STORIA DEL DORMIGLIONE RISVEGLIATO
Eravi a Bagdad un ricco mercante, la cui
moglie era già vecchia. Avevano un figliuolo per nome Abou-Hassan in età
di trent’anni circa. Morì il mercante, e Abou-Hassan si pose in possesso
delle molte ricchezze che aveva accumulate in vita suo padre.
Il figliuolo, che aveva mire ed inclinazioni
diverse da quelle di suo padre, ne fece subito un uso totalmente
opposto.
La gran somma che egli aveva consacrata a
prodigalità, si trovò bentosto esaurita.
Terminato che ebbe di tener corte bandita,
secondo il solito gli amici sparirono.
Abou-Hassan fu più sensibile alla vile
condotta dei suoi amici, che a tutto il denaro con essi speso tanto male
a proposito.
Melanconico, pensieroso, col capo chino e con
un viso pallido pel rammarico, entrò nell’appartamento di sua madre.
— Che avete voi dunque, o figliuol mio? — gli
chiese sua madre, vedendolo in quello stato. Se aveste perduto quanto
avete al mondo, non potreste esser più triste.
A tali parole Abou-Hassan esclamò:
— Madre mia conosco
finalmente da molto dolorosa esperienza, quanto la povertà sia
insoffribile. Voi sapete, madre mia in qual maniera mi sia comportato co’
miei amici per un anno intero. Li ho trattati ai conviti più splendidi
che immaginar si possa, fino a consumare tutto il mio contante e
presentemente mi accorgo d’essere da tutti abbandonato. Per ciò che
riguarda la mia rendita, ringrazio il cielo di avermi ispirato di
conservarla sotto la condizione, e sotto il giuramento che ho fatto, di
non porvi mano. Voglio sperimentare fino a qual segno valgano i miei
amici: se meritano sempre di esser chiamati tali, oppure se devo loro
corrispondere con ingratitudine.
— Figliuol mio — ripigliò la madre di
Abou-Hassan — non pretendo di dissuadervi dall’eseguire il vostro
disegno, ma vi posso dir pur troppo che la vostra speranza è mal
fondata.
Abou-Hassan se ne partì la sera stessa, e
colse tanto propriamente il suo tempo, che ritrovò tutti i suoi amici
nelle proprie case.
Egli rappresentò il gran bisogno in cui era,
e li pregò di aprirgli i loro scrigni per efficacemente soccorrerlo.
Nessuno de’ suoi amici di tavola fu commosso
dalle vive espressioni dei quali l’afflitto Abou-Hassan si servì, onde
persuaderli. Oltre a ciò ebbe pure la mortificazione di vedere che molti
liberamente gli dissero che non lo conoscevano, e che non si ricordavano
di averlo giammai veduto.
Ritornossene per questo a casa col cuore
trafitto dal dolore e dallo sdegno.
— Ah! madre mia — esclamò egli entrando nel
suo appartamento — l’avevate ben detto. Invece di amici non ho trovato
se non dei perfidi e degl’ingrati, indegni della mia amicizia!
Levò poscia lo scrigno ove stava riposto il
contante delle sue rendite dal luogo che lo aveva posto in serbo, e lo
pose in luogo di quello da lui già vuotato. Risolse poscia di non
levarne per la sua spesa giornaliera se non una somma regolata e
sufficiente per onestamente convitare una sola persona con lui a cena.
Fece inoltre il
giuramento che questa persona non dovesse esser di Bagdad, ma un
forestiero che fosse giunto lo stesso giorno, e che nel seguente lo
licenzierebbe.
Era qualche tempo che si regolava in tal
maniera quando poco prima del tramontar del sole, stando assiso sul suo
solito posto sul ponte, il califfo Haroun-al-Rascid comparve, ma
travestito, dimodoché non lo riconobbe.
Siccome il Califfo aveva nel suo
travestimento un’aria grave e rispettosa, Abou-Hassan, credendolo un
mercante di Mussul, alzatosi da sedere e dopo averlo salutato con aria
grave e gentile ed avergli baciate le mani, gli disse:
— Signore, mi consolo del vostro felice
arrivo, e vi supplico di farmi l’onore di venire a cenar meco, e passar
la notte in casa mia onde riposarvi della fatica del viaggio.
E per maggiormente obbligarlo a non negargli
la grazia chiestagli, gli dichiarò in poche parole il costume
prefissosi, cioè di accogliere giornalmente in sua casa, perfin che gli
sarebbe possibile, e per una notte solamente, il primo forestiero che
gli si presentava.
Abou-Hassan non sapendo che l’ospite dalla
sorte presentatogli fosse infinitamente a lui superiore, praticò col
Califfo come se fosse stato un suo eguale.
Lo condusse alla sua casa, introducendolo in
una camera con molta proprietà adornata, ove fecegli occupar il
principal posto.
La madre di Abou-Hassan, che aveva molta
cognizione nel cucinare, portò in tavola tre piatti, uno nel mezzo
guernito di un grosso cappone con quattro buoni pollastri, e negli altri
due, che servivano di antipasto, in uno vi stava riposta un’oca grassa,
e nell’altro dei colombi in guazzetto.
Nulla eravi di più: ma queste vivande eran
molto scelte e di un gusto squisito.
Quando il supposto mercante di Mussul — cioè
a dire il Califfo — ebbe finito di mangiare domandò come si chiamasse ed
in che si occupasse ed adoperasse il suo tempo.
— Signore — gli rispose — il mio nome è
Abou-Hassan. Ho perduto mio padre, mercante non certamente dei più
ricchi, ma di quelli che più comodamente vivevano a Bagdad. Alla sua
morte lasciommi un’eredità più che sufficiente per vivere senza
ambizione, secondo il mio stato.
Formai una brigata di persone di mia
conoscenza e quasi della mia età, e col contante che a larga mano
spendeva, li convitava giornalmente con splendidezza, di maniera che ai
nostri divertimenti nulla mancava. Ma non ne fu molto lunga la durata;
poiché alla fine dell’anno nulla più ritrovai di contante nel mio
scrigno, e nello stesso tempo tutti i miei amici di tavola sparirono. Li
rividi uno dopo l’altro, dichiarai lo stato infelice in cui mi
ritrovava, ma niuno mi sovvenne in qualsiasi modo. Rinunciai adunque
alla loro amicizia, e riducendomi a non spendere se non la mia rendita,
m’impegnai a privarmi di ogni compagnia, fuorché di quella del primo
forestiero che giornalmente avrei incontrato al suo arrivo a Bagdad, con
la condizione di non convitarlo se non per un giorno solo.
Il Califfo, molto soddisfatto, disse ad
Abou-Hassan:
— Non vi posso lodare abbastanza della buona
risoluzione da voi abbracciata. Per dirvi ciò che ne penso, credo che
voi siete il solo dissoluto, al quale simil faccenda sia accaduta, e che
forse ad altri non accadrà mai. Vi confesso insomma che invidio la
vostra felicità. Ma, né voi né io, non ci avvediamo che da lungo tempo
parliamo senza bere, laonde bevete, e mescetene poscia anche a me.
Il Califfo ed Abou-Hassan continuarono in tal
modo per molto tempo a bere, parlando di cose piacevoli.
— La sola cosa che mi dia pena — disse il
Califfo — si è di non sapere con qual mezzo dimostrarvi la mia
riconoscenza. Può darsi che un uomo come voi non abbia qualche affare,
qualche bisogno, o non brami qualche cosa che gli farebbe piacere?
Aprite il vostro cuore, e francamente parlatemi.
— Mio buon signore — ripigliò Abou-Hassan — a
me non resta che ringraziarvi, non solamente delle vostre offerte tanto
obbliganti, ma ancora dall’esservi compiaciuto di compartirmi un onore
sì distinto, di aver cioè partecipato al mio meschinissimo pasto.
— Dirovvi nulladimeno — proseguì Abou-Hassan
— che una sola cosa mi addolora, senza che peraltro giunga a disturbare
il mio riposo. Voi sapete che la
città di Bagdad è divisa in quartieri e che in ogni quartiere vi è una
moschea con un Iman, per fare la preghiera alle ore destinate, alla
direzione del quartiere che vi si aduna.
L’Iman è un gran vecchio di un aspetto severo
e perfetto ipocrita, se ve ne siano stati giammai nell’universo. Per
consiglio desso si è associato con quattro altri vecchioni miei vicini,
gente quasi a lui simile, i quali regolarmente ogni giorno si radunano
in una casa. E nel loro conciliabolo non vi è maldicenza, calunnia e
malizia, che non pongano in opera contro di me e contro il quartiere per
disturbarne la tranquillità, e farvi regnare la discordia, sì che si
rendono formidabili agli uni e minacciano gli altri.
La sola cosa che per questi chiederei al
cielo, sarebbe di essere Califfo per un giorno solamente.
— Che mai fareste voi, se ciò accadesse? —
domandò il Califfo.
— Una cosa farei che servirebbe di
grand’esempio — rispose Abou-Hassan — e che sarebbe di molto contento a
tutte le persone dabbene. Farei dar cento bastonate sulla pianta dei
piedi ad ognuno de’ vecchi e quattrocento all’Iman, per insegnar loro
che ad essi non appartiene l’inquietare e disturbare in tal maniera il
riposo dei loro vicini.
— La vostra brama mi piace — disse il Califfo
— sono persuaso che il Califfo volentieri spoglierebbesi del suo potere
e lo depositerebbe per ventiquattr’ore nelle vostre mani, se fosse
informato della vostra buona intenzione e del buon uso che ne fareste.
