha ricevuto una cura che l’ha conservata e impreziosita fino a divenire
modalità di coltura per gli altri centri camaldolesi disseminati in Appennino,
significa aprire un orizzonte che si estende per quasi nove secoli di storia.
Questo, infatti, va dal fiorire della presenza monastica in quel luogo,
attorno agli anni 1020, fino alla soppressione sabauda del 1866 che incorporò
l’eremo, il monastero e la foresta alla proprietà demaniale del nuovo Stato
Italiano.
Quasi nove secoli di lavoro svolto da monaci
che hanno attinto alla spiritualità dell’oriente cristiano e al suo rapporto
fortemente simbolico di comunione con l’intera Creazione.
Lo stesso lavoro ha inoltre mutuato dalla
vasta esperienza giunta dalle regioni venete una tecnica di amministrazione
forestale ancora oggi non superata.
Le ragioni spirituali e in particolare la
forte "gelosia" per la vita eremitica, fecero sì che il rapporto esistenziale
monaco-ambiente fosse garantito dalle pagine dei codici che hanno accolto
e conservato le regole e le consuetudini caratterizzanti la vita dei monaci-eremiti
di Benedetto e Romualdo.
Il Libro divenne così il testimone di un
cammino fedele alla scelta fondamentale dell’ascolto di Dio e dell’Uomo
che per compiersi ha bisogno di quell’eloquente silenzio che solo la natura
incontaminata sa offrire e di un cammino altrettanto fedele alla dinamicità
di chi, appunto perché ascolta, si fa attento ai tempi e ai luoghi che attraversa.
Perciò nel Libro, lungo i secoli, troviamo
le costanti attenzioni e tensioni spirituali che hanno reso i monaci custodi
gelosi del patrimonio forestale. Vi è poi un’autentica galassia di "fogli",
cioè di documenti sparsi lungo i secoli, in cui troviamo uno straordinario
coniugarsi di problemi tecnici, economici, sociali e giuridici che la conservazione
oculata di quel patrimonio ha richiesto e prodotto insieme.
Il Libro
Nello scritto agiografico in cui Pier Damiani
tenta, per primo (1042), l’interpretazione teologica della vita di Romualdo
(+ 1027), iniziatore della riforma camaldolese, si legge che il giovane
duca ravennate, affascinato dai luoghi selvosi dove spesso lo conduceva
la passione per la caccia, esclamava: "Come potrebbero, gli eremiti, abitare
felici in queste boscose solitudini; quanto vi
potrebbero vivere pacificati, salvati dal
chiasso che distrae!" (da Petri Damiani, Vita Beati Romualdi, a cura
di Giovanni Tabacco, Roma 1957).
Sembra risuoni l’eco di queste "boscose solitudini"
nella pergamena su cui è vergato l’atto con il quale il vescovo Tedaldo
d’Arezzo, nel 1027, dona agli eremiti di Romualdo le terre appenniniche
che ospitano la neonata e ultima edificazione dell’ormai vecchio Ravennate,
cioè l’Eremo di Campo Amabile (poi denominato Camaldoli dal nuovo toponimo
della fine del 1200): "Dal terzo lato vi sono monti selvaggi presso le incolte
balze dell’Alpe" (De terbio latere sunt feri montes apud intonsa juga
Alpium) (da Tedaldo Vescovo, Atto di donazione, 1027. "Annales Camaldulenses",
t.II, pp. 10-11).
