STORIA DELLA FATA MAIMOUNE E DEL GENIO DANHASCH
In quella torre eravi un pozzo il quale
serviva di asilo durante il giorno ad una fata chiamata Maimoune. Era
circa mezzanotte quando Maimoune uscì leggermente sull’alto del pozzo,
per girare il mondo.
Essa fu molto meravigliata di vedere un lume
nella camera del principe Camaralzaman: ed entratavi, si avvicinò al
letto. Il principe Camaralzaman aveva il viso mezzo coperto dalla
coltre. Maimoune l’alzò un poco e scorse il più bel giovane che avesse
mai veduto.
Maimoune non poteva lasciare d’ammirar il
principe Camaralzaman, ma finalmente dopo averlo baciato sopra ciascuna
guancia e sulla fronte senza svegliarlo, rimise la coperta come stava
prima e prese il suo volo nell’aria. Com’ella fu elevata ben alta verso
la media regione, fu tocca da un rumore di ale che l’obbligò a volare
dalla stessa parte. Avvicinandosi conobbe essere un Genio il quale
faceva tal rumore, ma un Genio di quelli che furono ribelli a Dio.
Il Genio si nominava Danhasch; riconobbe
Maimoune, ma con gran spavento, poiché conosceva, aver essa una grande
superiorità su di lui per la sua
sottomissione a Dio. Avrebbe voluto evitarla: ma trovandosela vicina era
d’uopo battersi, o cedere.
Danhasch la prevenne:
— Valente Maimoune — le disse con un tono
supplichevole — giuratemi pel gran nome di Dio che non mi farete male,
ed io vi prometto da parte mia di non farvene.
— Maledetto Genio — rispose Maimoune — qual
male puoi tu farmi?
— Bella signora — soggiunse Danhasch — voi mi
incontrate a proposito per sentire un fatto meraviglioso. Vengo
dall’estremità della China, presso le ultime isole di questo emisfero.
Il paese della China, donde vengo, è uno dei più grandi e più possenti
regni della terra. Il Re presente si chiama Gaiour ed ha un’unica
figliuola, la più bella che si sia mai veduta nell’universo dacché mondo
è mondo. Ha i capelli bruni e sì lunghi che le discendono oltre i piedi
e sono sì abbondanti da rassomigliare a quei grappoli d’uva i cui
granelli sono d’una grossezza straordinaria, quando li ha accomodati a
ricci sulla testa.
Chi non conoscesse bene il Re, padre di
questa Principessa, crederebbe, dalle di lui dimostrazioni di tenerezza
paterna, esserne egli innamorato. Non mai amante ha fatto per la sua più
diletta donna quanto fa per lei. La più violenta gelosia non ha mai
immaginato quello, che la cura di renderla inaccessibile, fuorché a
colui che dovrà esserle sposo, gli ha suggerito di eseguire. Affinch’ella
non avesse ad annoiarsi nel ritiro in cui l’ha rinchiusa, ha fatto
fondare per lei sette palazzi, che non si è mai veduto nulla di simile.
Il primo di essi è di
cristallo di ròcca, il secondo di bronzo, il terzo di fino acciaro, il
quarto di un’altra specie di bronzo più prezioso del primo, il quinto di
pietra di paragone, il sesto d’argento, il settimo di oro massiccio.
Sulla fama della bellezza incomparabile della
principessa i più possenti re limitrofi mandarono a chiederla in isposa.
Il Re della China li
accolse tutti egualmente: ma come non voleva maritare la principessa se
non col consenso di lei, e non piacendo a costei niuno de’ partiti che
le si proponevano, gli ambasciatori hanno dovuto ritirarsi.
— Sire — diceva la Principessa al Re della
China — voi volete maritarmi, e credete con ciò farmi
gran piacere; io ne sono persuasa, ve ne sono
obbligatissima: ma ove potrò trovare, se non vicino alla Maestà Vostra,
palagi sì superbi, e giardini sì deliziosi? S’aggiunga che sotto i
vostri sguardi io non vengo costretta in nulla, e mi rendono gli stessi
onori resi alla vostra persona. Io non godrò certo questi vantaggi in
alcun altro luogo del mondo, a qualunque sposo voleste darmi. I mariti
voglion esser sempre padroni, ed io non mi sento tale da lasciarmi
comandare.