— Terminiamo adunque la nostra conversazione
— disse Abou-Hassan — non voglio essere d’ostacolo al vostro riposo. Ma
restandovi ancora del vino nella bottiglia, bisogna, se vi piace, che la
vuotiamo: dopo di che andremo a coricarci. La sola cosa che vi
raccomando si è, che nell’uscire domani mattina, in caso che io non sia
risvegliato, non lasciate la porta aperta.
Il Califfo promise di fedelmente eseguire ciò
che gli aveva detto.
Mentre Abou-Hassan parlava, il Califfo erasi
impadronito della bottiglia e delle due tazze. Quando ebbe bevuto gettò
destramente nella tazza di Abou-Hassan una certa polvere che aveva con
sé, e vuotolla sopra il rimanente della bottiglia, presentandola poscia
ad Abou-Hassan.
Abou-Hassan prese la tazza e la vuotò quasi
in un sorso. Ma appena ebbe deposta la tazza sopra la tavola fu oppresso
da un profondissimo sonno.
— Carica quest’uomo sopra le spalle — disse
il Califfo al suo schiavo.
Il califfo accompagnato dallo schiavo, carico
di Abou-Hassan, uscì dalla casa ma senza chiuder la porta e ciò fece a
bella posta.
Giunto al suo palazzo, si fece accompagnar
dallo schiavo fino al suo appartamento, ove tutti gli ufficiali della
sua camera lo aspettavano.
— Spogliate quest’uomo — disse loro — e
coricatelo nel mio letto.
Gli ufficiali spogliarono Abou-Hassan, lo
rivestirono dell’abito da notte del Califfo e lo coricarono, secondo il
comando ricevuto. Niuno era ancora coricato nel palazzo, ed il Califfo
fece venir tutti gli altri suoi ufficiali e tutte le dame, e giunti che
furono alla presenza:
— Voglio — disse loro — che tutti quelli i
quali hanno per costume di trovarsi vicino a me quando mi alzo dal
letto, non trascurino d’andare domattina da quest’uomo che nel mio letto
vedete coricato, e che ognuno pratichi verso di lui, risvegliato che
sarà, le funzioni stesse che ordinariamente si osservano verso di me.
Gli ufficiali e le dame, che compresero
subito volersi il Califfo divertire, non risposero se non con un
profondissimo inchino: ed immantinente ciascuno dal suo canto si preparò
a contribuire con tutto il suo potere per ben rappresentare la parte.
Dopo che il gran Visir si fu ritirato, il
Califfo passò a un altro appartamento, e coricandosi nel letto, diede a
Mesrour capo degli eunuchi i suoi ordini, affinché tutto riuscisse a
contentare le brame di Abou-Hassan, e vedere come costui servirebbesi
del potere e dell’autorità di Commendatore dei credenti.
Mesrour non mancò di risvegliare il Califfo
all’ora che avevagli domandato.
Entrato il Califfo nella camera in cui
Abou-Hassan dormiva, andò a collocarsi in un gabinetto donde poteva
molto bene vedere per una gelosia quanto avveniva, senza essere veduto.
Tutti gli ufficiali e tutte le dame che
dovevano ritrovarsi all’alzarsi dal letto di Abou-Hassan, entrarono
collocandosi ciascuno al suo solito posto, secondo il suo grado, e
conservando il più gran silenzio.
Essendo già comparsa l’alba, ed essendo tempo
di alzarsi per fare la preghiera, l’ufficiale che stava più vicino al
capezzale del letto, accostò alle narici di Abou-Hassan una piccola
spugna, imbevuta nell’aceto.
Abou-Hassan starnutò
subito; aprì gli occhi; e, mediante la poca luce del giorno che
principiava a comparire, videsi nel mezzo di una grande e magnifica
camera, superbamente adornata di arabeschi dorati, di gran vasi d’oro
massiccio, di cortine e di un tappeto di oro e di seta.
Circondavano il letto molte donzelle tutte
leggiadre, alcune delle quali avevano diverse specie d’istrumenti da
musica pronte a suonarli, ed eunuchi mori, tutti riccamente vestiti.
[385] Egli
mirava tutti come in sogno: sogno tanto vero a suo riguardo, cui quello
che vedeva gli pareva che non lo fosse.
— Bene — fra sé stesso diceva — eccomi
diventato Califfo: ma — soggiunse poco dopo come disdicendosi — non
bisogna che m’inganni; questo è un sogno, effetto della brama di cui
parlava poco fa col mio ospite.
Ciò dicendo chiudeva di nuovo gli occhi come
per dormire.
— Nello stesso momento un eunuco gli si
accostò dicendogli:
— Gran Commendatore dei credenti, Vostra
Maestà non si addormenti di nuovo, essendo tempo di alzarsi per far la
sua preghiera, poiché l’aurora ha già principiato a comparire.
— Io m’ingannava — disse subito Abou-Hassan
-non dormo, ma son desto! Quelli che dormono non odono, ed io odo.
Aprì di bel nuovo gli occhi, e siccome il
giorno era avanzato, vide in modo chiaro quanto non aveva osservato se
non confusamente.
S’assise poscia sul letto con un volto
ridente a guisa di un uomo ripieno di giubilo nel vedersi in uno stato
di molto superiore alla sua condizione.
Allora le damigelle ch’erano quivi, si
prostrarono colla faccia a terra alla presenza di Abou-Hassan e quelle
che tenevano gli strumenti gli dettero il buon giorno con un concerto di
flauti, di pive e di altri strumenti.
Mesrour, Capo degli eunuchi, entrò, e dopo
essersi prostrato profondamente alla presenza di Abou-Hassan, gli disse:
— Gran Commendatore dei credenti, la Maestà
Vostra mi permetterà di rappresentarle, che ella non è solita ad alzarsi
ad ora tanto tarda, e che ha lasciato trascorrere il tempo di fare la
sua preghiera. Dubitasi ch’ella non abbia passata una cattiva notte, e
che sia indisposta. Non le resta più se non il tempo di salire sovra il
trono per tenere il suo Consiglio, e farsi vedere secondo il solito. I
generali delle sue armi, i governatori delle sue provincie, e i grandi
uffiziali della sua Corte non sospirano se non il momento che la porta
della sala del Consiglio sia loro aperta.
Al discorso di Mesrour, Abou-Hassan con voce
seria gli chiese:
— A chi dunque parlate voi, e chi è quello
che chiamate gran Commendatore de’ credenti, voi che io non conosco?
Indubitamente mi prendete per un altro.
— Mio riverito signore e padrone — esclamò
egli — la Maestà Vostra probabilmente mi parla ora in tal maniera per
esperimentarmi.
— Non mi occultate la verità, ve ne scongiuro
per la protezione di Maometto. È egli poi vero che io sia il
Commendatore de’ credenti?
— Egli è tanto vero — disse una dama — che la
Maestà Vostra è il gran Commendatore de’ credenti, che abbiamo ragione,
tutte quante siamo qui vostre schiave, di stupirci che voi vogliate far
credere di non esserlo.
— Voi siete una bugiarda — ripigliò
Abou-Hassan — so molto bene quello che io sono.
Quando il capo degli eunuchi s’accorse che
Abou-Hassan voleva alzarsi, porsegli la mano ed aiutollo ad uscir dal
letto.
Appena fu in piedi, la camera echeggiò del
saluto che tutti gli ufficiali e le dame gli fecero in coro, con
un’acclamazione in questi termini:
— Gran Commendatore de’ credenti, il cielo
benigno conceda un fortunato giorno alla Maestà Vostra!
— Ah! cielo, che meraviglia! — esclamò allora
— Ieri sera ero Abou-Hassan, e questa mattina sono il gran Commendatore
de’ credenti! Nulla intendo di una mutazione tanto pronta e
sorprendente.
Gli ufficiali destinati a questo ministero lo
vestirono con sollecitudine, e terminato che ebbero come gli altri
ufficiali, gli eunuchi e le dame eransi disposti in due file fino alla
porta per la quale doveva entrare nella camera del Consiglio.
Il Califfo, uscito dal gabinetto ove stava
nascosto, quando Abou-Hassan era entrato nella camera del consiglio,
passò ad un altro gabinetto che sporgeva pure sovra la stessa camera,
donde poteva vedere ed udire quanto avveniva nel Consiglio.
Ciò che da principio maggiormente gli
piacque, fu di vedere che Abou-Hassan lo rappresentava sul trono con
molta gravità.
Subito che Abou-Hassan si fu assiso al suo
luogo, il gran visir Giafar — che in quel punto giungeva — si prostrò
innanzi a lui a piè del trono, poscia si rialzò e guardandolo:
[387] — Gran
Commendatore de’ credenti — egli disse — il cielo ricolmi la Maestà
Vostra de’ suoi favori in questa vita, la riceva nel suo paradiso
nell’altra, e precipiti i suoi nemici nelle fiamme dell’inferno!
Gran Commendatore de’ credenti, gli emiri, i
visiri e gli altri ufficiali, che hanno luogo nel consiglio di Vostra
Maestà, sono alla porta e non sospirano se non il momento che la Maestà
Vostra conceda loro la permissione di entrare.
Abou-Hassan ordinò
subito che loro venisse aperto, e il gran Visir, rivolgendosi al capo
degli uscieri, gli disse:
— Il gran Commendatore de’ credenti comanda
che eseguiate il vostro dovere!