In quella radura Romualdo ha costruito la
sua "Laura" o villaggio eremitico tanto simile all’Eremo della tradizione
bizantina. Intorno ad essa la superba foresta allo stato ancora selvaggio,
"intonso", la difende dal "rumore che impedisce l’ascolto". Quel silenzio
fu gelosamente custodito e difeso dai monaci che in esso soltanto vedevano,
e vedono ancora, lo strumento e la condizione indispensabile per porsi in
una situazione di ascolto, cioè di accoglienza di Dio e dell’uomo. Da questa
"gelosia" è nato nei monaci l’amore per la loro foresta e il desiderio sempre
più vivo di conservarla, di ampliarla, di arricchirla gestendola con cura
competente. Alla radice del loro rapporto con l’ambiente non vi è dunque
una semplice preoccupazione di carattere tecnico. Il silenzio della foresta
garantisce il loro quotidiano ascolto della Parola. Oserei dire che il loro
rapporto con l’ambiente non nasce da considerazioni tecniche o tanto meno
"ecologiche", ma da una dimensione teologica radicata in loro dalla consuetudine
con la Parola di Dio che crea, ama, sostiene e porta a compimento il progetto
di armonia universale (Gen 1,1-26.29-31; 9,9-17; Is 11,6-8; Mc 1,12-13;
Rom 8,19-23; Ap 22,1-2). Un rapporto di comunione per il quale non esiste
prevaricazione né dell’uomo sull’ambiente, né dell’ambiente sull’uomo.
Nel 1080 Rodolfo, il quarto Priore dell’Eremo,
codifica per la prima volta le consuetudini di vita della comunità romualdina
(Liber eremiticae regulae aditae a Rodulpho eximio doctore. Biblioteca
della città di Arezzo, cod. 333, sec XI). Si tratta del primo libro camaldolese
che ci offre pagine altamente dimostrative del rapporto tra i monaci e la
foresta. In una pagina particolarmente ricca di poesia è raccolta tutta
la tensione ascetica dei monaci che vivono in sintonia con l’ambiente, fino
a registrare la loro "identificazione" con gli alberi. Il brano (cap. 49)
canta i sette alberi elencati nel libro di Isaia quali segno della fertilità
della terra rifondata da Dio (Is 41,19) e, contemplandone le proprietà,
vi scopre l’indicazione di quelle virtù che ogni monaco deve possedere.
Ma va oltre affermando che ogni monaco deve diventare quegli alberi!
"Pianterò, Egli dice, nel deserto, il cedro
e il biancospino, il mirto, l’olivo, l’abete, l’olmo e il bosso". Se dunque
desideri di possedere di questi alberi in abbondanza o se brami di essere
tra loro annoverato (ut inter eos computari), tu chiunque sii, studiati
di entrare nella quiete della solitudine (in solitudine quiescere).
Quivi infatti potrai possedere, o diventare tu stesso (aut cedus fieri)
un cedro del Libano che è pianta di frutto nobile, di legno incorruttibile,
di odore soave: potrai diventare, cioè, fecondo di opere, insigne per limpidezza
di cuore, fragrante per nome e fama; e come cedro che si innalza sul Libano,
fiorire di mirabile letizia (mira iocunditate florescas). Potrai
essere anche l’utile biancospino, arbusto salutarmene pungente, atto a far
siepi, e varrà per te la parola del profeta "sarai chiamato ricostruttore
di mura, restauratore di strade sicure". Con queste spine si cinge la vigna
del Signore: "affinché non vendemmi la tua vigna ogni passante e non vi
faccia strage il cinghiale del bosco né la devasti l’animale selvatico".
Verdeggerai altresì come mirto, pianta dalle proprietà sedative e moderanti;
farai cioè ogni cosa con modestia e discrezione, senza voler apparire né
troppo giusto né troppo arrendevole, così che il bene appaia nel moderato
decoro delle cose. Meriterai pure di essere olivo, l’albero della pietà
e della pace, della gioia e della consolazione. Con l’olio della tua letizia
illuminerai il tuo volto e quello del tuo prossimo e con le opere di misericordia
consolerai i piangenti di Sion. Così darai frutti soavi e profumati "come
olivo verdeggiante nella casa del Signore e come virgulto d’olivo intorno
alla sua mensa". Potrai essere abete slanciato nell’alto, denso di ombre
e turgido di fronde, se mediterai le altissime verità, e contemplerai le
cose celesti, se penetrerai, con l’alta cima, nella divina bontà: "sapiente
delle cose dell’alto". E neppure ti sembri vile il diventare olmo, perché
quantunque questo non sia albero nobile per altezza e per frutto, è tuttavia
utile per servire di sostegno: non fruttifica, ma sostiene la vite carica
di frutti. Adempirai così quanto sta scritto:"Portate gli uni i pesi degli
altri e così adempirete la legge di Cristo". Finalmente non tralasciare
di essere bosso, pianticella che non sale molto in alto ma che non perde
il suo verde, così che tu impari a non pretendere d’essere molto sapiente,
ma a contenerti nel timore e nell’umiltà e, abbracciato alla terra, mantenerti
verde. Dice il profeta:"Non alzate la testa contro il cielo" e Gesù: "chi
si umilia sarà esaltato". Nessuno dunque disprezzi o tenga in poco conto
i ministeri esteriori e le opere umili, perché per lo più le cose che esteriormente
appaiono più modeste, sono interiormente le più preziose.