Dopo diverse ambasciate, ne giunse una dalla
parte di un Re, più ricco e più potente di quelli finora presentatisi.
Il re della China ne parlò alla Principessa
sua figliuola.
— Sire — diss’ella incollerita — non mi
parlate più di questo matrimonio, né di alcun altro, altrimenti
m’immergerò un pugnale nel seno e mi sottrarrò in tal modo alle vostre
importunità!
— Figliuola mia voi siete una pazza, ed io da
tale vi tratterò!
Infatti la fece rinchiudere in un solo
appartamento d’uno dei sette palagi, dandole solamente due vecchie per
tenerle compagnia e servirla, di cui una è la sua nutrice.
— Bella Maimoune — proseguì Danhasch — le
cose sono a questo punto, ed io non manco di andare ogni giorno a
contemplare quella incomparabile bellezza, cui sarei molto dolente
d’aver fatto il minimo male ad onta della mia naturale malizia. Venite a
vederla, ve ne supplico.
Invece di rispondere a Danhasch, Maimoune
diede in uno scoppio di risa, e Danhasch non sapendo a che attribuirne
la cagione, ne restò molto meravigliato.
Quand’essa ebbe finito di ridere:
— Buono! buono! — gli disse — tu volevi
piantarmi una carota. Io credevo si trattasse di qualche cosa di
sorprendente e di straordinario, e tu mi parli di una cisposa. Eh via,
via che diresti adunque, maledetto, se tu avessi veduto come me il più
bello dei principi? Sappi essergli avvenuta quasi la stessa cosa che
alla Principessa di cui m’hai parlato.
Nel momento in cui ti parlo, è imprigionato
in una vecchia torre, ove io abito e dove or ora l’ho ammirato.
— Io non voglio assolutamente contraddirvi —
soggiunse Danhasch. — Il mezzo di convincervi, se io dico il vero o il
falso, è di accettare la proposta fattavi
di venire a vedere la mia principessa, e di
mostrarmi poscia il principe.
— Non v’ha d’uopo ch’io mi prenda tanta pena.
Va’ a prendere la tua principessa, e fa’ presto, t’aspetto.
Danhasch, allontanatosi dalla fata, andò
nella China e ritornò con una sollecitudine incredibile, portando seco
la bella Principessa addormentata.
Maimoune la ricevé e la introdusse nella
camera del principe Camaralzaman, ove essi la posarono accanto a lui.
Quando il Principe e la Principessa furono
così collocati, vi fu una gran questione sulla preferenza della loro
bellezza tra il Genio e la Fata. Stettero alcun tempo ad ammirarli ed a
paragonarli silenziosamente.
Danhasch ruppe il silenzio:
— Voi lo vedete — disse a Maimoune — ed io
l’aveva detto essere la mia principessa più bella del vostro Principe.
Ne dubitate voi ora?
— Come, se ne dubito? — rispose Maimoune —
certamente che ne dubito!
La Fata batté la terra col piede: ne uscì un
orrido Genio, gobbo, cieco d’un occhio e zoppo, con sei corna in testa,
le mani e i piedi uncinati. Appena ne fu fuori, la terra si rinchiuse:
nel vedere Maimoune, se le gittò ai piedi, e restando ginocchioni le
chiese quello che desiderasse dal suo umile servitore.
— Alzatevi, Saschasch — era questo il nome
del Genio — vi ho fatto venir qui per esser giudice d’una disputa che ho
con questo maledetto Danhasch. Guardate questa coppia e diteci senza
parzialità chi vi sembra più bello: il giovine o la giovane?
Caschasch guardò il principe e la principessa
con segni di stupore e di ammirazione.