La porta fu aperta e nello stesso tempo i
visiri, gli emiri ed i principali ufficiali della Corte, tutti in abiti
da funzione magnifici, entrarono con bell’ordine, inoltrandosi fino a
piè del trono, prestando i loro omaggi ad Abou-Hassan.
Il gran Visir allora, sempre in piedi davanti
al trono, principiò a far la relazione di molti affari, secondo l’ordine
dei memoriali che teneva nelle mani.
Ad onta che gli affari fossero ordinari e di
poca conseguenza, Abou-Hassan nulladimeno non trascurò di farsi ammirare
anche dal Califfo, infatti non restò interdetto, né parve imbarazzato
sopra veruno.
Prima che il gran Visir avesse terminata la
sua esposizione, Abou-Hassan vide che il Luogotenente criminale, da esso
conosciuto di vista, era assiso nel suo posto.
— Aspettate un momento — diss’egli al gran
Visir interrompendolo — ho un ordine che preme da dare al luogotenente
criminale.
Il luogotenente criminale, il quale teneva
gli occhi fermi sopra Abou-Hassan e che si accorse ch’egli
particolarmente lo guardava, udendosi chiamar per nome, alzossi subito
dal suo luogo, e con gravità si avvicinò al trono, a piè del quale si
prostrò.
— Luogotenente criminale — dissegli
Abou-Hassan, dopo che quegli si fu rialzato — andate in questo punto, e
senza perdita di tempo, in un tal quartiere, che gl’indicò. Havvi in
quella strada una moschea ove ritroverete l’Iman, e quattro vecchi con
barba bianca. Assicuratevi delle loro persone, e fate dare ad ognuno dei
quattro vecchi cento bastonate con nervi di bue, e quattrocento
all’Iman. Dopo ciò farete salir tutti su cinque cammelli, ciascuno sopra
il suo vestito di cenci, e con la faccia voltata verso la coda del
cammello. In questo equipaggio li farete condurre in tutti i quartieri
della città preceduti da un banditore, il quale ad alta voce griderà:
«In tal forma si castigano quelli i quali si intrigano negli affari
altrui, che senza badar punto ad essi, pongono tutta la loro occupazione
a seminare la discordia nelle famiglie dei loro vicini, ed a cagionar a
questi il maggior male di cui possono esser capaci.»
La mia intenzione inoltre si è d’ingiunger
loro di mutar quartiere con proibizione di giammai riporre il piede in
quello dal quale saranno stati discacciati.
il Luogotenente criminale si pose la mano
sopra il capo per dimostrare che andava ad eseguire l’ordine avuto,
sotto pena di soccombere egli stesso ad un simile castigo se vi mancava.
Il gran Visir intanto continuò a fare la sua
esposizione, e stava per terminarla, quando il Luogotenente criminale,
essendo ritornato, presentossi a render conto della sua missione.
Accostandosi al trono, disse al finto Califfo:
— Gran Commendatore de’ credenti, io ho
trovato l’Iman ed i quattro vecchi della moschea che la Maestà Vostra mi
ha accennati, ed in prova di aver io fedelmente adempiuto l’ordine che
ricevuto aveva da Vostra Maestà, questo è il processo verbale
sottoscritto da molti testimoni dei principali del quartiere. Nello
stesso tempo cavò un foglio dal suo seno, e presentollo al supposto
Califfo.
Abou-Hassan prese il processo verbale, lo
lesse, e lo riconobbe vero anche dai testimoni, persone a lui molto ben
note, e terminato che ebbe disse al luogotenente criminale sorridendo:
— Tutto è ottimamente eseguito, son
contentissimo! Ripigliate il vostro posto.
Abou-Hassan voltosi poscia al gran Visir, gli
disse:
— Fatevi consegnare dal gran Tesoriere una
borsa con mille piastre d’oro, poscia andate al quartiere ove ho spedito
il Luogotenente criminale, e portatela alla madre di un certo
Abou-Hassan soprannominato il crapulone, cognito in tutto il
quartiere sotto questo nome; non vi è persona che la sua casa non
v’insegni. Partite, e tornate presto!
Mesrour, che era entrato nell’interno del
palazzo dopo aver accompagnato Abou-Hassan fino al trono — ritornò e
dimostrò con un cenno ai visiri, agli emiri ed a tutti gli ufficiali che
il Consiglio era terminato e che ognuno si poteva ritirare.
Non rimasero vicino ad Abou-Hassan, se non
gli ufficiali della guardia dei Califfo, ed il gran Visir.
Abou-Hassan, senza rimaner più oltre sul
trono del Califfo, vi discese nella maniera in cui eravi salito, cioè
con l’aiuto di Mesrour e di un altro ufficiale degli eunuchi, e lo
accompagnarono fino all’appartamento del gran Visir: ma appena fatti
pochi passi diede a conoscere che aveva qualche premuroso bisogno da
soddisfare. Subito gli fu aperto un gabinetto molto pulito che era
selciato di marmo, mentre l’appartamento in cui si trovava era ricoperto
di ricchi tappeti. Furongli presentate delle scarpe di seta ricamate in
oro che avevasi costume di mettere prima di entrarvi. Egli le prese, e
non sapendo l’uso cui servivano, se le pose in una delle maniche, le
quali erano molto larghe.
Mentre Abou-Hassan stava nel gabinetto, il
gran Visir andò a ritrovare il Califfo, il quale erasi già collocato in
un altro luogo per continuare ad osservare Abou-Hassan senza esser
veduto, e narrogli quanto era accaduto: ed il Califfo provò un nuovo
piacere.
Abou-Hassan uscì dal gabinetto, e Mesrour
camminandogli innanzi per accennargli la strada, lo condusse
nell’appartamento inferiore, ove stava apparecchiata la tavola.
Finalmente s’inoltrò
fino nel mezzo, e si assise a tavola.
Subito le sette belle dame che stavano
all’intorno agitarono in aria tutte insieme i loro ventagli per
suscitare il fresco al nuovo califfo.
Egli le guardava una dopo l’altra, ed
ammirata la grazia colla quale adempivano al loro ufficio, dissegli con
un grato sorriso, che credeva una sola fra loro bastasse per
somministrargli tutta l’aria di cui avrebbe bisogno, e volle che le
altre sei si sedessero a tavola con lui, tre alla destra e le altre tre
alla sinistra, per fargli compagnia.
Le sei dame obbedirono e si posero a tavola.
Ma Abou-Hassan in breve si accorse che esse
non mangiavano per rispetto alla sua persona: il che diedegli occasione
di servirle egli stesso, invitandole a mangiare.
Chiese loro poscia come si chiamassero, ed
ognuna appagò la sua curiosità. I loro nomi erano:
— Collo di Alabastro, Bocca di Corallo,
Aspetto di Luna, Splendor di Sole, Piacer degli Occhi e Delizia del
Cuore.
Fece pure la stessa domanda alla settima che
teneva il ventaglio, ed essa gli rispose che chiamasi Canna di Zucchero.
Le risposte piacevoli che fece ad ognuna
sopra i loro nomi fecero scorgere che aveva moltissimo spirito: né può
credersi quanto ciò servisse ad accrescere la stima che il Califfo ne
aveva già concepita. D’un tratto le dame videro che Abou-Hassan più non
mangiava.
— Poiché il gran Commendatore de’ credenti —
disse una voltandosi agli eunuchi ch’erano presenti per servire — non
mangia, può passare al salone della frutta! Si porti dunque da lavare!
Ciò terminato s’alzò, e nello stesso istante
un eunuco tirò la cortina ed aprì la porta di un altro salone nel quale
doveva passare.
Mesrour, il quale ancora non aveva
abbandonato Abou-Hassan, s’incamminò a lui davanti e l’introdusse in un
salone di grandezza uguale a quello dal quale usciva, ma adorno di
diverse pitture.
S’inoltrò fino alla tavola, ed assiso che si
fu, contemplate a suo bell’agio le sette dame l’una dopo l’altra, con un
imbarazzo che dimostrava non saper egli a quale dar la preferenza,
ordinò loro di lasciare ognuna il proprio ventaglio, e sedersi a tavola
per mangiare con lui, dicendo che il calore non cagionavagli molto
incomodo per aver bisogno del loro ufficio.
Quando Abou-Hassan ebbe mangiato di tutti i
frutti che erano nei bacini, alzossi: e subito Mesrour il quale non
l’abbandonava mai, s’incamminò innanzi a lui e l’introdusse in
un terzo salone adornato ed arricchito con magnificenza maggiore
dei due primi.
Abou-Hassan vi trovò sette cori di musica, e
sette altre dame all’intorno di una tavola, coperta di sette bacini
d’oro ripieni di confezioni liquide di diversi colori, e differentemente
lavorate.
Era sul terminar del giorno, quando
Abou-Hassan fu condotto nel quarto salone il quale era adornato come gli
altri di suppellettili magnifiche e preziose.
Ma ciò che Abou-Hassan vi osservò, e che
veduto non aveva negli altri saloni, era una credenza carica di sette
grandi fiaschi d’argento, ripieni di un vino squisitissimo, e sette
bicchieri di cristallo di ròcca di un bellissimo lavoro.
Abou-Hassan entrò dunque in questo quarto
salone inoltrandosi fino alla tavola. Quando vi fu assiso, si
fermò come in estasi a contemplare le sette
dame, che all’intorno gli stavano e ritrovolle più belle di quelle che
aveva vedute negli altri saloni.