Tu dunque sarai un Cedro per la nobiltà della
tua sincerità e della tua dignità; Biancospino per lo stimolo alla correzione
a alla conversione; Mirto per la discreta sobrietà e temperanza; Olivo per
la fecondità di opere di letizia, di pace e di misericordia; Abete per elevata
meditazione e sapienza; Olmo per le opere di sostegno e pazienza; Bosso
perché informato di umiltà e perseveranza."
Il testo esalta virtù che appartengono indistintamente
ai monaci e agli alberi, in un sorprendente reciproco confondersi.
In questa pagina è gettato il fondamento
di tutta l’attenzione amorosa ed edificatrice che i monaci hanno offerto
alla "loro" foresta. Proprio da qui si dipana il lavoro di custodi appassionati,
che nel turgore della foresta riflettono il turgore della
loro ascesi o che ritrovano le tappe del loro cammino monastico negli alberelli
posti a dimora.
Per questo non vi sarà più una legislazione
successiva, riguardante la vita della comunità monastica, che tralascerà
di disciplinare il rapporto monaco-foresta, se non quando questo sarà interrotto
dalle soppressioni civili che ne toglieranno ai monaci la cura, nel 1810
(soppressione napoleonica) e 1866 (soppressione sabauda tuttora vigente).
Si verifica quindi una legislazione forestale
del tutto singolare: non viene promulgato un codice a parte, specifico per
la gestione forestale, ma questa è parte integrante delle costituzioni che
regolano la vita dei monaci. Si tratta di un caso unico in tutto il monachesimo
cristiano.
La Costituzione di Gerardo, redatta nel 1278,
al capitolo XXIX, dopo aver regolamentato l’elezione del custode dell’eremo,
prescrive che un monaco sia deputato alla cura e alla conservazione degli
abeti, alla difesa delle piante novelle e al taglio che solo lui può far
eseguire per l’utilità dell’eremo e del monastero. E a tutto questo sia
"sollicite intentus" ("Annales Camaldulenses", t.VI, Ap. cap XXIX, cll.
230-231).
In una direttiva emanata nel 1285 c’è un
riferimento esplicito a un decreto anteriore al 1278, che ci documenta una
legislazione più antica, andata evidentemente perduta.
Nel 1382, a imitazione della politica fiorentina,
viene concesso lo Statuto Speciale al piccolo centro di Moggiona che sorge
nel territorio governato dai monaci (Statuto del Comune di Moggiona, Archivio
di Stato di Firenze, Fondo Conv. Soppr. Camaldoli). In esso la Rub.1 della
IV Parte si preoccupa dell’integrità della foresta, prescrivendo le penalità
a cui sottoporre chi osasse "tagliare, o anche danneggiare, un piccolo abete";
penalità naturalmente accresciuta "Si… Abies incisa vel aliter devastata
fuerit magna". Più grande è l’abete maggiore la multa. Si noti, tra l’altro,
come nei documenti la parola Abete è sempre con l’iniziale maiuscola.
Nel 1520, stampato con i tipi in legno della
nuovissima tipografia installata nel Monastero, viene pubblicato un libro
di grande importanza: la Regola di Vita Eremitica (Paulus Justiniani,
Eremitice vite regula a beato Romualdo Camaldulensibus Eremitis tradita:
seu Camal. Eremi Istitutiones, Monasterio Fontis Boni MDXX, p. 37 ss.).