— Signora — disse a Maimoune — vi confesso
che v’ingannerei e tradirei me stesso, se vi dicessi che trovo l’uno più
bello dell’altra. Più li esamino e più li trovo belli entrambi.
Maimoune, cangiatasi in pulce saltò al collo
di Camaralzaman, e lo punse sì forte ch’ei si svegliò e vi portò la
mano: ma non prese niente, perché Maimoune aveva fatto prontamente un
salto indietro, restando invisibile come i due Genii.
Nel ritirar la mano, il Principe la lasciò
cadere su quella della Principessa della China. Egli aprì gli occhi, e
fu meravigliatissimo di vedersi dappresso una donna di sì maravigliosa
bellezza. Alzò la testa e s’appoggiò al gomito per meglio considerarla.
La giovinezza della Principessa e la
sua incomparabile bellezza rinfiammarono in un momento, ed in maniera
non mai provata in vita sua.
L’amore s’impadronì del suo cuore nel più
vivo modo, e non poté restarsi dallo esclamare:
— Quale bellezza! Quale incanto! Cuor mio!
Anima mia!
E voleva risvegliarla: ma se ne trattenne
improvvisamente.
— Il Sultano mio padre forse per sorprendermi
ha inviato questa giovane signora, per vedere se veramente io avessi
tanta avversione al matrimonio quanta ne ho dimostrata. Chi sa che non
l’abbia condotta egli medesimo, che non istia nascosto per farsi vedere
e farmi vergognare della mia risoluzione? Questo secondo fallo sarebbe
assai più grande del primo; in ogni modo io mi contenterò di questo
anello per ricordo di lei.
La principessa aveva al dito un bellissimo
anello; ei glielo trasse destramente e vi mise il suo. Ciò fatto le
rivolse il dorso e non ristette molto a riaddormentarsi profondamente
come prima, per l’incanto de’ Genii.
Appena il Principe Camaralzaman fu bene
addormentato, Danhasch a sua volta, trasformossi in pulce e andò a
punzecchiare la Principessa alle labbra.
Ella si svegliò di soprassalto, ed assisasi
sul letto fu molto meravigliata di vedere nella sua stanza un uomo.
Poscia dalla sorpresa passò all’ammirazione, e da questa ad
un’espressione di gioia, vedendo ch’era un giovane sì ben fatto e sì
amabile.
— Come — esclamò — siete voi che mio padre mi
ha dato in isposo? Son molto sciagurata di non averlo saputo. Io non
l’avrei sdegnato, non sarei stata sì lungo tempo priva d’un marito, cui
non posso tralasciar di amare con tutto il mio cuore.
E ciò detto la
Principessa gli prese la mano, e baciandogliela teneramente s’accorse
dell’anello che aveva al dito, e che gli parve similissimo al suo. Fu
convinta esser lo stesso quando se ne vide un altro al dito, e non
comprendendo come simile cambio fosse avvenuto, non dubitò punto non
fosse la prova del loro matrimonio. Si coricò di nuovo e non tardò molto
ad addormentarsi.
— Quando Maimoune vide ch’essa poteva parlare
senza temere che la Principessa della China si risvegliasse, gli disse:
— Ebbene! maledetto — diss’ella a Danhasch —
sei tu convinto che la tua Principessa è men bella del
mio Principe? Va’, voglio farti grazia della
scommessa. Un’altra volta credi a quanto ti avrò accertato: e volgendosi
dalla parte di Caschasch dissegli:
— Quanto a voi vi ringrazio. Prendete la
Principessa con Danhasch e riportatela insieme ove egli vi condurrà.
Danhasch e Caschasch eseguirono l’ordine di
Maimoune, e costei si ritirò nel suo pozzo.
Il Principe Camaralzaman l’indomani, allo
svegliarsi, si guardò allato per vedere se la donna che aveva veduta la
notte vi fosse ancora e non scorgendola più:
— Non m’era sbagliato — disse tra sé —
supponendo essere una sorpresa fattami dal re mio padre.
Risvegliò lo schiavo il quale dormiva ancora:
— Vieni qua e non mentire: come è venuta la
donna veduta da me questa notte, e chi ve l’ha condotta?