Bramò di conoscere i nomi di ciascuna dama in
particolare.
Allora, prendendo per la mano la dama che
eragli più vicina alla sua destra assider la fece, e dopo averle
presentata una sfogliata, le chiese come si chiamasse:
— Gran Commendatore de’ credenti — rispose la
dama — il mio nome è Mazzo di Perle.
— Mazzo di Perle — soggiunse egli — giacché
questo è il vostro nome, fatemi la grazia di pigliare un bicchiere, e di
porgermi da bere con la vostra bella mano!
La dama andò subito alla credenza, e ritornò
con un bicchiere ripieno di vino.
Quando Abou-Hassan ebbe terminato di bere
altrettante volte per quante dame vi erano, Mazzo di Perle, la prima
alla quale erasi rivolto — andata alla credenza, prese un bicchiere, che
essa riempì dopo avervi gettata della polvere, della quale il Califfo si
era servito il giorno precedente.
— Gran Commendatore de’ credenti — gli disse
— supplico la Maestà Vostra, per l’interesse che prendo alla conversione
della sua salute, di pigliare questo bicchiere di vino.
Abou-Hassan, il quale
voleva farle la lode che meritava, vuotò prima tutto in un sorso il
bicchiere: poscia girando il capo verso la dama come per parlare, ne fu
impedito dalla polvere che tanto celeremente produsse il suo effetto,
che non fece se non aprir la bocca balbettando.
Subito i suoi occhi si chiusero, e lasciando
cadere il suo capo sin sopra la tavola, come un uomo dal sonno oppresso,
profondamente si addormentò come avea fatto nel giorno precedente alla
stessa ora, quando il Califfo gli fece pigliare la stessa polvere.
Il Califfo comandò primieramente che
Abou-Hassan fosse spogliato dell’abito di Califfo, e che fossegli
riposto quello che portava il giorno antecedente, quando lo schiavo che
lo accompagnava l’aveva trasportato nel suo palazzo. Fece poscia
chiamare lo stesso schiavo e presentato che fu, gli disse:
— Ripiglia quest’uomo e riportalo alla sua
casa sovra il suo strato senza fare strepito, e nel ritirarti lascia la
porta aperta.
Lo schiavo pigliò Abou-Hassan, portollo per
la porta segreta del palazzo, lo ripose in sua casa, come il Califfo
ordinato avevagli, e ritornò sollecitamente a rendergli conto di quanto
aveva operato.
Abou-Hassan, riposto sopra il suo strato
dallo schiavo, dormì fino al giorno seguente molto tardi, né
risvegliossi se non quando la polvere, che erasi gettata nell’ultimo
bicchiere bevuto, non ebbe cessato il suo effetto. Aprendo allora gli
occhi, restò molto sorpreso di vedersi in sua casa.
— Mazzo di Perle, Stella del Mattino, Alba
del Giorno, Bocca di Corallo, Aspetto di Luna — esclamò egli, chiamando
le dame del palazzo che avevangli tenuto compagnia, ognuna pel loro
nome, tante quante ricordarsene poté. — Ove siete voi? Venite,
accostatevi.
Abou-Hassan gridando con quanta forza aveva,
sua madre, avendolo inteso dal suo appartamento, accorse allo strepito,
ed entrando nella sua camera:
— Che avete mai, figliuol mio — gli domandò
essa — che vi è accaduto?
A queste parole Abou-Hassan alzò il capo
sdegnosamente, guardando sua madre con disprezzo.
— Buona donna — le disse egli — chi è adunque
quello che tu chiami tuo figliuolo?
— Voi stesso siete quello — rispose la madre
con molta piacevolezza — non siete voi Abou-Hassan mio figliuolo?
— Io sono tuo figliuolo, vecchia esecrabile?
— ripigliò Abou-Hassan — non sai quello che dici, e sei una bugiarda. Io
non sono Abou-Hassan come dici, ma sono il gran Commendatore de’
credenti!
— Tacete, figliuol mio — ripigliò la madre —
voi non siete savio. Sareste creduto pazzo, se foste udito.
— Di grazia, o figliuol mio, raccomandatevi
al cielo ed astenetevi dal tener questo linguaggio per timore che
qualche sventura non vi accada; parliamo piuttosto di tutt’altro, e
lasciate ch’io narri quanto ieri successe nel nostro quartiere all’Iman
della nostra moschea, ed ai quattro sceicchi nostri vicini. il
Luogotenente criminale li fece pigliare, e dopo aver fatto dare alla sua
presenza a ciascuno non so quante bastonate con un nervo di bue, fece
pubblicare per un banditore, che tale era il castigo di quelli che
s’intrigavano negli affari che non li concernevano, e che facevansi un
diletto di seminare la discordia e la confusione nelle famiglie dei loro
vicini. Poscia li fece passeggiare per tutti i quartieri della città con
le stesse grida, e proibì loro di riporre più mai il piede nel nostro
quartiere,
Appena Abou-Hassan ebbe udito un tale
racconto esclamò:
— Io non sono più tuo figliuolo, né
Abou-Hassan! Certamente io sono il gran Commendatore de’ credenti, non
potendone più dubitare dopo quanto tu stessa m’hai detto. Sappi che
quando ho esercitata la funzione di gran Commendatore de’ credenti, di
mio positivo ordine l’Iman ed i quattro sceicchi sono stati castigati
nella maniera che mi hai riferito. Io adunque sono veramente il gran
Commendatore de’ credenti, ti replico, e tralascia di dirmi che questo è
un sogno.
Io non dormo, ed ero risvegliato egualmente,
come lo sono in questo momento.
Nel terminar queste parole, nell’eccesso
della sua frenesia, divenne snaturato al segno di maltrattarla senza
pietà col bastone che teneva in mano.
Il furore di Abou-Hassan principiava qualche
poco a rallentarsi, quando entrarono nella sua camera i vicini.
Il primo che presentossi s’intromise fra sua
madre e lui, e dopo avergli levato a viva forza dalle mani il bastone,
gli disse:
— Orsù, che fate voi, Abou-Hassan? Avete
perduto il timore del cielo e la ragione? Un buon figliuolo come voi,
non ha mai ardito di alzare il braccio contro sua madre, e non avete voi
punto rossore nel maltrattare in tal maniera la vostra, che tanto
cordialmente vi ama?
— Voi siete tanti imbecilli — replicò
Abou-Hassan — io non la conosco, né voglio conoscervi. Io non sono
Abou-Hassan, sono il gran Commendatore dei credenti, e se non lo sapete
ve lo farò imparare a vostre spese.
A questo discorso di Abou-Hassan, i vicini
più non dubitarono dell’alienazione del suo spirito, e per impedire che
non desse più in eccessi simili a quelli contro sua madre commessi, si
assicurarono della sua persona, lo legarono in maniera che levarongli
l’uso delle mani e dei piedi, e ad onta di tale stato, e senza nessuna
apparenza di poter nuocere, pur nondimeno giudicarono a proposito di non
lasciarlo solo con sua madre.
Due della compagnia si partirono, e senza
dilazione andarono all’Ospedale dei pazzi ad avvisare il custode di
quanto era avvenuto. Egli venne subito coi vicini, ma accompagnato da un
buon numero delle sue genti, muniti di catene, di manette e di un nervo
di bue.
Al loro arrivo, Abou-Hassan, che non
aspettavasi per nulla di un sì orribile apparecchio, fece grandi sforzi
per togliersi d’impaccio: ma il custode, che erasi fatto porgere il
nervo di bue, in breve lo ridusse alla ragione con due o tre colpi bene
assestati sopra le spalle. Questo trattamento fu tanto sensibile ad
Abou-Hassan, che divenne mansueto, ed il custode con le sue genti
fecero, senza verun contrasto, di lui ciò che vollero.
Lo legarono ben bene e lo condussero
all’Ospedale dei pazzi.
La madre di Abou-Hassan frattanto andava ogni
giorno a vedere il suo figliuolo, né poteva contener le sue lacrime
vedendo di giorno in giorno diminuire il suo colore e le sue forze, e
udendolo lamentarsi e sospirare pei molti tormenti che soffriva.
Sua madre gli voleva parlare per consolarlo,
e di procurare di conoscere se si manteneva sempre nella stessa
supposizione sopra la sua pretesa autorità di califfo o Commendatore de’
credenti.
— Madre mia — rispose Abou-Hassan con parole
calme, molto tranquillo e di una maniera che ben esprimeva il dolore che
egli risentiva degli eccessi ai quali erasi trasportato contro di lei —
riconosco il mio errore: ma vi prego di perdonarmi l’esecrabile delitto
che detesto, e del quale verso di voi sono reo. Sono pur convinto di non
essere io questo fantasma di Califfo. o di gran Commendatore de’
credenti, ma Abou-Hassan vostro figliuolo, di voi, dico, che ho sempre
onorata fino a quel giorno fatale, la cui memoria mi opprime di
confusione.
La madre di Abou-Hassan, perfettamente
consolata ed intenerita nel vedere che Abou-Hassan era interamente
guarito dalla sua pazza supposizione di essere Califfo, andò
immantinente a trovare il custode che lo aveva condotto, e sotto il cui
governo fino allora era stato. Assicuratolo d’esser egli perfettamente
ristabilito nel buon senno, venne, l’esaminò, e lo pose in libertà alla
sua presenza.
Abou-Hassan ritornò in casa sua, e vi si
trattenne per molti giorni affine di ristabilirsi in salute.
