Il Papa e il Papato rubrica di CORRERENELVERDEONLINE

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Pio VI

Giovanni Angelo Braschi, il futuro papa Pio VI, nasce a Cesena, nel 1717, da una famiglia nobile.

Nato come primogenito, Angelo viene instradato dai genitori negli studi di legge. I suoi primi maestri sono i sacerdoti del collegio dei Gesuiti, si tratta di un particolare che avrà un certo peso nel proseguo della carriera del giovane.

Grazie ai buoni uffici famigliari, il Braschi riesce ad ottenere il ruolo di segretario del cardinale Tommaso Ruffo, di stanza a Cesena.

I due, recatisi a Roma per il conclave successivo alla morte di Papa Clemente XII, non torneranno più nella città romagnola.

Per un giovane come il Braschi, la Capitale dello Stato Pontificio sarà il trampolino di lancio per una grande carriera.

Infatti in nuovo papa, Benedetto XIV nomina il Ruffo, in qualità di decano del Sacro Collegio, vescovo suburbicario di Ostia e Velletri e il Braschi, rimasto al fianco del cardinale, come auditore, si districherà anche nella collaborazione al governo della diocesi e dimostrerà forti abilità nel lavoro diplomatico. Il giovane avrà un ruolo importante nella guerra del 1744 tra Austriaci e il Regno delle Due Sicilie, lavorando da mediatore e riuscendo, alla fine della  guerra, a mantenere buoni rapporti con il sovrano napoletano.

Il suo lavoro è profondamente apprezzato nella curia romana, e, nonostante sia ancora un laico, dopo la morte del cardinal Rufo (1753), Benedetto XIV lo nomina suo segretario particolare e poi canonico di San Pietro.

Ormai inserito a pieno titolo nella gerarchia vaticana, nel 1758 il Braschi ottiene l’ordinazione sacerdotale.

Sotto Papa Clemente XIII divene segretario del cardinale Rezzonico. In questo ruolo è costretto in mezzo nella discussione tra i sovrani italiani e i gesuiti, si tratta di un contenzioso dal cui risultatà dipenderà il proseguo della vita dell’ordine religioso. Da grande diplomatico come è il segretario cardinalizio riesce a non prendere una posizione netta, scontentando però così molti tra i più convinti sostenitori dei gesuiti che inoltre ricordano la formazione del giovane Braschi.

Nonostante questi scontri con i rappresentanti dell’importante ordine, viene nominato tesoriere generale della Camera apostolica. In questa posizione di prestigio il Braschi inizia una grande riforma fiscale per rimpinguare le disastrate casse dello Stato Pontificio, con la prospettiva di una successiva riforma economica.

La sua riforma, che snelliva le tasse dello stato, non vedrà completamente la luce a causa della morte del pontefice. Il successore, Clemente XIV, approva solo in parte il progetto del Braschi, delegandolo ad altri ruoli.

Questi, infatti, nel 1773 lo nomina cardinale e abate del monastero di Subiaco.

Occuperà poco questo ruolo in quanto già l’anno successivo, il Braschi deve tornare a Roma per il conclave.

La situazione nel mondo Cattolico è in fermento, a causa della recente soppressione della Compagnia di Gesù (i gesuiti), con diversi partiti spesso in lotta tra loro.

Nel grande trambusto, composto anche da veti incrociati espressi tra le diverse fazioni, viene posto sul soglio di San Pietro un diplomatico “neutrale”, il Braschi, appunto.

Questi, al momento dell’elezione, nel 1775, prende il nome di Pio VI.

Per divenire ufficialmente papa è stato necessario consacrare in fretta il Braschi come vescovo, visto che era passato dalla carica sacerdotale direttamente alla cattedra di San Pietro, ovvero “Vescovo di Roma”.

La scelta del nome Pio deriva dalla devozione che il Braschi aveva nel Papa e Santo Pio V.

Pio VI, nel suo pontificato, si muove nettamente contro lo spirito illuminista che stava permeando il mondo culturale dell’epoca. La sua scelta creerà uno spacco tra il mondo secolare e l’organizzazione Cattolica, causando quella visione del mondo della Chiesa come un luogo dove regnano arretratezza e superstizione.

Dall’altro lato della medaglia dobbiamo dire che la sopravvivenza dell’istituzione papale deve molto anche alla fortissima decisione e fermezza che il pontefice dimostrerà nei vari e forti attacchi che arriveranno dal mondo esterno nei confronti della figura pontificale.

È stato un vero e proprio sovrano “assoluto” della Chiesa, ossia un pontefice che governa lasciando poco spazio ai suoi segretari, gestendo tutto nella maniera più diretta possibile.

Nel tentativo di ristabilire una certa unità e fedeltà alla dottrina nel mondo cattolico, Pio VI si muove in direzione antiebraica, cercando di ripristinare tutte le limitazione che questi avevano nello Stato Pontificio (divieti di avere contatti con i cristiani per abitazioni, contatto libri, mestieri e scambi).