— Principe — rispose lo schiavo — vi giuro di
non saperne niente; per dove questa signora sarebbe ella venuta,
dormendo io vicino alla porta?
— Tu sei un mentitore briccone, e d’accordo
cogli altri per farmi affliggere ed arrabbiare di più!
— Io ti annegherò se non mi dici subito la
signora chi era, e chi me l’ha condotta.
Lo schiavo molto impacciato disse tra sé:
— Senza dubbio, il Principe ha perduta la
ragione ed io non posso sfuggirgli se non con una menzogna.
— Principe — gli disse poi con un tono
supplichevole: — Lasciatemi la vita, ve ne scongiuro, e vi prometto di
dirvi la cosa come sta.
Lo schiavo uscì, e dopo aver chiuso il
Principe, corse dal Sultano:
— Sire — gli disse — son dolente di dovervi
arrecare una nuova che non potrete ascoltare senza dispiacere. Il
Principe dice di aver veduta stanotte una signora, e il modo con cui
m’ha trattato, fa pur troppo scorgere non esser egli più nel suo buon
senso.
Il Re, il quale non si aspettava questo nuovo
soggetto di afflizione, disse al suo primo ministro:
— Ecco un tristissimo incidente. Andate, non
perdete tempo, vedete voi stesso quello che è, e venite ad informarmene.
Il gran visir l’obbedì sul momento.
Nell’entrare nella camera del Principe lo
trovò seduto ed assai calmo leggendo un libro. Dopo averlo salutato e
sedutoglisi vicino, gli disse:
— Sono sdegnatissimo contro il vostro
schiavo, il quale è venuto a
spaventare il Re vostro padre con una tristissima notizia.
— Qual è la novella — rispose il Principe —
che tanto lo ha spaventato? Io ho una ragione più forte di lagnarmi del
mio schiavo.
— Principe — soggiunse il Visir — a Dio non
piaccia che egli abbia detto il vero. Il buono stato in cui vi vedo, e
nel quale prego il cielo di conservarvi, mi fa conoscere ch’egli ha
mentito.
— Forse — replicò il principe — egli non s’è
fatto ben comprendere: ma giacché siete venuto, son molto contento di
domandare a una persona come voi, giacché dovete saperne qualche cosa,
ove sia la signora che ho veduta questa notte.
— Principe, vi giuro non esservi niente di
vero in tutto ciò che mi dite; né il Re, vostro padre, né io vi abbiamo
inviata la signora di cui parlate; anzi non ne abbiamo avuto nemmeno il
pensiero. Permettetemi di dirvi ancora una volta che voi non avete
veduto la signora in quistione se non in sogno.
— Siete venuto dunque a burlarvi di me —
replicò il Principe in collera.
Ciò detto, lo prese per la barba e lo caricò
di calci. II povero gran Visir in mezzo ai colpi di cui il Principe lo
caricava, trovò il mezzo di dire:
— Principe, vi
supplico di darmi ascolto un momento!
Il Principe, stanco di batterlo, lo lasciò
parlare.
— Io vi confesso — disse il gran Visir
dissimulando — esservi qualche cosa di quello che credete. Ma voi già
non ignorate le necessità in cui è un Ministro d’eseguire gli ordini del
Re suo padrone. Se voi avete la bontà di permettermelo, son pronto
d’andargli a dire da parte vostra quanto m’ordinerete.
— Ve lo permetto — gli disse il Principe —
andate e ditegli che voglio sposare la signora che m’ha inviata; fate
presto e portatemi la risposta.
Il gran Visir fece una profonda riverenza
lasciandolo. Si presentò innanzi al re Schahzaman con una tristezza da
affliggerlo.
— Ebbene? — gli domandò quel Monarca.
— Sire — rispose il Ministro — quello che lo
schiavo ha riferito a Vostra Maestà è pur troppo vero.
Il Re volendo chiarirsi della verità da sé
medesimo, andò alla torre. Il Principe Camaralzaman ricevette il Re suo
padre nella camera ov’era prigioniero, con gran rispetto.