Si tratta della prima organica legislazione, promulgata dal priore Paolo
Giustiniani, dotto umanista veneziano (1476-1528). Quest’opera, che possiamo
considerare il primo compendio ben articolato di tutte le precedenti norme
stabilite dai Camaldolesi, ci dimostra come il rapporto con la foresta fosse
parte integrante della regola di vita di quei monaci. Silvano Razzi, abate
del Monastero fiorentino di S. Maria degli Angeli, ci dà, nel 1575, una
traduzione della Regola del Giustiniani in lingua toscana (Regola della
Vita Eremitica… Le Constituzioni Camaldolesi tradotte dalla lingua latina
nella toscana, a cura di Silvano Razzi, Fiorenza MDLXXV, pp. 22-23 e
p. 198). Da questa riprendiamo alcuni passi.
"… se saranno gl’Eremiti studiosi veramente
della solitudine, bisognerà che habbiano grandissima cura, & diligenza,
che i boschi, i quali sono intorno all’Eremo, non siano scemati, ne diminuiti
in nium modo, ma piu tosto allargati, & cresciuti. Si possono adunque tagliare
Abeti, per edificazione della Chiesa, delle Celle, & dell’altre stanze,
& officine dell’Eremo; (…) con la sola licenza, & concessione del Maggiore
[il Priore. Ndr]. Quando poi bisogna tagliarne quantità maggiore (…) ciò
si faccia, ma con speciale licenza del Capitolo dell’Eremo: ne altri si
conceda licenza di tagliare Abeti. (…) Procurino (…) con diligente cura
che per ogni modo, si piantino ciascun’anno, in luoghi opportuni, & vicini
all’Eremo, quattro, ò cinque mila Abeti. (…) La qual cosa, se per sorte,
un anno (che Dio nol voglia) non si facesse, l’anno seguente facciasi per
l’uno, & per l’altro. Ne altrimenti si possano tagliare Abeti, se ciò prima
non sarà stato fatto" .
"Alla cura finalmente de gl’Abeti, su dee
deputare uno del numero dei fratelli (…); l’ufficio del quale sia attendere
con diligente cura, & sollecitudine, che non siano ne tagliati, ne offesi,
ò vero guasti in alcun modo; & procurare, che di nuovo, come si è detto
sopra a suo luogo, se ne piantino. & usare ogni diligenza alli piantati,
accio che possano crescere; & quando se n‘ha da tagliare, mostrare quali,
& dove si possa fare con manco danno della bellezza della selva; & fare
in breve con diligenza tutte le cose, che appartengono alla cura, & custodia
de gl’Abeti".
Nel 1639 le nuove Costituzioni di Camaldoli
introducono la Guardia Forestale. Così recita l’articolo 7: "Molto importa
che le selve dei nostri eremi siano ben guardate, e conservate, e però si
habbi l’occhio chi sia, e di condizione, il custode di quelle: perciò deve
essere giovane, e robusto, che possa una volta, et ancora due bisognando,
ogni giorno circondare le selve, et cacciare via gli animali di vicini,
et procurare che non si facci danno." (da G. Cacciamani, L’antica foresta
di Camaldoli, Ed. Camaldoli, 1965, p. 31).
Nel 1850 un Regolamento del Priore dell’Eremo
documenta la creazione di un Caporale che sovrintende al lavoro dei Taglialegna
(Bifolci) e dei Macchiaioli (D.G.B. Casini, Regolamento per i
Macchiajoli, 1850, copia ms. Archivio di Camaldoli).
Nel 1866 la soppressione sabauda interrompe
definitivamente l’opera forestale dei Monaci Camaldolesi.
I "fogli sparsi"
Dicevo, introducendo, come, oltre ai libri,
la vita della foresta fosse regolata da una miriade di fogli sparsi lungo
i secoli, la cui importanza è determinante per documentare la vivace dinamica
della silvicoltura camaldolese.
