STORIA DEL PRIMO FRATELLO GOBBO
Mio fratello maggiore, chiamato Bacbouc il
gobbo, era sarto di professione. Prese in affitto una bottega rimpetto
ad un molino, ma conoscendo poco la sua partita, campava la vita con
grandi stenti.
Il molinaro al contrario vivea comodamente, e
possedeva una bellissima moglie.
Un giorno mio fratello, lavorando nella sua
bottega, alzò il capo e vide alla finestra del molino la molinara, la
quale guardava nella strada. La trovò tanto bella, da restarne
innamorato.
La molinara, appena ebbe penetrato i
sentimenti di mio fratello, invece di sdegnarsene, risolse di divertirsi
alle spalle di mio fratello. Aveva essa una pezza di stoffa, molto
bella, di cui era già lungo tempo che voleva farsi un abito; la involse
in un bel fazzoletto di seta ricamato, e gliela mandò per mezzo di una
sua giovine schiava. La schiava, perfettamente istruita, venne alla
bottega del sarto.
— La mia padrona vi saluta — gli disse — e vi
prega di farle un abito con questo drappo e questo modello.
Mio fratello incaricò la schiava di dire
alla sua padrona, che tutto avrebbe abbandonato per servirla
subito, e l’abito sarebbe pronto pel giorno
seguente.
La mattina seguente la giovine schiava venne
a vedere se l’abito era terminato.
Bacbouc glielo consegnò ben piegato, dicendo:
— Ho troppo interesse
di contentare la vostra padrona, per trascurare il suo abito: voglio con
la mia prontezza impegnarla a non servirsi in avvenire se non da me.
Non era un quarto d’ora che la schiava aveva
lasciato mio fratello quando ritornò con una pezza di raso.
— La mia padrona, — gli disse — è molto
contenta dell’abito, e vi prega di farle un paio di calzoni il più
presto possibile con questa pezza di raso.
— Tanto basta — rispose Bacbouc — potrete
venirli a prendere verso sera.
La molinara comparì spesso alla finestra, e
fu prodiga de’ suoi vezzi onde dar coraggio a mio fratello. Egli lavorò
con diligenza ed i calzoni furono ben presto terminati.
La schiava venne a pigliarli, ma non portò il
denaro.
Lo sfortunato amante, tenuto a bada
senz’accorgersene, nulla aveva mangiato in tutto quel giorno, sicché fu
obbligato di prendere ad imprestito qualche cosa onde comprarsi da cena.
Il giorno seguente la giovine schiava venne a
dirgli, che il molinaro bramava parlargli:
— La mia padrona —
soggiunse — gli ha detto tanto bene di voi mostrandogli il vostro
lavoro, da invogliarlo a farvi lavorare per lui pure, e ciò anche per
poter riuscire su quanto ugualmente l’una e l’altro di voi bramate.
Mio fratello si lasciò persuadere e se ne
andò al molino colla schiava. Il molinaro lo accolse molto
favorevolmente e presentandogli una pezza di tela:
— Ho bisogno di camicie — gli disse — questa
è la tela; vorrei me ne faceste una ventina. Se ve n’avanza, me la
restituirete.
— Mio fratello fu
obbligato per cinque o sei giorni a lavorare per cucire le venti camicie
del molinaro, il quale poscia diedegli un’altra pezza di tela per farne
altrettante paia di mutande. Terminate queste, Bacbouc le portò al
molinaro, il quale chiese quanto dovevagli: e mio fratello disse
accontentarsi di venti dramme d’argento.
Il molinaro chiamò subito la giovine schiava,
e le disse di portare il saggiuolo per
vedere se la moneta era giusta. La schiava guardò mio fratello con
isdegno per fargli capire ogni cosa esser rovinata se riceveva denaro.
Egli comprese subito, e ricusò la sua mercede, ancorché ne avesse
estremo bisogno.
Nell’uscir dalla casa del molinaro venne a
pregarmi di somministrargli di che vivere, dicendomi non essere stato
pagato del suo lavoro. Gli diedi poche monete di rame, e ciò lo fece
sussistere qualche giorno magramente, non mangiando se non un po’ di
minestra.
Un giorno egli entrò in casa del molinaro, e
credendo questi che venisse a cercargli del denaro, gliene offerì: ma la
giovine schiava trovandosi presente fecegli di nuovo un cenno,
impedendogli di accettarne, dicendo venir solo informarsi di sua salute.
Il molinaro ne lo ringraziò e diedegli da
fare una veste. Bacbouc gliela portò il giorno seguente, ed il molinaro
pigliò in mano la sua borsa.
La giovine schiava guardò mio fratello.
— Andate — egli disse al molinaro — nulla ci
affretta; faremo i conti un’altra volta.
Sicché questo povero sciocco ritirossi nella
sua bottega con tre grandi malattie: cioè a dire, innamorato, affamato,
senza denaro.
La molinara era avara e trista: non si
contentò di aver ingannato mio fratello di quanto gli era dovuto, ma
stimolò pure suo marito a vendicarsi dell’amore che quegli aveva per
essa.
Il molinaro invitò Bacbouc una sera a cena, e
dopo avergli regalato un pessimo banchetto, gli disse:
— Fratello, l’ora, è troppo tarda per
ritirarvi alla vostra casa, restate pure qui.
Dopo aver detto questo, lo condusse in un
luogo del molino ove eravi un sol letto, indi lo lasciò e ritirossi con
sua moglie.
Alla metà della notte il molinaro venne a
ritrovar mio fratello.
— Vicino — gli disse — dormite voi? La mia
mula è inferma, ed ho molto frumento da macinare. Molto piacere mi
fareste voi girando il molino in sua vece.
Bacbouc per
dimostrargli di essere uomo di buona volontà, gli rispose esser pronto a
prestargli simile servigio.
Il molinaro allora lo legò a mezzo corpo come
si farebbe ad una mula, e dandogli poscia un gran colpo collo staffile
sopra la schiena, gli disse:
— Camminate, vicino!
— E perché mi battete? — gli rispose mio
fratello.
— Per incoraggiarvi — soggiunse il molinaro —
perocché senza questo la mia mula non cammina.
Fatti cinque o sei giri, voleva riposarsi: ma
il molinaro gli replicò una dozzina di colpi bene assestati collo
staffile, dicendogli:
— Coraggio, o vicino, non vi fermate, vi
prego; dovete camminare senza prender fiato, altrimenti rovinate la mia
farina.
Il molinaro obbligò mio fratello a girare in
tal modo il molino per tutto il rimanente della notte. Sul far del
giorno lo lasciò senza distaccarlo, e ritirossi nella camera di sua
moglie.
Bacbouc stette per qualche tempo in questo
stato, e alla fine la giovine schiava venne a levarvelo.
— Ah! quanto vi abbiamo compianto la mia
buona padrona ed io! — esclamò la perfida. — Noi non abbiamo parte
alcuna al pessimo trattamento fattovi da suo marito.
L’infelice Bacbouc nulla le rispose, tanto
era lasso e pestato dai colpi, e ritornossene alla casa, facendo una
ferma e costante risoluzione di non più pensare alla molinara.
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