Il Re si sedette, e
dopo aver fatto sedere il Principe vicino a lui, gli fece alcune
domande, alle quali costui rispose assennatamente. Ogni tanto il Re
guardava il gran Visir, come per dirgli che il Principe suo figliuolo
non aveva perduta la ragione, com’egli aveva assicurato. Il Re
finalmente parlò della signora al Principe.
— Sire — rispose Camaralzaman — supplico
Vostra Maestà di non aumentare il dispiacere già statomi cagionato su
questo proposito; fatemi piuttosto la grazia di darmela per consorte.
Il principe Camaralzaman raccontò allora al
Re suo padre in qual modo s’era svegliato, gli esagerò la bellezza e le
attrattive della donna da lui veduta, l’amore concepito per essa in un
momento, come si fosse riaddormentato, dopo aver fatto il cambio del suo
anello con quello della donna: e ciò detto glielo presentò.
— Sire, voi conoscete il mio, avendolo veduto
più volte; dopo ciò spero sarete convinto non aver io perduta la ragione
come vi si è fatto credere.
— Dopo quanto ho inteso, figliuol mio, e dopo
aver veduto l’anello, non posso dubitare che la vostra passione non sia
reale, e che voi non abbiate veduto la donna che vi ha infiammato.
Piacesse al cielo che io la conoscessi, voi sareste contento ed io sarei
il più felice padre del mondo: ma dove cercarla? com’è entrata qui? e se
il cielo non ci favorisce, darà la morte a voi ed a me.
Il re Schahzaman trasse il Principe fuori
della torre e lo condusse al Palazzo ove, disperato d’amare con tutta
l’anima una donna sconosciuta si pose a letto.
Mentre queste cose avvenivano nella capitale
del Re Schahzaman, i due Genii Danhasch e Caschasch avevano riportata la
Principessa della China al Palazzo ove il Re suo padre l’aveva
rinchiusa.
L’indomani allo svegliarsi la Principessa
della China si guardò a destra ed a sinistra, e non vedendo più il
principe Camaralzaman a suo lato, chiamò premurosamente le sue donne, le
quali tosto accorsero.
La nutrice le domandò se le fosse avvenuto
qualche cosa.
— Ditemi, che n’è avvenuto del giovane che
amo con tutta l’anima e che ho veduto questa notte?
— Ma, principessa, — insistette la nutrice —
quanto ci dite è impossibile, per quanto ne sappiano le vostre donne ed
io.
La Principessa della China perdette la
pazienza, prese la nutrice pei capelli, dandole schiaffi e pugni, e
dicendole:
— Tu me lo dirai, vecchia strega, o
t’accopperò!
La nutrice fece grandi sforzi per isfuggire
dalle sue mani, e trattasene finalmente, se ne andò sollecitamente a
trovare la Regina della China, madre della Principessa, e se le presentò
colle lagrime agli occhi e il viso tutto pesto.
— Signora, vedete in qual modo mi ha trattata
la Principessa, e m’avrebbe accoppata se non fossi sfuggita dalle sue
mani.
Le raccontò poscia la cagione della sua
collera e del suo trasporto, da cui la regina non fu meno afflitta che
sorpresa.
— Voi vedete, signora — aggiunse terminando —
che la Principessa è fuori del suo buon senno e ne giudicherete voi
medesima se vorrete prendervi la pena di venirla a vedere.
Siccome la Regina della China amava
moltissimo la sua figliuola, facendosi seguire dalla nutrice, andò sul
momento a vedere la Principessa.
La Regina della China
si assise vicino alla figliuola, giungendo nell’appartamento ov’era
rinchiusa, e dopo averla interrogata della sua salute, e chiestale Ia
ragione del suo sdegno contro la nutrice da lei maltrattata, le disse:
— Figliuola mia ciò non va bene, ed una
Principessa come voi non deve mai giungere a tali eccessi.