La filosofia cristiana giansenista, che vede una forte apertura al mondo secolare, con uno stretto rapporto tra impegno, successo e adesione religiosa, si trova a scontrare con la politica conservativa di Pio VI.

Questi riesce a battere la forza della filosofia ed a ridurla in uno spazio minoritario.

Il pontefice inoltre, per mandare un chiaro messaggio ai suoi sudditi, così da dare maggiore forza alla sua posizione, fonda, nel 1785, il “Giornale ecclesiastico di Roma", un vero organo di comunicazione ufficiale del Papato.

Il ruolo di conservatore del pontefice viene confermato dall’arresto e della condanna di un personaggio importante per l’epoca come il Cagliostro (1789).

Un altro avversario per la politica restauratrice di Pio VI è l’imperatore asburgico Giuseppe II che cercava di fare una riforma della Chiesa portandola in un ambito più nazionale.

Per battere il suo avversario, il papa decide, nel 1782 di fare un viaggio a Vienna. Si tratta del primo viaggio fuori dai territori papali da parte di un pontefice da oltre 2 secoli. Il fatto che un papa si recasse in una terra straniera per difendere la fede, ottiene come primo risultato una grande crescita della devozione popolare, che vede nella figura di Pio VI quella di un “pellegrino della fede”.

A parte di questo riscontro “popolare” la visita da un punto di vista pratico e politico non trova grande successo. In pratica il papa accetta la riforma delle diocesi asburgiche volute dall’imperatore, mentre questi decide di non intaccare in alcun modo i privilegi papali.

Un grave momento del pontificato di Pio VI è lo scoppio della Rivoluzione Francese, e il susseguente accanimento contro gli ordini monastici e la religione in genere che, dalla Francia, rischia di espandersi all’intera Europa. L’idea francese di una religione “civile e nazionale” faceva temere al pontefice lo svolgersi di un nuovo scisma. La deriva che prenderà la Rivoluzione, con la condanna a morte dei sovrani e l’isolamento francese rispetto agli altri Stati europei, è stato un grande aiuto per il papa che vedeva la soluzione del caso francese a portata di mano, limitandosi a dare contro i rivoluzionari una netta censura.

L’epopea napoleonica vede Pio VI costretto a concedere agli occupanti francesi molte concessioni da un punto di vista territoriale e un pesante dazio dal punto di vista dell’espoliazione delle terre pontificie delle opere d’arte.

Da un punto di vista spirituale, però, la diplomazia vaticana rimane inamovibile, mantenendo centrale e fondamentale, da questo punto di vista, la figura del pontefice. Napoleone ottiene forti vittorie da un punto di vista territoriale, ma il Papa riesce a mantenere la propria superiorità morale.

La caparbietà papale, e soprattutto l’accettazione, da parte di Napoleone delle richieste pontificie, lasceranno un grande segno sulla diplomazia europea, utile viatico per la rinascita dello Stato Pontificio durante la Restaurazione.

Durante l’occupazione francese, il papa rimane come prigioniero nei palazzi Vaticani, con forte coraggio e fermezza.

La sua figura austera e dignitosa, che si scaglia contro gli occupanti, crea problemi ai francesi, in quanto Pio VI diviene un vero e proprio simbolo per coloro che combattono contro le truppe napoleoniche. Questo ruolo per la “resistenza” anti - francese, costringono Napoleone a far seguire al pontefice, oramai ottantenne, un lungo e tortuoso esilio tra Italia e Francia che porterà Pio VI alla tomba, nel 1799.

Da un punto di vista culturale, Pio VI ordina una serie di scavi archeologici nella città di Roma. Il pontefice, per i primi 5 anni del pontificato, avrà la prelazione su qualsiasi manufatto recuperato.

Il pontefice fa partire anche una riforma dell’Università “La Sapienza”.

Pio VI è il papa che porta a conclusione la costruzione di un’opera fondamentale per la divulgazione della cultura come i Musei Vaticani, progetto iniziato dal suo predecessore Clemente XIV.

Inoltre, all’interno dello Stato, provvede ad iniziare il progetto di prosciugamento della palude pontina.

Nel 1791 il pontefice lascia la sua traccia anche sulla struttura di Roma, facendo edificare palazzo Braschi.

Nonostante il suo impegno del moralizzare la corte papale, Pio VI è stato un fervente nepotista, e fece molto affinché la sua casata natale continuasse ad esistere ed a essere importante.

Neanche le spoglie del defunto pontefice hanno avuto una semplice collocazione, dalla francese Valence, terra d’esilio in cui trova la fine della sua vita mortale, la salma di Pio VI viene riportata, nel 1802 a Roma. Inizialmente alcune reliquie papali, come il cuore e i precordi del Papa restano in Francia, anche se poi il cuore riprende la via dell’Urbe.

Attualmente le spoglie del pontefice sono deposte nelle Grotte Vaticane.

 

 

 

 

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