Ma appena ebbe intieramente ricuperate le sue
forze e che più non risentivasi degli incomodi sofferti pei pessimi
trattamenti statigli fatti nella sua carcere, cominciò ad annoiarsi di
passare le sere senza compagnia, per il che non tardò molto di
ripigliare la stessa maniera di vivere come prima, cioè a dire, si pose
di nuovo a fare una provvigione sufficiente a convitare un nuovo ospite
in ciascuna sera.
Il giorno in cui rinnovò il costume di
andarsene verso il tramontar del sole in capo al ponte di Bagdad per
fermarvi il primo forestiero che se gli fosse presentato, e pregarlo
d’impartirgli l’onore di andare a cena con lui, era il primo del mese,
lo stesso giorno, cioè, come lo abbiamo già detto, in cui il Califfo si
divertiva di andar travestito fuori di qualcuna delle porte per le quali
entravasi in quella città.
Non era molto tempo che Abou-Hassan era
giunto e che erasi assiso sovra un banco, allorché girando gli occhi
dall’altro capo del ponte scorse il Califfo che venivagli incontro,
travestito da mercante di Mussul come la prima volta, accompagnato dallo
stesso schiavo.
Persuaso che tutto il male da lui sofferto
provenisse perché il Califfo, che egli non conosceva se non per un
mercante di Mussul, aveva lasciata la porta aperta nell’uscire dalla sua
camera, fremette riguardandolo.
— Il cielo si
compiaccia preservarmi — disse fra sé — ecco, s’io non m’inganno, il
mago che mi ha incantato!
Questo monarca vide Abou-Hassan quasi nello
stesso tempo in cui egli da lui fu veduto: ed al suo gesto comprese
subito quanto fosse disgustato di lui, e che il suo disegno era di
sfuggirlo.
Ciò l’indusse ad andar rasente al parapetto
ove stava Abou-Hassan. Giuntogli appresso chinò il capo e lo guardò in
faccia dicendogli:
— Siete voi, adunque, mio fratello
Abou-Hassan? Io vi saluto, permettetemi, vi prego, che vi abbracci.
— Ed io — rispose sdegnosamente Abou-Hassan
senza guardare il finto mercante di Mussul — non vi saluto.
Il Califfo non fece molto caso
dell’alterazione di Abou-Hassan, sapendo assai bene che una delle leggi
prescrittasi da questo, consisteva nel non aver più commercio col
forestiero una volta convitato, imperocché Abou-Hassan gliel’aveva
manifestata.
Tuttavia egli voleva destramente far
conoscere di ignorarla.
— Mio caro amico
Abou-Hassan — ripigliò il Califfo abbracciandolo ancora una volta — voi
mi trattate con un’asprezza che non mi aspettava. Vi supplico di non
farmi un discorso cotanto offensivo, e di essere al contrario molto ben
persuaso, della mia amicizia. Fatemi dunque la grazia di narrarmi ciò
che vi è accaduto.
Abou-Hassan si arrese alle istanze del
Califfo, e dopo averlo fatto sedere vicino a lui gli disse:
— Ciò che ora vi narrerò vi farà conoscere
che non a torto mi dolgo molto di voi.
Il Califfo si assise vicino ad Abou-Hassan,
il quale narrogli tutti gli accidenti che erangli accaduti, dacché si
era destato nel palazzo, fino al suo secondo risveglio nella sua camera,
e tutti glieli raccontò come un vero sogno accadutogli e con un’infinità
di particolari che il Califfo al pari di lui sapeva, e che rinnovarono
il diletto che aveva principiato a prendere. Egli esagerò poscia
l’impressione lasciatagli nello spirito da questo sogno di essere il
gran Commendatore dei credenti.
— Siete voi pure — soggiunse egli — cagione
inoltre dello scandalo dato a’ miei vicini, allorché, accorsi alle grida
della povera mia madre, mi sorpresero infuriato a volerla uccidere: e
tutto questo non sarebbe accaduto, se aveste avuto l’attenzione di
chiudere la porta della mia camera, uscendone come io stesso vi aveva
pregato. Volete voi prove più reali di quanto ve n’ho espresso? Tenete,
ed osservate voi stesso, dopo ciò mi direte se scherzo.
Nel dir tali parole si
abbassò, e scoprendosi le spalle ed il seno, fece vedere al Califfo le
cicatrici e le lividure cagionategli dai colpi ricevuti dal nervo di
bue. Il Califfo non poté guardarlo senza provarne alquanto orrore e di
tutto cuore abbracciandolo gli disse con grande serietà:
— Alzatevi, ve ne supplico, fratello mio
caro. Venite, e andiamo alla vostra casa; voglio avere ancora l’onore di
stare allegramente questa sera in vostra compagnia: domani, se al cielo
piace, vedrete che il tutto andrà meglio di quanto possiate immaginare.
Abou-Hassan, nonostante la sua risoluzione, e
contro il giuramento fatto di non ricevere in casa sua lo stesso
forestiero una seconda volta, non poté resistere.
— Di buona voglia io vi acconsento — disse al
supposto mercante — ma però ad una condizione che v’impegnerete con
giuramento di osservare. Consiste di farmi la grazia di chiudere la
porta della mia camera nell’uscire di casa mia affinché lo spirito
maligno non venga a confondermi la mente.
Il finto mercante tutto promise: e poscia,
alzatisi ambedue s’incamminarono verso la città.
Abou-Hassan, ed il Califfo accompagnato dal
suo schiavo, conversando in tal
maniera, giunsero alla casa di Abou-Hassan.
Egli chiamò subito sua madre e si fece
portare il lume. Pregato il Califfo di pigliar luogo sopra lo strato,
posesi a lui vicino, e in poco tempo la cena fu apprestata. Mangiarono
essi senza cerimonie, e terminato che ebbero, la madre di Abou-Hassan,
dopo avere sparecchiato, pose le frutta sopra la tavola ed il vino con
le tazze vicino al suo figliuolo.
Abou-Hassan principiò a mescersi del vino il
primo, e ne versò poscia al Califfo. Essi bevvero ognuno cinque o sei
volte, parlando sempre di cose indifferenti. Quando il Califfo vide che
Abou-Hassan principiava a riscaldarsi, introdusse il discorso sopra i
suoi amori, e gli chiese se mai avesse amato.
— Fratel mio caro — rispose famigliarmente
Abou-Hassan — non vi assicuro però di essere indifferente per il
matrimonio, né incapace di affetto se potessi incontrar una donna di
bellezza e dell’amore di quelle che vidi in sogno quella notte fatale
che vi accolsi la prima volta, e che, per mia disgrazia, lasciaste la
porta della mia camera aperta; se di buona voglia volesse passar meco la
sera a bevere in mia compagnia, se sapesse cantare e suonare diversi
istrumenti, e piacevolmente trattenermi; se insomma non studiasse se non
di compiacermi e divertirmi, credo al contrario che cangerei la mia
indifferenza in un grandissimo amore per una tal persona, e crederei di
vivere felicissimo con lei.
Dopo aver parlato molto tempo sopra tal
soggetto, il Califfo, avendo veduto Abou-Hassan al segno che bramava:
— Lasciate fare a me — gli disse — dacché voi
avete tutto quanto il buon gusto delle persone civili, voglio io
trovarvi quel che vi conviene senza che nulla ve ne costi.
Ciò detto, prese la bottiglia e la tazza di
Abou-Hassan, nella quale gettò della polvere simile a quella di cui
erasi già servito l’altra volta, gliela riempì di vino, e
presentandogliela gli disse:
— Pigliate, bevete primieramente alla salute
di quella bella, la quale deve formare la felicità della vostra vita:
voi ne resterete contento.
Abou-Hassan non appena ebbe bevuto tutto il
vino, che un profondo sopore oppresse i suoi sensi come nelle altre due
volte, e il Califfo rimase di nuovo padrone di disporre di lui a suo
piacimento. Ordinò subito allo schiavo, che aveva condotto seco, di
pigliare Abou-Hassan e di portarlo al palazzo.
Lo schiavo se ne andò col suo carico, e
giunto il Califfo al palazzo, fece coricare Abou-Hassan sopra uno strato
nel quarto salone, donde era stato levato e ricondotto addormentato alla
sua casa, un mese prima.
Avanti di lasciarvelo disteso, comandò che
gli fosse posto lo stesso abito, del quale era stato vestito di suo
ordine per fargli rappresentare il personaggio di Califfo. Ordinò poscia
ad ognuno, prima di andarsene a dormire, al capo ed agli altri ufficiali
degli eunuchi, ed alle stesse dame che eransi ritrovate in questo
salone, quando ebbe bevuto l’ultimo bicchiere di vino che avevagli
cagionato il sopore, di ritrovarsi senza fallo la mattina seguente sul
far del giorno al suo risvegliarsi, ed ingiunse ad ognuno di
perfettamente rappresentare la propria parte.
Il Califfo andò a coricarsi per dormire, dopo
aver fatto avvertire Mesrour di venire a risvegliarlo prima che si
entrasse nel salone, affinché avesse tempo di collocarsi nello stesso
gabinetto ove erasi già nascosto.
Mesrour non mancò di risvegliare il califfo
all’ora stabilita. Si fece vestire con prontezza, ed uscì per andare nel
salone ove Abou-Hassan dormiva ancora.