Si tratta di decreti di priori; atti capitolari;
tariffari per il prezzo del legname confrontato con quello di altre segherie;
note per il pagamento dei barrocciai che trasportavano il legname fino al
porto di Poppi, sull’Arno; tabelle per gli stipendi dei dipendenti; ricevute
doganali; contratti di vendita del legname; atti di acquisto di nuovi terreni
boschivi; liti per lasciti testamentari o per problemi di vicinato, particolarmente
vivaci con le confinanti foreste dell’Opera del Duomo di Firenze; lettere
che chiedono consigli tecnici; documenti con i quali il Granduca di Toscana
nel 1817 affida ai Camaldolesi le suddette foreste dell’Opera del Duomo;
memorie presentate al Parlamento del nuovo Stato Italiano dai Comuni del
Casentino per scongiurare la soppressione della comunità monastica e della
sua foresta, carte amministrative della nuova amministrazione demaniale
che si serve della competenza tecnica dei "monaci soppressi"e di uno in
particolare che lavora a tempo pieno presso il nuovo ufficio statale.
Da questa costellazione di fogli è possibile
apprendere, passando a volte di sorpresa in sorpresa:
-le tecniche per la rinnovazione del bosco,
artificiali per i vivai e naturali tramite il prelievo dei selvaggioni in
bosco;
-i tipi di taglio, pochissimi a raso, fitosanitari
con ripuliture del sottobosco, e "a scelta" per assortimenti particolari
(alberi maestri per navi);
-le strutturazioni coetanee e pure di abete
bianco, con l’adozione dei "ronchi utili" per depurare il terreno dai parassiti,
con la rotazione di colture, con la rinnovazione naturale che garantiva
la selezione naturale;
- la disposizione per spazi conservati alla
silvicoltura spontanea;
- l’uso di marchiare a martellatura le piante
destinate al taglio;
- le numerose elemosine in legname per i
più diversi destinatari;
- le punizioni per i trasgressori delle norme
di taglio;
- lo scavo dei laghetti per l’irrigazione
dei vivai;
- l’assistenza gratuita dei dipendenti malati,
accolti nell’ospedale del Monastero allestito nel 1046;
- le pensioni di vecchiaia per gli stessi
dipendenti;
- la provvigione della dote di nozze alle
figlie dei dipendenti
- le percentuali sugli utili del legname
trasportato via fiume concesse al gestore del porto;
- il contratto per la fornitura di 360 travi
per la ricostruzione del tetto e della soffittatura della Basilica di S.
Paolo in Roma, distrutta dall’incendio del 1832.
E poi la coltivazione di un orto botanico
dove i monaci "speziali" coltivavano le numerose erbe medicamentose (officinali)
che si aggiungevano a quelle che spontaneamente nascevano in foresta, usate
per la confezione dei medicinali per lo "Spedale" (da G. Ciocci, Cenni
storici del S. Eremo di Camaldoli, Firenze 1864, pp.102-104).
E ancora lettere di visitatori, illustri
e non, che descrivono l’incanto di quei luoghi che testimoniano "quanto
possa operar natura, quando non la si maltratta, e quanto essa contraccambi
l’amor dell’uomo" , come scrive Halfred Bassermann nel suo commento alla
Divina Commedia di Dante Alighieri. Bassermann, visitando i luoghi
citati e descritti da Dante, si sofferma a lungo in Casentino, regione più
volte ricordata nell’opera del Poeta. Questi, nel Canto XXX dell’Inferno,
si incontra con Mastro Adamo, il falsario che operava nel castello di Romena
al servizio dei Guidi, e scrive: "Li ruscelletti che dei verdi colli / del
Casentin discendon giuso in Arno, / facendo i loro canali freddi e molli,
/ sempre mi stanno innanzi e non indarno: / …" (64-67). Il Bassermann commenta
questi versi dicendo che ormai l’incuria degli uomini aveva trascurato quel
luogo così che "li ruscelletti" erano ormai in gran parte asciutti, mentre
nella foresta governata dai monaci camaldolesi era possibile constatare
"quanto possa operar natura…".
In una lettera scritta nel 1521 dall’Arcivescovo
di Corfù, il veneziano Cristoforo Marcello, leggiamo: "Prima che tu arrivi
a quella località, salendo la montagna, ti si svela davanti la moltitudine
di abeti, che la cinge da ogni lato e la tiene nascosta (…) Non ti posso
esprimere con le parole quanto fui colpito di vivo stupore al primo vederla
cinta ed ornata di quei meravigliosi abeti, tanto che la giudichi dono di
Dio e dell’ingegno umano" ("Annales Camaldulenses", t. I, Ap. cll.
