Via Francigena
Fa un certo effetto al giorno d’oggi, in tempi di
alte velocità, ponti sugli stretti, varianti di valico, parlare di Via
Francigena. Solo il nome, per chi ne conosce il significato, equivale ad
una specie di doccia fredda temporale, una frenata a secco
nell’autostrada della realtà odierna, ed è capace di evocare fantasmi di
un remoto passato: re, santi, monaci, pellegrini, intrepidi mercanti e
combattenti della fede hanno per secoli consumato su questa direttrice
le loro esistenze. Una strada di comunicazione europea costituita da un
sentiero o giù di lì, da percorrersi per lo più a piedi dall’estremo
nord ai porti di imbarco per la Terrasanta, capace però di permettere al
più umile dei pellegrini di andare a pregare sulla tomba di Pietro a
Roma partendo magari dalla lontana Canterbury.
Una strada, ma non una
semplice strada, una via di congiungimento tra popoli che nel medio evo
è stata la spina dorsale d’Europa ma a cui il tempo non ha risparmiato
le ingiurie di cui è solito fare grazioso presente alla maggior parte
delle opere dell’uomo: tracciati abbandonati, distrutti, dispersi nelle
tradizioni orali o in documenti introvabili o di difficile
interpretazione. Un vero lavoro da certosino per chi, come i soci del CAI, ha volontariamente deciso di prestare la propria opera per
riattivare e rendere fruibili tratti importanti del vetusto tracciato.
Ma il gioco vale la candela. La Via Francigena ottiene, il 21 aprile
1994, il riconoscimento del Segretariato Generale del Consiglio d’Europa
che ne fa il secondo Itinerario Culturale Europeo dopo il Cammino di
Santiago di Compostela. Nel giugno del ’94 si inaugura il progetto di
valorizzazione e si insedia il comitato promotore: Consiglio d’Europa,
Città del Vaticano, Omt, Unesco.
In questa direzione il Consiglio
centrale del Club Alpino Italiano nel 2001 delibera di riconoscere il
valore storico-culturale del tratto ligure tosco-emiliano di questo
itinerario, interessando, sia alla fase progettuale sia a quella di
recupero tecnico degli antichi tracciati, il Gruppo di lavoro Nazionale Cai "Terre Alte". Il risultato è stato talmente positivo che il Club ha
potuto organizzare quest’anno, dal 14 al 18 aprile il viaggio
educational "con il CAI riscopriamo la Via Francigena" che si è svolto
su sentieri e mulattiere dell’Appennino Parmense e in Lunigiana, uno dei
tratti ripristinati con il contributo volontario delle sezioni locali.
Questa iniziativa si è collegata al pellegrinaggio organizzato da Radio
Rai Tre, dopo il successo di quello dello scorso anno a Santiago di
Compostela, che, partito dall’abbazia di Novalesa in Val di Susa il 3
aprile, ha seguito la Francigena per 800 chilometri fino a raggiungere
Roma il 14 maggio. Sono state, infatti, le guide CAI ad indirizzare e
coadiuvare i pellegrini per i circa 150 chilometri del percorso che, da
Fornovo di Parma fino a Sarzana, valicando l’Appennino ai 1040 metri del
passo della Cisa, li ha trasferiti dalla pianura Padana sino al mar
Ligure.
Potevamo mancare? No, e, infatti, c’eravamo anche
noi. Correre nel verde ha seguito la manifestazione nel tratto da
Berceto a Sarzana (naturalmente a piedi) e si è trattato realmente di
un’esperienza interessante.
Se il buongiorno si vede dal mattino, passeggiare
distrattamente per le viuzze medievali di Berceto, respirando l’aria
frizzante dei suoi 800 metri, e trovarsi nella notte di fronte alla sua
rocca potente e diruta, poteva essere un buon inizio, ma
l’indescrivibile atmosfera alto medievale che può respirare il
camminatore che visita all’alba la cattedrale di S. Moderanno (sec.XII-XIII)
basta da sola (ci si aspetta di veder spuntare un cavaliere templare
dietro ognuna delle sue possenti colonne) a giustificare un viaggio. Da
qui alla Cisa il passo è breve, e la calda accoglienza di Don Giorgio fa
dimenticare il tempo da lupi fuori della cappella del valico mentre
spiega che dal ’75 la chiesetta è santuario degli sportivi di tutto il
mondo (sono esposti cimeli di Rivera, Adorni ecc.), e che il fine
settimana richiama grandi masse di fedeli dall’alta Lunigiana, da Parma,
da Pomtremoli, addirittura da Massa… Attraverso paesaggi maestosi, per
la verità visibili solo a tratti in una giornata da tregenda come quella
che ci è capitata (ci siamo fidati), si attraversano abitati dal
carattere inconfondibile come Cavezzana d’Antena, Groppoli, Cargalla…
Dove ci si può, magari, ancora imbattere in un mulino ad acqua, con le
sue pale di legno quasi intatte e le sue mole tuttora in grado di
funzionare a egregiamente. Si arriva infine a Pontremoli, vera metropoli
commerciale dei secoli passati, ricca di una insospettabile dovizia di
opere d’arte, dove si respira raffinatezza e cultura ad ogni passo
grazie agli scambi intellettuali (ed economici) di cui è stata fulcro
nella sua storia. Un posto come questo, dove tutto è fascino e arte,
dalla chiesa di San Francesco, con i suoi diavoletti dal sapore vagamente
gotico che occhieggiano tra i magnifici stucchi, al museo delle Statue
Stele, relitti di una religione perduta dalla storia millenaria, nel
castello del Piagnaro, dai ponti sul Magra ai tanti palazzi signorili,
per non parlare della torta d’erbi, del testarolo o della spongata (più
o meno raffinate, ma tutte accattivanti specialità culinarie), sarà
presto oggetto da parte nostra di approfondite attenzioni.