Vi ritrovò gli ufficiali degli eunuchi,
quelli della camera, le dame e le cantanti alla porta che aspettavano il
suo arrivo. In poche parole manifestò loro la sua intenzione. Entrò
poscia ed andò a collocarsi nel gabinetto chiuso da gelosie.
Mesrour, tutti gli altri ufficiali, le dame e
le cantanti entrarono dopo di lui, e si disposero all’intorno del letto
sovra il quale Abou-Hassan era stato coricato.
Essendo stato in tal ordine disposto, e
avendo la polvere del Califfo prodotto il suo effetto, Abou-Hassan si
risvegliò senza aprir gli occhi. Allora sette cori di cantanti unirono
le loro voci melodiose al suono dei cembali e de’ flauti e di altri
strumenti, con che formarono un gratissimo concerto.
La sorpresa di Abou-Hassan fu estrema quando
udì una musica cotanto deliziosa. Aperti gli occhi, la sua meraviglia
raddoppiossi quando vide le dame e gli ufficiali che lo circondavano e
che riconoscer credette.
— Ohimè! — esclamò Abou-Hassan mordendosi le
dita e con voce sì alta che il Califfo l’udì con giubilo — eccomi
ricaduto nello stesso sogno e nella stessa illusione di un mese fa! Non
ho se non ad aspettarmi ancora le
bastonate col nervo di bue all’Ospedale dei pazzi, legato nella gabbia
di ferro.
— So — continuò egli — ciò che debbo fare; mi
addormenterò affinché Satana mi lasci in pace e ritorni donde è partito,
quand’anche dovessi aspettare fino a mezzodì.
Non gli fu concesso il tempo di
riaddormentarsi, come erasi proposto, imperocché Forza dei Cuori, una
delle dame da lui vedute la prima volta, accostossegli e sedutasi
sull’orlo del letto gli disse con tutto rispetto:
— Gran Commendatore de’ credenti, supplico la
Maestà Vostra di perdonarmi se mi prendo la libertà di avvertirvi di non
riaddormentarvi: ma fate ogni sforzo per risvegliarvi ed alzarvi giacché
il giorno principia a comparire.
— Ah! — esclamò egli alzando le mani e gli
occhi a guisa di uomo il quale non sa ove sia — mi rimetto nelle mani di
Maometto! dopo quanto vedo dubitar non posso, che lo spirito malefico,
introdottosi nella mia camera, non mi posseda e non mi confonda con
tutte queste visioni.
Il Califfo, che lo vedeva e che tutte le sue
esclamazioni udiva, si pose a ridere con tanto buon cuore che durò la
più grande fatica a non iscoprirsi.
Abou-Hassan era tornato a coricarsi, ed aveva
serrati gli occhi.
— Gran Commendatore dei credenti — disse
subito Forza dei Cuori — giacché la Maestà Vostra non si alza dopo
averla avvisata che è giorno, come il nostro debito richiede, noi faremo
uso delle facoltà che in simile caso ci è concessa.
Ciò detto lo prese per un braccio e chiamò le
altre dame, che l’aiutarono a farlo uscire dal letto e lo portarono, per
così dire, fino nel mezzo al salone ove lo posero a sedere.
— Oh cielo — diceva fra se stesso — sono io
Abou-Hassan? Sono il gran Commendatore de’ credenti? Cielo, illuminate
la mia mente, fatemi conoscere la verità, affinché io sappia a che devo
appigliarmi.
Scoprì egli poscia le sue spalle ancora tutte
livide per le bastonate ricevute, e mostrandole alle dame:
— Vedete — disse loro — e giudicate se simili
lividure venir possono in sogno o dormendo! In quanto a me vi posso
assicurare che realissime sono state, ed il dolore che tuttavia ne
risento mi è un tale mallevadore da non permettermi dubitarne.
Pur nondimeno se ciò
mi è accaduto dormendo, è
questa la più
stravagante e la più meravigliosa avventura del mondo e vi assicuro che
non posso intenderla.
Gli strumenti della musica suonarono nello
stesso tempo, e le dame e gli ufficiali si posero a ballare, a cantare
ed a saltare intorno ad Abou-Hassan con tanto strepito che egli entrò in
una specie d’entusiasmo, il quale gli fece far mille pazzie.
Si pose a cantare come gli altri; lacerò
l’abito da Califfo, del quale era stato vestito, gettò a terra la
berretta che teneva sul capo, e rimasto in camicia e in mutande alzossi,
ed avventossi fra due dame, che pigliò per le mani, ponendosi a cantare,
a danzare ed a saltare con gesti e moti e contorsioni buffonesche e
ridicole tali che il Califfo non poté più contenersi nel luogo ove se ne
stava.
Finalmente egli si rialzò, ed aprì la
gelosia.
Allora esclamò avanzando il capo e sempre
ridendo:
— Abou-Hassan. Abou-Hassan, vuoi tu dunque
farmi morire a forza di ridere?
Alla voce del Califfo ognuno si tacque, e lo
strepito terminò...
Abou-Hassan si fermò con gli altri, e girò il
capo dalla parte dalla quale erasi udita la voce. Riconobbe il Califfo e
nello stesso tempo il mercante di Mussul.
Egli non si sconcertò punto per questo; anzi
al contrario comprese immantinente ch’egli era risvegliato, che
l’accaduto era realissimo, e non già un sogno.
Il Califfo discese dal gabinetto ed entrò nel
salone. Si fece portare uno de’ suoi belli abiti, e comandò alle dame di
esercitare le funzioni degli ufficiali della camera, e di rivestire
Abou-Hassan.
Quando esse l’ebbero vestito:
— Tu sei mio fratello — gli disse il Califfo
abbracciandolo — chiedimi quanto può farti piacere, ed io te lo
concederò.
— Gran Commendatore de’ credenti — rispose
Abou-Hassan — supplico la Vostra Maestà di concedermi la grazia di dirmi
ciò che ha operato di sconcertarmi in tal maniera la mente, e quale è
stato il suo disegno.
Il Califfo si degnò concedere questa
soddisfazione ad Abou-Hassan, dicendogli:
— Saper tu devi primieramente che sovente mi
travesto, e particolarmente la notte, per conoscer da me stesso se tutto
cammini con ordine nella città di Bagdad. Ritornavo da una gita la sera
che tu mi invitasti a cenare in tua casa. Nel nostro dialogo mi facesti
conoscere bramare ardentemente di
essere Califfo e gran Commendatore de’ credenti pel solo spazio di
ventiquattr’ore per ridurre al dovere l’Iman della moschea del tuo
quartiere e di quattro sceicchi suoi consiglieri. La tua brama parvemi
propria a somministrarmi cagione di divertimento, ed a questo oggetto
pensai subito al mezzo di procurarti la soddisfazione. Io portavo meco
certa polvere, la quale fa dormire nello stesso momento in cui vien
pigliata, risvegliare non facendo se non in capo a certo tempo: senza
che te ne accorgessi, ne gettai una certa dose nell’ultima tazza che ti
presentai e che beveste.
Appena fosti oppresso dal sonno, ti feci
prendere e trasportar nel mio palazzo dal mio schiavo, dopo aver
lasciata aperta nell’uscire la porta della tua camera.
— Gran Commendatore de’ credenti — ripigliò
Abou-Hassan — per grandi che sieno i mali sofferti, son dessi cancellati
dalla mia memoria dal momento che so essermi provenuti per parte del mio
sovrano signore e padrone. Per quello che riguarda la generosità di cui
la Maestà Vostra si offerisce di farmi provar gli effetti con tanta
bontà, non dubito punto della sua irrevocabile parola. Ma siccome
l’interesse non ha mai avuto dominio sopra di me, così, giacché ella mi
concede questa libertà, la grazia che ardisco chiederle si è di
permettermi libero accesso alla sua persona, per godere la buona sorte
di godere in tutto il tempo della mia vita, l’ammirazione della sua
grandezza.
Quest’ultima prova del disinteresse di
Abou-Hassan terminò di meritargli tutta la stima del Califfo.
— Molto mi è cara questa tua domanda, ed io
te la concedo.
Nello stesso tempo gli assegnò una casa nel
palazzo, e per quello che riguardava il suo mantenimento, dissegli di
non volere che dipendesse da’ suoi tesorieri, ma dalla sua persona: e
subito gli fece consegnare dal suo tesoriere segreto una borsa di mille
piastre d’oro.
La notizia della storia di Abou-Hassan non
tardò molto a rendersi pubblica per la città di Bagdad e passò pure
nelle provincie vicine e di là nelle più remote, con tutti gli strani e
ridicoli particolari onde era stata accompagnata.
— Gran Commendatore de’ credenti — disse un
giorno la principessa al Califfo — voi non osservate forse come me che
ogni volta che Abou-Hassan qui vi
accompagna non leva mai gli occhi di sopra a Nouzhat-Oulaoudat, né mai
tralascia di farla arrossire. Questo fa conoscere essere un segno certo
che essa non l’odia; laonde se volete seguire il mio consiglio, faremo
un matrimonio dell’una e dell’altro.
Il matrimonio fu fatto e le nozze celebrate
nel palazzo con grandi feste che durarono per più giorni.
Abou-Hassan e la sua consorte erano
sommamente innamorati l’uno dell’altro. Vivevano in una così perfetta
unione, che tranne il tempo in cui facevano la loro corte uno al
Califfo, l’altra alla principessa Zobeida, stavano sempre insieme, né
mai si dividevano.
