SINDBAD IL MARINAIO
PRIMO VIAGGIO
— Io aveva ereditato dalla mia famiglia beni
considerevoli, e ne dissipai la miglior parte negli stravizi. Ma
ravvedutomi dal mio acciecamento e rientrato in me stesso, conobbi esser
le ricchezze passeggiere, ove non si governassero meglio di quanto io
faceva.
Commosso da tutte queste riflessioni raccolsi
gli avanzi del mio patrimonio e vendei all’incanto in pieno mercato
tutti i miei mobili; mi avvicinai poscia ad alcuni mercanti che
negoziavano per mare, e consultai coloro che mi parvero capaci di darmi
dei buoni consigli, volendo trar profitto del poco danaro che mi
restava. Presa adunque questa risoluzione, non tardai ad eseguirla.
Andai a Bassora, ed ivi mi imbarcai con molti mercanti su d’un vascello
che equipaggiammo a spese comuni.
Sciogliemmo la vela e prendemmo la via delle
Indie orientali.
Un giorno ci sorprese la bonaccia rimpetto ad
una piccola isola quasi a fior d’acqua. Il Capitano fece raccogliere le
vele e permise di prender terra alle persone dell’equipaggio.
Ma mentre ci divertivamo a bere, a mangiare,
l’Isola tutta ad un tratto tremò.
Nel vascello si accorsero del moto
dell’isola, e ci gridarono
d’imbarcarci subito, perché quello che a noi sembrava un’isola, era il
dorso d’una balena. I più diligenti si salvarono nella scialuppa, gli
altri si gettarono a nuoto; io era ancora sull’Isola, o piuttosto sulla
balena, quand’essa si tuffò nel mare, ed ebbi appena il tempo ad
attaccarmi ad un pezzo di legno portato dal bastimento per accendervi il
fuoco, quando il capitano, dopo aver ricevuto a bordo le genti ch’erano
nella scialuppa e raccolti alcuni di quelli che nuotavano, approfittando
d’un vento favorevole se ne andò. Restai dunque in balìa delle onde. Non
avevo più forze e disperava di salvarmi, quando un cavallone per
avventura mi gettò sopra un’isola. Mi stesi allora per terra, e restai
mezzo morto, finché non apparve il giorno e non mostrossi il sole.
Allora, non tralasciai di trascinarmi per trovar dell’erbe buone a
mangiare. Essendomi tornate le forze, m’inoltrai nell’isola, pervenendo
ad una bella pianura, ove scorsi una cavalla che pascolava.
Nel mentre la mirava,
udii la voce d’un uomo che parlava sotterra; indi a poco quell’uomo
apparve ed avvicinatosi a me mi domandò chi fossi. Io gli narrai le mie
avventure: ed egli dopo ciò, prendendomi per mano, mi fece entrare in
una grotta ov’erano seco vari compagni.
Mangiai alcune vivande ch’essi mi offrirono;
poi avendo domandato quel che facevano in luogo sì deserto, mi risposero
essere palafrenieri del re Mihrage, sovrano di quell’Isola; che ogni
anno nella medesima stagione avevano costume di menar colà la cavalla
del re, per farla montare da un cavallo marino; che il medesimo dopo
averla montata si metteva in atto di divorarla, ma che essi ne lo
impedivano colle loro grida obbligandolo a rientrare nel mare.
L’indomani essi presero il cammino della
capitale dell’Isola, ed io li accompagnai. Al nostro arrivo il re
Mihrage, a cui fui presentato, mi domandò chi fossi, e per quale
avventura mi trovassi ne’ suoi Stati.
Quand’ebbi appagato la sua curiosità, rispose
di prender molta parte alla mia sventura.
Vi ha sotto il dominio del re Mihrage
un’Isola chiamata Cassel, ove mi si disse si ascoltava tutte le notti un
suono di timballi, che diede a credere a’ nocchieri che Degial vi
dimorasse.
Ebbi desiderio d’esser testimonio di quella
meraviglia. AI mio ritorno, trovandomi un dì sul porto, vidi approdare
un naviglio. Dopo che fu all’ancora,
cominciò a scaricare le mercanzie, ed i negozianti a cui appartenevano,
le facevano trasportare nei magazzini. Gettando io gli sguardi su quelle
balle, e sullo scritto che indicava a chi appartenevano, vi scorsi il
mio nome. Riconobbi anche il Capitano: ma siccome io era persuaso ch’ei
mi credeva morto, mi avvicinai domandandogli a chi appartenevano quelle
balle.
Egli mi rispose:
— Io aveva a bordo un mercante di Bagdad,
chiamato Sindbad. Un giorno in cui eravamo vicino ad un’isola, come a
noi sembrava, scese sulla medesima con molti passeggieri: ma invece
d’un’isola era una balena d’enorme grandezza addormentata a fior di
acqua. Essa non sì tosto s’intese riscaldare dal fuoco che si era acceso
sul suo dorso per fare da mangiare, cominciò a scuotersi, indi a
tuffarsi nel mare. La maggior parte delle persone che vi erano sopra si
annegarono, e lo sventurato Sindbad fu di quel numero.
«Queste balle erano sue ed io risolvetti di
negoziarle, finché non avessi incontrato qualcuno della sua famiglia a
cui restituire il guadagno che ne avrò ricavato.
— Capitano — gli dissi allora — io sono quel
Sindbad da voi creduto morto, e queste balle sono miei beni e mie
mercanzie.
Ei si scosse al mio discorso: ma fu subito
persuaso ch’io non era un impostore, poiché giunsero persone del suo
naviglio le quali mi riconobbero.
Scelsi ciò che vi era di più prezioso nelle
mie balle e lo regalai al re Mihrage. Egli accettò il mio dono e me ne
fece in cambio dei più considerevoli. Dopo di ciò tolsi da lui commiato
e m’imbarcai sul medesimo naviglio: ma prima del mio imbarco barattai le
mercanzie che mi restavano, con altre del paese. Passammo per molte
isole ed approdammo infine a Bassora da dove giunsi in questa città col
capitale di centomila zecchini.
Comprai schiavi dell’uno e dell’altro sesso,
bei terreni e feci una gran casa.
Fu così che mi stabilii, risoluto d’obbliare
i mali sofferti e di godere de’ piaceri della vita.
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