Storia dei rapporti tra il
fiume Tevere e la città di Roma
La recente inaugurazione del
servizio di trasporto fluviale ha riportato il Tevere al centro dell’attenzione
dei cittadini romani. Questo è stato l’ennesimo tentativo di valorizzare
il fiume capitolino dopo che per tanti anni, addirittura secoli, è stato
principalmente fonte per la città di non poche preoccupazioni a causa delle
sue periodiche inondazioni.
Ripercorrendo la storia di Roma,
ci si può rendere conto che il ruolo del Tevere nell’ambito dello sviluppo
della civiltà romana è stato meno determinante rispetto a quello avuto da
altri grandi e storici fiumi: si pensi ad esempio al ruolo che il Nilo ha
avuto nello sviluppo della civiltà egizia o quello dei fiumi Tigri ed Eufrate
per le civiltà dell’antica Persia.
L’agglomerato storico di Roma,
infatti, inizialmente si sviluppò sui “sette colli” e solo successivamente,
a fronte di una sua grossa espansione, si accostò alle rive fluviali.
Seppur non ancora imprigionato
negli attuali argini, il Tevere era comunque mantenuto estraneo alla vita
della città; i romani infatti non gradivano scendere abitualmente sulle
sue rive malgrado lo considerassero comunque una risorsa di innegabile utilità.
Lo stesso aspetto delle sue rive non è mai stato come lo si vede oggi: dal
fiume la vista della città non era certo esaltante, eccezion fatta per gli
scorci godibili dai ponti di Ripetta e Ripagrande.
L’interesse per il fiume era
più legato a servizi – si pensi alla realizzazione di ponti, cloache e molini
fluviali che ne sfruttavano le correnti – che non alla costruzione di nobili
ed eleganti residenze.
Anche a livello commerciale,
se si esclude il periodo dell’antichità imperiale, il Tevere non è mai stato
granché sfruttato o valorizzato.
Comunque, nonostante un’esistenza
non particolarmente gloriosa, la sua presenza ha destato attraverso i secoli
l’interesse delle autorità al fine di fronteggiarne le pericolose inondazioni
dovute all’ampia escursione idrica che caratterizza il Tevere. Questa infatti,
come è stato rilevato nel tempo dall’idrometro posto a Ripetta, può facilmente
raggiungere i 14 metri con punte di 17 metri, come accadde nel lontano 1870
all’indomani dell’Unità d’Italia.
Come risulta da scritti antichi
di storici romani quali Tito Livio, Tacito e Dione Cassio, i primi tentativi
di limitarne i danni risalgono al 657 a.C. con il re Tarquinio Prisco, per
continuare poi con Giulio Cesare (44 a.C.) e con gli imperatori Augusto
(30 a.C. – 14 d.C.) e Claudio (41 – 51 d.C.). A quest’ultimo viene attribuita
l’apertura di un ramo del Tevere, oggi noto come “Canale di Fiumicino”.
A Nerone (54 – 68 d.C.) sono
invece attribuiti tentativi per la realizzazione di deviazioni del corso
del Tevere, per portarlo a sfociare addirittura nel lago d’Averno in Campania.
All’Imperatore Traiano si deve
la realizzazione di un nuovo alveo tra Ponte Milvio e Castel Sant’Angelo,
mentre la costruzione dei primi argini è attribuita all’Imperatore Aurelio
(270-275 d.C.).
Tutto
questo succedersi di interventi era tuttavia teso ad arginare situazioni
di emergenza all’indomani di improvvise inondazioni ma non rappresentava
una risoluzione definitiva del problema.
Terminato il periodo imperiale,
il Tevere non fu degnato di grande attenzione, se si considera che lo stesso
Stato Pontificio fu rimproverato di totale inerzia nei confronti del fiume.
Fu con l’avvento dell’Unità
d’Italia – a seguito di una eccezionale alluvione nel 1870 – che iniziò
una vera e propria azione sistematica volta alla protezione della città
dal Tevere. In quell’anno infatti il livello del fiume misurato a Ripetta
superò i 17 metri, provocando l’inondazione di buona parte della città.
In tale occasione vennero vagliati vari progetti e furono intraprese diverse
opere per il contenimento del fiume, la principale delle quali consistette
nella realizzazione di muraglioni sull’esempio di quanto già realizzato
a Parigi lungo la Senna. L’eccezionale altezza dei muraglioni (15 metri
a partire dalla banchina) è legata alla maggior escursione idrica del Tevere
rispetto a quella di altri fiumi come la Senna o il Tamigi.
È questo il motivo per il quale
oggi il Tevere ci appare intrappolato e quasi nascosto alla vista dei romani.
Tali costruzioni di contenimento sono state sempre considerate antiestetiche,
ma è alla loro presenza che si deve la bonifica delle zone del Ghetto e
di altri ambienti fatiscenti della vecchia città.
La realizzazione del lungotevere
alberato, oltre a costituire un’importante arteria stradale, ha contribuito
a dare al fiume un aspetto più suggestivo e ai romani la possibilità di
affacciarsi dai parapetti per scorgerne lo scorrere delle acque in massima
sicurezza, indipendentemente dall’altezza del suo livello.
Oggi, grazie all’avvio del trasporto
fluviale “di linea” e “turistico”, il Tevere può dirsi decisamente restituito
alla cittadinanza e agli innumerevoli e sempre entusiasti "forestieri".
Chiunque infatti può ora lasciarsi trasportare dalle sue acque e ammirare
finalmente la vista della città, decisamente più suggestiva di come è sempre
stata vista dall’antico fiume.
Vito Schiavone
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