Abou-Hassan e Nouzhat-Oulaoudat passarono in
tal guisa un lungo spazio di tempo in allegrie ed in divertimenti. Non
eransi mai data pena per la spesa dei pranzi, ed il trattore, che a
quest’uopo era stato scelto da essi, nulla aveva ricevuto. Era ben
giusto che fosse pagato: per il che presentò loro la nota della spesa.
La somma era
ragguardevole, ed a questa aggiungendo quella degli abiti nuziali dei
più ricchi drappi, molto eccessiva, si accorsero, ma tardi, come di
tutto il contante ricevuto dalle beneficenze del Califfo e dalla
principessa Zobeida, nell’occasione del loro matrimonio, non restava ad
essi se non quanto bastava a soddisfarla.
Ciò impegnolli a far serie considerazioni sul
passato, le quali peraltro non rimediavano punto al mal presente.
Abou-Hassan pensò di pagare il trattore, e
sua moglie vi aderì; laonde fattolo venire pagarongli quanto gli
dovevano; senza nulla dar a conoscere dell’imbarazzo in cui si sarebbero
ritrovati dopo un tal pagamento.
Abou-Hassan ruppe finalmente il silenzio, e
guardando Nouzhat-Oulaoudat con faccia serena le disse:
— Mi accorgo molto bene che voi siete nello
stesso imbarazzo in cui mi trovo, e che studiate a qual partito
appigliarci dobbiamo in una congiuntura cotanto infausta, quanto questa
quando il denaro all’improvviso ci è venuto meno, e senza averlo
perduto. Non so quale esser possa il vostro sentimento; in quanto a me,
checché possa accadere, il mio parere non è già di diminuire la nostra
ordinaria spesa nella minima cosa, e credo che dal vostro canto non
sarete di contrario avviso. Il punto sta a ritrovare il mezzo di
provvedervi, senza soggiacere alla viltà di chiederne, né io al
Califfo né voi a Zobeida, e credo averlo
ritrovato. Ma per questo dobbiamo darci mano l’uno coll’altra.
L’inganno adunque che ho meditato si è che
ambedue noi moriamo.
Io rappresenterò il morto: subito voi
piglierete un lenzuolo e mi rinvolgerete come se effettivamente lo
fossi. Mi porterete nel mezzo della camera nella maniera consueta, col
turbante posto sopra il viso e le piante voltate dalla parte della
Mecca, tutto pronto per essere trasportato al luogo della sepoltura.
Quando tutto sarà in tal forma disposto, voi proromperete in clamori e
spargerete le lacrime ordinarie in simili occasioni, lacerandovi i
vostri abiti e strappandovi i capelli, o almeno fingendo di strapparli,
e tutta in pianto con i capelli sparsi andrete a presentarvi a Zobeida.
La principessa vorrà saper la cagione delle vostre lacrime: e tosto che
l’avrete informata, con parole rotte da singhiozzi, non mancherà di
compatirvi, e di farvi regalo di qualche somma di contante per ispese
dei miei funerali, e di una pezza di broccato da servirmi di drappo
mortuario, per rendere la mia sepoltura più magnifica, e per farvi un
abito. Subito che voi sarete ritornata con questo contante e la pezza di
broccato, mi alzerò dal mezzo della camera, e vi ci porrete in mia vece
e rappresenterete la morta; dopo avervi io pure involta in un lenzuolo,
andrò egualmente dal Califfo ad esporgli lo stesso come avrete fatto a
Zobeida verso di voi per la mia morte.
Quando Abou-Hassan ebbe terminato di spiegare
il suo pensiero sovra quanto aveva immaginato, la moglie gli rispose:
— Io credo che lo scherzo sarà molto ridicolo
e mi sarò poco ingannata se il Califfo e Zobeida non ne andranno lieti.
Adunque non perdiamo tempo. Mentre ch’io prenderò un lenzuolo, voi
preparatevi a mettervi in camicia ed in mutande!
Abou-Hassan non tardò ad eseguire quando
Nouzhat-Oulaoudat avevagli detto.
Stesosi colla schiena verso il tappeto nel
mezzo della camera, incrociò le sue braccia, e lasciò involgersi di
maniera che pareva dovesse in breve esser posto nella bara e portato
via.
Sua moglie gli voltò i piedi dalla parte
della Mecca gli coprì la faccia con della mussolina, e posevi sopra il
turbante acciocché avesse libero il respiro. Essa poi sconciossi il
capo, e con le lagrime agli occhi, i capelli sparsi ed ondeggianti
mostrando di volere strapparli, con grandi strida si batteva le guancie
ed il petto con tutte le dimostrazioni di un vivo dolore.
In questo apparato uscì dalla camera ed
attraversò una gran corte per andare all’appartamento della principessa
Zobeida. Nouzhat-Oulaoudat prorompeva in clamori cotanto dolorosi che
Zobeida li udì fino dal suo appartamento.
Laonde comandò alle sue schiave di vedere
donde venivano tali pianti.
Accorsero subito alle gelosie, e ritornarono
ad avvisare Zobeida che Nouzhat-Oulaoudat si accostava al suo
appartamento tutta piangente.
La principessa impaziente di saper quello che
le fosse accaduto, si alzò e le andò incontro fino alla porta della sua
anticamera. Nouzhat-Oulaoudat rappresentò perfettamente la parte che
doveva fare.
Veduta ch’ebbe Zobeida, raddoppiò i suoi
clamori, si lacerò i capelli, si percosse le guancie ed il petto con
maggior forza, e si prostrò alle sue piante bagnandole delle sue lacrime
che le cadevano.
Zobeida, maravigliata di vedere la sua
schiava in un’afflizione tanto straordinaria, le chiese ciò che avesse,
e quale disgrazia le fosse accaduta.
— Ohimè! mia riveritissima signora e padrona
— ella esclamò — Abou-Hassan che onorato avete della vostra grazia, e
che dato mi avete per marito d’accordo col gran Commendatore de’
credenti, è morto.
Zobeida, le schiave, e Nouzhat-Oulaoudat se
ne stettero per lungo tempo col fazzoletto agli occhi a piangere ed a
prorompere in sospiri per questa morte supposta.
La principessa finalmente comandò alla sua
tesoriera d’andare a prendere dal suo tesoro una borsa di cento piastre
d’oro ed una pezza di broccato. La tesoriera tornò subito con la borsa e
la pezza di broccato, che essa consegnò per ordine di Zobeida nelle mani
di Nouzhat-Oulaoudat.
Nel ricevere questo regalo distinto ella
prostrossi ai piedi della principessa, e le rese umilissimi
ringraziamenti con grande soddisfazione nell’animo di essere ottimamente
riuscita nel suo intento.
— Vanne — le disse Zobeida — fa’ stendere la
pezza di broccato sotto il catafalco di tuo marito, e adopera il
contante a fargli esequie onorevoli, e di lui degne.
Nouzhat-Oulaoudat non appena fu fuori dalla
presenza di Zobeida si asciugò le lacrime con gran giubilo e con
sollecitudine ritornò a render conto ad Abou-Hassan del buon successo
ottenuto.
Abou-Hassan, a sua volta, involse la moglie
in un lenzuolo, voltolle i piedi verso la Mecca, ed uscì dalla sua
camera tutto in disordine, col turbante malamente accomodato, a guisa di
un uomo che ritrovasi in una grande afflizione.
In questo stato andò dal Califfo, che stava
allora in consiglio privato col gran visir Giafar ed altri visir, nei
quali maggior confidenza aveva. Presentossi alla porta, l’usciere,
sapendo che aveva libero ingresso gli aprì.
Entrossene tenendo con una mano il fazzoletto
per nascondere le finte lagrime, battendosi a gran colpi i coll’altra il
petto con esclamazioni che esprimevano l’eccesso di un grandissimo
dolore.
Il Califfo, il quale era solito a vedere
Abou-Hassan con faccia sempre allegra, restò molto sorpreso di vederlo
comparire alla sua presenza in uno stato sì mesto, e tralasciando dal
più prestare attenzione all’affare del quale trattavasi nel suo
consiglio, gli chiese la cagione del suo dolore.
— Gran Commendatore de’ credenti — rispose
Abou-Hassan con singhiozzi e reiterati sospiri — accader non mi poteva
disgrazia maggiore di quella che cagiona la mia afflizione! Il cielo
lasci vivere la Maestà Vostra sovra il trono che con tanta gloria
occupa. Nouzhat-Oulaoudat, che per sua bontà concessa mi aveva in
matrimonio per passare il rimanente de’ miei giorni in sua compagnia...
Ohimè!...
A questa esclamazione. Abou-Hassan mostrò di
avere il cuore talmente oppresso, che non proseguì più oltre,
struggendosi in lacrime.
Il Califfo, il quale comprese che Abou-Hassan
veniva ad annunciargli la morte di sua moglie, ne parve estremamente
commosso.
Il Tesoriere del palazzo era presente, ed il
Califfo gli comandò che andasse al tesoro, e consegnasse ad Abou-Hassan
una borsa di cento monete d’oro, insieme ad una bella pezza di broccato.
Abou-Hassan prostrossi subito ai piedi del Califfo per dimostrargli la
sua gratitudine e ringraziarlo del suo regalo.
— Segui il tesoriere —
gli disse il Califfo — la pezza di broccato deve servire a coprire il
catafalco della defunta, e il contante per adoperarlo in esequie degne
di lei.
Nouzhat-Oulaoudat,
stanca di essere stata lungamente in quella incomoda positura, non
aspettò che Abou-Hassan gli dicesse di abbandonare la mesta situazione
in cui stava. Appena udì aprire la porta accorse a lui.