— Signora — rispose la Principessa — vedo che
Vostra Maestà viene per burlarsi di me: ma vi protesto di non aver calma
finché non mi sarà dato per isposo l’amabile cavaliere veduto questa
notte. Voi dovete sapere ov’egli è, e però vi supplico di farlo
ritornare.
— Figliuola mia — soggiunse la regina — sono
oltremodo sorpresa del vostro discorso, senza peraltro comprenderlo.
Ma, invece di ascoltarla, la principessa la
interruppe, facendole delle stravaganze le quali costrinsero la regina a
ritirarsi e andarsene a farne consapevole il re, il quale volendo
assicurarsi da sé della cosa, e giunto all’appartamento della figliuola,
le chiese se quanto gli era stato detto era vero.
— Sire — gli diss’ella — non parliamo di ciò:
fatemi solamente la grazia di farmi sposa al giovine che ho veduto.
— Come, figliuola! Qual è quel giovane? —
Sire — replicò la principessa senza dargli il tempo di proseguire — voi
mi dimandate se ho veduto qualcheduno? Vostra Maestà non ignora esser
egli il più ben fatto sotto il cielo. Io ve lo ridomando: deh. non me lo
ricusate, ve ne supplico! Ed affinché Vostra Maestà non dubiti di quanto
dico, vedete, se vi piace, questo anello.
E, ciò dicendo, stese la mano, ed il re della
China vide esser l’anello di un uomo. Ma non potendo comprender nulla di
quanto gli aveva detto ed avendola rinchiusa per pazza, la ritenne più
pazza di prima.
Però senz’altro dirle, temendo non gli
facesse qualche violenza, la fece incatenare e chiudere più
strettamente, dandole solo la nutrice per servirla con una buona guardia
alla porta.
Il Re della China, inconsolabile della
sciagura accaduta alla principessa sua figliuola, credendo aver essa
perduta la ragione, pensò ai mezzi di guarirla.
Alcuni giorni dopo, per non aver a
rimproverarsi di aver tralasciato alcun mezzo onde guarire la
principessa, questo monarca fece pubblicare nella sua capitale, che se
vi era qualche medico, astrologo o mago capace di ristabilirla in
salute, venisse a presentarglisi colla condizione di perdere il capo
qualora non la guarisse.
Il primo a presentarglisi fu un astrologo, e
mago; il re lo fece condurre alla prigione della principessa da un
eunuco.
L’astrologo trasse da un sacco portato sotto
il braccio un astrolabio, una piccola sfera, uno scaldavivande, diverse
specie di droghe atte alla fumicazione, un vaso di rame con parecchie
altre cose, e chiese del fuoco.
La principessa della China domandò che
significasse tutto quell’aparecchio.
— Principessa — rispose l’eunuco — gli è per
scongiurare lo spirito maligno che vi possiede, rinchiuderlo in un vaso
che vedete, e gettarlo in fondo al mare.
— Maledetto astrologo — esclamò la
principessa — non ho bisogno dei tuoi preparativi, sono in tutto il mio
buon senso; tu solo sei un insensato. Se hai qualche potere conducimi
solamente quello che amo: questo è il solo servizio che tu possa
rendermi.
— Principessa — rispose l’astrologo — se in
tal modo va la bisogna, non da me, ma dal re vostro
padre unicamente dovete attenderlo — e in ciò
dire ripose nel suo sacco i suoi istrumenti.
Quando l’eunuco ebbe ricondotto innanzi al
sovrano della China l’astrologo, costui senza aspettar altro disse:
— Sire, ho creduto, conformemente a quanto
avete fatto pubblicare, che la principessa vostra figlia fosse pazza, ed
ero sicuro di ristabilirla in salute pei secreti di cui ho cognizione:
ma non ho durato molta fatica a conoscere non aver essa altra malattia
se non quella d’amore; vostra Maestà vi rimedierà meglio degli altri,
dandole il marito che essa desidera.
Il re trattò l’astrologo d’insolente e gli
fece mozzare il capo.
Finalmente se ne presentò uno, fratello di
latte della principessa, per nome Marzavan, la cui storia è la seguente:
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