302-314).
Si tratta dunque di un materiale veramente
prezioso nei contenuti e incalcolabile nella quantità. Fogli, registri,
verbali, decreti, contratti, prospetti, promemoria, atti notarili, corrispondenze,
che giacciono in scaffali di archivi e che attendono di essere sfogliati,
letti, esaminati, organizzati con un’articolazione che evidenzi i loro aspetti
spirituali, tecnici, economici, sociali e giuridici, per essere conosciuti,
consultati, analizzati, confrontati e infine pubblicati in un portale telematico.
Materiale testimone di "un mondo che non
è solo una riserva di alberi e di animali, ma che, proprio perché è un mondo,
è un risultato di vite, di storie, di processi, di testimonianze, di ricerche,
di fatiche, di lotte e di successi, di sconfitte e di vittorie, di solitudini
e di incontri non riducibili a un mero problema tecnico ed economico; questo
da solo certo non si addice a una realtà viva e perciò depositaria di un
mistero che solamente la sua storia può far percepire e che nessun tecnico
può mutare ma solo ascoltare e servire perché tale mistero sia conservato.
(…) Qui tutti, dalla possente e secolare quercia al trepido e armonioso
capriolo, sono depositari di una storia che nessun turista, e tanto meno
nessun tecnico, ha il diritto di ignorare (…) soprattutto oggi che questi
splendidi luoghi (…) possono rischiare di essere trasformati in doloroso
oggetto di consumo, destinato a quell’usa e getta a cui ci stiamo tanto
abituando, salvo poi a pagarne tutti insieme e singolarmente le dolorose
conseguenze." (Simone Borchi, Foreste Casentinesi, prefazione di
Salvatore Frigerio, Ediz. DREAM, 1989).
856 anni di lavoro complesso e appassionato
che attende di essere conosciuto perché molto può offrire alla conoscenza
storica del nostro Paese, alla riflessione di chi non vede nella natura
un idolo inappellabile ma una realtà che con l’uomo e per mezzo dell’uomo
cammina verso il suo compimento armonico; alla competenza tecnica di chi,
oggi, lavora affinché il "servizio all’ambiente" sia sempre più un servizio
all’ uomo riappacificato con se stesso e con tutto il cosmo.
Motivato dalla volontà di esplorare tale
patrimonio, il Collegium Scriptorium Fontis Avellanae ha elaborato il progetto
"Codice Forestale Camaldolese" che, accolto nell’ambito della "Carta di
@nguana", prevede:
- la mappatura degli archivi statali, monastici
e privati nei quali è presente una documentazione archivistica camaldolese;
- la lettura e schedatura della documentazione
e la sua successiva sistematizzazione in apposito portale telematico che
diverrà la "banca dati" cui poter accedere;
- la lettura trasversale di tutta la documentazione
raccolta, curata da esperti in scienze storico-monastiche, scienze forestali,
scienze economiche, scienze sociali, scienze giuridiche.
La comunicazione telematica permetterà di
interagire con scuole, centri universitari, centri operativi di vari settori,
in collaborazione con l’Istituto Nazionale per la Ricerca Scientifica e
Tecnologica sulla Montagna, con l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti
Montani, con la Regione Marche e le Regioni appenniniche nelle quali hanno
operato i Monaci Camaldolesi.
E’ un progetto di vaste proporzioni, mai
affrontato sino ad oggi, ricco di senso culturale, umano, spirituale ed
economico, che apre possibilità nuove di lavoro nel settore così detto "telematico",
non solo per il Parco Nazionale che comprende Camaldoli e la sua foresta,
ma per tutto il grande cantiere italiano che è la montagna, che attende
di trovare possibilità nuove per garantire dignità e sicurezza a coloro
che lo abitano e anche a coloro che nella pianura ne godono i benefici.
Padre Salvatore Frigerio
Articolo pubblicato su "SLM – Sopra il Livello
del Mare", La Rivista dell’Istituto Nazionale per la Ricerca Scientifica
e Tecnologica sulla Montagna, n. 11, 2003, pp. 24-30.
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