— Ebbene — gli disse — il Califfo è stato
egualmente facile a lasciarsi ingannare come Zobeida?
— Voi vedete — rispose Abou-Hassan scherzando
e mostrandole la borsa e la pezza di broccato — che non so meno
rappresentare l’afflitto per la morte di una moglie in ottima salute,
quanto voi la morte di un marito sano come un pesce.
Frattanto il Califfo poco dopo uscito
Abou-Hassan sospese il consiglio e disse a Mesrour, capo degli eunuchi
del suo palazzo:
— Seguimi, e vieni meco a partecipare il
dolore della principessa per la morte di Nouzhat-Oulaoudat sua schiava.
Arrivati all’appartamento di Zobeida, videro
la principessa assisa sopra lo strato molto afflitta e con gli occhi
ancora bagnati di lacrime.
Il Califfo entrò, ed inoltrandosi verso
Zobeida:
— Signora — le disse — non è necessario di
dirvi quanta parte io prenda alla vostra afflizione giacché non ignorate
che non sono meno sensibile a tutto ciò che vi somministra piacere. Ma
noi tutti siamo mortali, e restituir dobbiamo la vita a chi ce l’ha
concessa quando ne siamo ricercati. Nouzhat-Oulaoudat, vostra schiava
fedele, aveva veramente qualità tali che le hanno fatto meritar la
vostra stima, e molto approvo che gliene diate ancora prove dopo la sua
morte. Sicché, o signora, se volete lasciarvi persuadere, e se mi amate,
vi consolerete di questa perdita, maggior cura prendendovi di una vita
che sapete essermi molto preziosa, e che forma tutta la felicità della
mia.
Se la principessa restò commossa dai
sentimenti di tenerezza che accompagnavano il complimento del Califfo,
fu peraltro molto meravigliata d’intendere l’avviso della morte di
Nouzhat-Oulaoudat e con voce che ben mostrava ancora il suo stupore
disse:
— Gran Commendatore de’ credenti, io sono
sensibilissima a tutt’i sentimenti di tenerezza che dimostrate nutrir
per me; ma permettetevi di dirvi che nulla intendo della notizia della
morte della mia schiava: ella gode perfetta salute. Il cielo conservi
voi e me, o signore; se mi vedete afflitta, ciò deriva per la morte di
Abou-Hassan suo marito e vostro favorito, ch’io stimava tanto per la
considerazione che avevate di lui.
Il Califfo, il quale si credeva di essere
perfettamente informato della morte della schiava, e che aveva ragione
di crederlo per ciò che da lui era stato veduto ed udito, si pose a
ridere ed a stringersi nelle spalle, in tal forma udendo parlare Zobeida.
— Gran Commendatore de’ credenti — ripigliò
essa — ancorché sia il vostro costume di scherzare, vi dirò non esser
punto questa l’occasione di farlo. Ciò che io vi dico è verissimo, e non
si tratta già della mia schiava, ma della morte di Abou-Hassan suo
marito, la cui sorte compiango, e che voi dovreste meco compiangere.
Trascorso un po’ di tempo in silenzio, il
Califfo finalmente prese a parlare.
— Signora, vedo bene che tutti siamo
bugiardi; alziamoci, e andiamo noi stessi sul luogo a riconoscere da
qual parte pende la verità.
L’appartamento dal quale uscirono il Califfo
e Zobeida ancorché molto lontano, stava nulladimeno dirimpetto a quel di
Abou-Hassan, il quale, vedendoli approssimarsi preceduti da Mesrour ed
accompagnati dalla nutrice e dalla folla delle donne di Zobeida, ne fece
subito avvertita sua moglie, dicendole che egli sarebbe il più ingrato
uomo del mondo, se non venissero onorati dalla loro visita.
Nouzhat-Oulaoudat guardò pure per la gelosia, e vide lo stesso. Ancorché
suo marito l’avesse prevenuta antecedentemente di ciò che accader
potrebbe, ne restò nulladimeno molto sorpresa.
— Che faremo noi? — esclamò essa. — Noi siamo
perduti!
— Niente paura — ripigliò Abou-Hassan molto
freddamente — Fingiamoci solamente morti voi ed io, come separatamente
abbiamo fatto e come ne siamo convenuti e vedrete come tutto ottimamente
succederà. Dal passo con cui se ne vengono, noi saremo pronti prima che
essi giungano alla porta.
Infatti Abou-Hassan e sua moglie si
appigliarono al partito d’involgersi il meglio che fu loro possibile, ed
in questo stato, dopo che furonsi posti nel mezzo della camera l’uno
vicino all’altra, coperti ciascheduno della loro pezza di broccato,
aspettarono in pace la bella compagnia che veniva a visitarli.
Mesrour aprì la porta, ed il Califfo e
Zobeida entrarono nella camera seguiti da tutte le genti che avevano
seco accompagnate.
Restarono molto sorpresi, e fermaronsi come
immobili al vedere il funebre spettacolo che ai loro sguardi
presentavasi. Zobeida finalmente ruppe il silenzio.
— Ohimè — ella disse al Califfo — ambi sono
morti! Tanto avete fatto — continuò guardando il Califfo e Mesrour — a
forza della vostra ostinazione a farmi credere che la mia cara schiava
fosse morta, che ora lo è infatti, e senza dubbio sarà questo derivato
dal dolore di aver perduto suo marito.
— Dite piuttosto, o signora, — rispose il
Califfo, dell’opposto prevenuto — che Nouzhat-Oulaoudat è morta la
prima, e che il povero Abou-Hassan ha dovuto soccombere alla sua
afflizione nell’aver veduto morire la vostra schiava. Giuro per il
profeta Maometto, che darò mille pezze d’oro di mia moneta a quello il
quale mi dirà chi dei due è morto il primo!
Il Califfo, appena terminate le ultime
parole, ascoltò una voce di sotto la pezza di broccato che copriva
Abou-Hassan, la quale disse:
— Gran Commendatore de’ credenti, io son
quello che sono morto il primo! Datemi dunque le mille pezze d’oro.
E nello stesso tempo vide Abou-Hassan
svilupparsi dalla pezza di broccato la quale lo copriva e prostrarsi
alle sue piante.
Sua moglie fece lo stesso, e andò a mettersi
ai piedi di Zobeida, coprendosi per onestà con la sua pezza di broccato.
A questa scena, Zobeida proruppe in un grande
grido, che molto accrebbe il timore di tutti quelli i quali colà si
trovavano.
La principessa infine, rinvenuta dal suo
spavento, ebbe un’incredibile gioia nel vedere la sua cara schiava
risuscitata quasi nello stesso tempo in cui era inconsolabile di averla
veduta morta.
— Ah! cattiva —
esclamò essa — tu sei cagione di avermi fatto soffrire una gran pena per
tuo amore. Io peraltro di buon cuore te lo perdono, giacché morta non
sei!
Il Califfo dal suo canto non aveva presa la
cosa tanto a cuore, anzi lungi dallo spaventarsi udendo la voce di
Abou-Hassan chiedere con verità le mille pezze d’oro, ch’egli aveva
promesso a quello il quale gli avrebbe detto chi fosse morto il primo.
— Tu dunque caro Abou-Hassan — gli disse il
Califfo — hai entro te cospirato a farmi morire di ridere? E dacché mai
è derivato il tuo pensiero di sorprendere in tal maniera Zobeida e me,
con un mezzo sul quale non eravamo per nulla in guardia?
— Gran Commendatore de’ credenti — rispose
Abou-Hassan — senza simulazione manifestar ve lo voglio. La Maestà
Vostra sa benissimo che sono stato molto inclinato alla crapula. La
moglie ch’ella m’ha concessa, non ha posto nessun freno a questa mia
passione, ma al contrario ha ritrovato in lei tutte le inclinazioni
favorevoli ad accrescerla. Dacché viviamo insieme, nulla abbiamo
risparmiato per far lauta la mensa, con la generosa beneficenza della
Maestà Vostra. Questa mattina, dopo aver fatto i conti col nostro
trattore, abbiamo ritrovato che soddisfacendolo e pagando altri nostri
debiti, nulla ci rimaneva del contante che avevamo. Le considerazioni
allora sopra il passato, e le risoluzioni di meglio regolarci
nell’avvenire, sono in folla venute ad occuparci il nostro spirito ed i
nostri pensieri. Mille disegni abbiamo formati ma poscia abbandonati. Il
rossore finalmente di vederci ridotti in uno stato deplorabile, non
avendo il coraggio di manifestarlo alla Vostra Maestà, ci ha fatto
immaginar questo mezzo per supplire alla nostra indigenza con questo
piccolo inganno, che preghiamo la Maestà Vostra di perdonarci!
Il Califfo, che non aveva quasi mai
tralasciato di ridere, tanto quest’astuzia parevagli singolare:
— Seguitemi entrambi — disse ad Abou-Hassan
ed a sua moglie, alzandosi — voglio farvi consegnare le mille piastre
d’oro che vi ho promesse.
— Gran Commendatore de’ credenti — ripigliò
Zobeida — contentatevi, vi prego, di far consegnare le mille piastre
d’oro ad Abou-Hassan, a sua moglie ci penserò io.
Nello stesso tempo comandò alla sua tesoriera
di far pure consegnare mille piastre d’oro a Nouzhat-Oulaoudat, per
dimostrarle il giubilo che essa aveva di vederla viva.
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