NOVELLE
IL MERCANTE E IL GENIO
Eravi una volta un mercante il quale
possedeva grandi ricchezze. Un giorno, che un affare importante lo
chiamava molto lungi dal luogo ove soggiornava, salì a cavallo e partì
con una valigia in cui vi aveva riposta una piccola provvisione di
biscotto e di datteri.
Il quarto giorno del
suo viaggio sviò dal cammino per andarsi a rinfrescare sotto alcuni
alberi. Vicino a un gran noce egli trovò una fontana di acqua
limpidissima. Pose il piede a terra, attaccò il suo cavallo ad un
albero, e si assise vicino alla fonte, dopo aver cavati dalla sua
valigia alcuni datteri e alquanti biscotti. Mangiando i datteri egli ne
gittava i noccioli a dritta e a sinistra. Quando ebbe terminato quel
pasto frugale da buon musulmano si lavò le mani, il viso e i piedi, e
fece la preghiera.
Egli non l’aveva per anco finita, quando vide
apparire un Genio tutto bianco per vecchiaia, di una grandezza enorme,
che avanzandosi fino a lui con la sciabola in mano, gli disse:
— Alzati perch’io ti uccida, come tu hai
ucciso mio figlio.
— Oh, buon Dio! — disse il mercante — come
mai ho potuto uccidere vostro figlio? Io non lo conosco neppure.
— Non ti sei seduto arrivando qui? — replicò
il Genio — Non hai tolti dei datteri dalla tua valigia, e mangiandoli
non hai gittati i noccioli a dritta ed a sinistra?
— Ho fatto ciò che dite — rispose il mercante
— non posso negarlo.
— Essendo così — riprese il Genio — io ti
dico che hai ucciso mio figlio, ed ecco come. Nel tempo in cui gittavi i
tuoi noccioli, mio figlio passava: egli ne ha ricevuto uno nell’occhio e
ne è morto.
— Ah! signore, perdono! — gridò il mercante —
io vi accerto non avere ucciso vostro figlio: e quando ciò fosse stato,
l’ho fatto innocentemente; per conseguenza vi supplico di perdonarmi e
lasciarmi la vita.
— No, no — disse il Genio, persistendo nella
sua risoluzione — bisogna ch’io ti uccida come hai ucciso mio figlio!
A queste parole prese il mercante per un
braccio, lo gittò in terra, e alzò la sciabola per tagliargli la testa.
Intanto il mercante lacrimando e protestando
la sua innocenza, compiangeva la sposa ed i figliuoli e diceva le cose
più commoventi del mondo. Il Genio, sempre con la sciabola levata, ebbe
la pazienza di aspettare che l’infelice terminasse i suoi lamenti.
— Tutte queste parole sono superflue: —
gridò: quando pure le tue lagrime fossero di sangue, ciò non
m’impedirebbe di ucciderti.
— Che! — replicò il mercante — volete
assolutamente togliere la vita ad un povero innocente?
— Sì — rispose il Genio.
Quando il mercante vide che il Genio stava
per troncargli la testa, gittò un grido, e gli disse:
— Abbiate la bontà di accordarmi una
dilazione: datemi il tempo di andare a dire addio alla mia sposa ed ai
miei figli. Ciò fatto tornerò tosto in questo luogo stesso per
sottomettermi a tutto quello che vorrete fare di me.
— Di guanto tempo vuoi tu che sia questo
termine? — replicò il Genio.
— Vi domando un anno, non occorrendomi minor
tempo per assestare i miei affari.
Il Genio lo lasciò presso la fontana e
disparve.
Il mercante risalì a cavallo, e riprese il
suo viaggio: ma se da un canto egli era lieto di aver evitato sì gran
pericolo, nell’altro era in una mortale tristezza pensando al fatale
giuramento che aveva fatto.
Quando arrivò a casa si pose a piangere sì
amaramente, che i suoi giudicarono gli fosse accaduto qualche cosa di
straordinario. Sua moglie gli domandò la cagione delle sue lagrime.