Fuori Pontremoli la via del romeo ci conduce alla romanica Pieve di Santo Stefano
(sec.VIII-XII), perfettamente recuperata, che esibisce un particolare
rosone a croce lobata, sorge sul sito di Sorano, non lontano da una
necropoli ligure e sopra una fattoria romana del II-III sec., custodisce
due Statue Stele del VI-V sec. a.C., attenzione: la vista della zona
absidale dall’esterno è assolutamente da non perdere! Ad un tiro di
schioppo sorge Filattiera (dal greco fulacterion=zona fortificata)
caposaldo bizantino contro i Goti, anticamente difesa da una muraglia
alta due metri con palizzata e vallo, in seguito importante possedimento
dei Malaspina (Spino Fiorito). Tappa successiva Filetto, accampamento
bizantino di pronto intervento, che esibisce tra l’altro un curioso
lavatoio. Poi, dopo un lungo trasferimento attraverso tracciati
ripristinati e segnati a cura del CAI tra boschi, ruscelli e cascatelle
si raggiunge il castello di Terrarossa con le sue massicce torri
quadrangolari, dove si è svolto un animato convegno sulla "torta d’erbi".
Siamo alle porte di Aulla, dominata dalla solida Fortezza della Brunella
ove sorge l’antica abbazia di San Caprasio fondata nell’884. Insolite
testimonianze contemporanee sono i monumenti a Bettino Craxi e ai
Martiri di Tangentopoli. Usciti da Aulla si raggiunge Bibola, al centro
tra le valli del Bardine dell’Aulella e del Magra, e con un castello
diroccato in posizione dominante su tutte e tre, da cui si gode un
panorama invidiabile; Qui il tratto caratteristico è costituito dal
"borgo in galleria", un’affascinante gradinata coperta destinata sia ad
uso difensivo, che ad attività lavorative al coperto, tra le sue mura
non è difficile trovare particolari architettonici di pregio
singolarmente riutilizzati in edilizia minore.
Riprendendo l’itinerario degli antichi viandanti
arriviamo a Vecchietto, un abitato dai vicoli strettissimi, ove appare
d’un tratto all’angolo di un edificio l’immagine più enigmatica di tutto
il viaggio: una figura estremamente stilizzata rappresentante un
personaggio in atteggiamento e costume assolutamente ieratico nell’atto
di sorreggere un bambinello. Ma questo minuscolo borgo può vantare anche
una parrocchiale dotata di notevoli stucchi e di altari
straordinariamente ricchi ed elaborati. Salendo alla prossima meta, il
bivio delle quattro strade, tra la pianura di Luni e la Lunigiana
interna, possiamo toccare con mano che tipo di tortura di Sisifo sia
l’impegno dei volontari del CAI: riordinare e rendere percorribili
queste strade montane destinate al solo transito a piedi e che
costantemente vengono a vario titolo percorse e dissestate da mezzi a
due, a quattro ruote o cingolati che danneggiano i tracciati provocando
erosioni del fondo naturale e rendendo alcuni tratti difficilmente
percorribili.
A rendere meno faticosa la salita, i racconti di chi ha
già compiuto il pellegrinaggio a Santiago di Compostela, le motivazioni
e le impressioni di chi ha saputo affrontare un impegno fisicamente così
arduo, e moralmente tanto appagante, rendono quasi più leggero il passo
e rapido il passar del tempo. Superato il bivio inizia la discesa che
finirà a Ponzano Superiore a 300 metri s.l.m., distesa su un colle
sovrastato della chiesa di San Michele Arcangelo. Vicino al suggestivo
sagrato, caratteristico dell’oriente ligure, in pietre di fiume rosse,
bianche e nere sorge un curioso bassorilievo in marmo, del 1495, ricordo
della signoria di Carlo VIII, riutilizzato nella parte posteriore dal
Banco di San Giorgio, successivo padrone del borgo, che vi fece scolpire
il Santo nell’atto di trafiggere il drago, simbolo iconografico del
banco stesso. Ultima tappa, prima di Sarzana, i ruderi del Castello
della Brina (1160), per il cui possesso si affrontarono a lungo il
Vescovo di Luni e i Malaspina.
Testimonianza di queste lunghe lotte
rimane il "torraccio", torre del sistema difensivo, spezzata da cunei e
adagiata su un fianco dal lavoro di professionisti dell’epoca, veri e
propri distruttori di castelli ed opere difensive. Proseguendo la
discesa verso valle, a breve distanza, inizia l’abitato di Sarzana, sul
fiume Magra, all’incrocio tra l’Aurelia e la statale della Cisa. Ricca
di tesori artistici e dalla storia complessa è una città a cui
l’impianto del ‘500 ancora intatto conferisce la famosa "misura d’uomo".
Indimenticabile la visita alla possente cittadella di Sarzana eretta da
Lorenzo il magnifico nel 1486, con pianta rettangolare un imponente
mastio centrale e sei torrioni perimetrali. Due gioielli sull’asse
principale della città, la Via Mazzini, sono la pieve di S. Andrea (X-XI
sec.) con campanile romanico e portale cinquecentesco, e la Cattedrale
di S. Maria Assunta (1474) dalla facciata in marmo bianco con rosone e
portale gotici, con un pregevole soffitto ligneo del ‘600 (P. Giambelli),
che nella Cappella del Crocifisso custodisce l’insigne capolavoro del
Maestro Guglielmo (1138). Un cenno a parte merita il Museo Diocesano,
scrigno di innumerevoli opere d’arte e memorie storiche, elemento
fondamentale di una visita memorabile.
Roberto Azzari