— Ah! — rispose il
marito — perché non son io in altra situazione? Io non ho più che un
anno a vivere.
Allora raccontò loro ciò che era avvenuto tra
lui e il Genio.
Quando intesero questa
triste novella, cominciarono tutti a desolarsi. L’indomani il mercante
pensò di mettere in ordine i suoi affari, affrettandosi sopra ogni altra
cosa a pagare i suoi debiti. Fe’ complimenti ai suoi amici, e grandi
elemosine ai poveri: donò la libertà a’ suoi schiavi; divise i beni fra’
suoi figli; nominò i tutori per i minorenni, e rendendo a sua moglie
quello che le apparteneva, in forza del contratto di matrimonio, la
vantaggiò di quanto poté donarle secondo le disposizioni della legge.
Finalmente l’anno trascorse e bisognò
partire.
Egli fece la sua valigia, e vi mise il drappo
nel quale dovea esser seppellito.
— Miei figli — disse — separandomi da voi io
obbedisco agli ordini di Dio; imitatemi; sottomettetevi coraggiosamente
a questa necessità, e pensate che il destino dell’uomo è di morire!
Dopo aver dette queste parole, sottrattosi
alle grida ed ai lamenti della sua famiglia partì, e arrivò al medesimo
luogo ove avea promesso ritornare. Messo subito piede a terra, si assise
al margine della fontana, ed aspettò il Genio.
Mentr’ei languiva in sì crudele aspettazione,
apparve un buon vecchio, che conduceva legata una cerva, e si avvicinò a
lui. Si salutarono a vicenda, e il vecchio disse al mercante:
— Fratello, può sapersi da voi perché siete
venuto in questo luogo deserto, in cui non vi sono che spiriti maligni,
e non si vive affatto sicuro?
Il mercante soddisfece la curiosità del
vecchio raccontandogli l’avventura che l’obbligava a starsene là.
Il vecchio l’ascoltò
con istupore, e prendendo la parola:
— Ecco — esclamò — la cosa più sorprendente
del mondo: e voi vi siete legato con un giuramento inviolabile! Io
voglio — aggiunse — essere testimonio della vostra conferenza col Genio.
Ciò dicendo, si assise presso il mercante: e
mentre s’intrattenevano arrivò un altro vecchio seguito da due cani
neri. S’avanzò fino a loro, e li salutò, domandò che facessero colà. Il
vecchio che conduceva la cerva gli raccontò l’avventura del mercante.
Il secondo arrivato, trovando la cosa degna
di curiosità, prese la stessa risoluzione. Si assise vicino agli altri,
ed appena si unì alla loro conversazione, sopravvenne un terzo vecchio,
che dirigendosi a’ due primi, domandò loro perché il mercante ch’era con
essi apparisse sì tristo. Glie ne fu detta la ragione, e anch’esso volle
essere testimonio di ciò che avverrebbe fra il Genio ed il mercante,
perciò si unì agli altri. Essi videro ben tosto nella campagna un denso
vapore come un turbine di polvere elevato dal vento. Quel vapore,
avanzandosi fino a loro, e dissipandosi ad un tratto, lasciò scorgere il
Genio, che senza salutarli si appressò al mercante con la sciabola in
mano, e prendendolo pel braccio:
— Levati — disse — perch’io ti uccida, come
tu hai ucciso mio figlio!
Il mercante e i vecchi spaventati si misero a
piangere, riempiendo l’aria di grida...
Quando il vecchio che conduceva la cerva vide
il Genio afferrare il mercante, si gettò ai piedi di quel mostro, e
baciandoglieli:
— Principe de’ Genii — gli disse — io vi
supplico umilmente di sospendere la vostra collera, e di farmi la grazia
di ascoltarmi. Io vi racconterò la mia storia, nonché quella di questa
cerva, a condizione che se la trovate meravigliosa e sorprendente,
vogliate rimettere a questo sventurato mercante il terzo della sua pena.
Il Genio stette qualche tempo a riflettere,
ma infine rispose:
— Ebbene, consento; vediamo.
— Io comincio il mio racconto — riprese il
vecchio.
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