STORIA DI ALADINO E DELLA LUCERNA MARAVIGLIOSA
Nella capitale del regno della China eravi un
sarto per nome Mustafà, tanto povero, che il suo lavoro lo provvedeva
appena di quanto era necessario per la sua sussistenza, per quella di
sua moglie, e di un figliuolo.
Il figliuolo nomavasi
Aladino ed era stato allevato in una maniera trascurata e con
inclinazioni viziose. Egli era pessimo, ostinato, disobbediente a suo
padre ed a sua madre, e passava il suo tempo a giuocare sulle pubbliche
piazze e con piccoli vagabondi discoli al pari di lui.
Giunto all’età d’imparare un’arte, suo padre,
il quale non era in istato di fargliene insegnare una diversa dalla sua,
lo prese nella sua bottega, e cominciò a dimostrargli come dovesse
maneggiar l’ago. Ma né con le buone, né col timore de’ castighi, fu
possibile al padre di fermare lo spirito volubile del figliuolo suo:
Aladino era incorreggibile e, con suo gran rammarico, Mustafà fu
obbligato ad abbandonarlo alla sua scapestratezza.
Ciò gli arrecò gran pena, e il dispiacere di
non poter far rientrare questo figliuolo nel suo dovere, gli cagionò
un’infermità cotanto ostinata, che ne morì a capo di qualche mese.
La madre di Aladino, la quale vide che il suo
figliuolo non era incamminato per imparare l’arte di suo padre, chiuse
la bottega, e ridusse in contante il valore dei ferri del mestiere per
servirsene al provvedimento della sua sussistenza, e di quella del suo
figliuolo col poco che potrebbe guadagnare filando del cotone.
Aladino, il quale non vedevasi più ritenuto
dal timore del padre, poco curavasi di sua madre, sì che osava
minacciarla alla menoma esortazione che ella gli faceva. Si abbandonò
allora ad un assoluto libertinaggio. Frequentava sempre più i fanciulli
di sua età, né tralasciava di giuocar con essi con passione maggiore di
prima.
Continuò questa vita fino all’età di quindici
anni, senza dare alcun segno d’inclinazione per qualunque cosa sì fosse.
Era in quella condizione, quando un giorno
giuocando nel mezzo di una piazza con una schiera di vagabondi, secondo
il suo costume, un forestiere di passaggio fermossi a guardarlo.
Quel forestiere era un Mago insigne,
conosciuto sotto il nome di Mago africano.
O che il Mago africano, il quale aveva tutte
le cognizioni delle fisonomie, avesse osservato nel sembiante di Aladino
quanto assolutamente gli era necessario per l’esecuzione delle sue
imprese, o che si fosse informato con tutta destrezza della sua famiglia
e delle sue inclinazioni, il fatto si è che gli si accostò, e traendolo
in disparte dai suoi compagni:
— Figliuol mio — gli domandò — vostro padre
non si chiama Mustafà il sarto?
— Sì, o signore — rispose Aladino — ma è
molto tempo che è morto.
A queste parole, il Mago africano si avventò
al collo di Aladino, l’abbracciò, e più volte lo baciò con le lacrime
agli occhi accompagnate da sospiri.
Aladino, che vide le sue lacrime, gli chiese
qual cagione avesse di piangere.
— Ah! figliuol mio — esclamò il Mago africano
— come mai potrei farne a meno? Io son vostro zio, e vostro padre era
fratel mio. Sono molti anni che viaggio, e nel momento in cui giungo con
la speranza di rivederlo e cagionargli giubilo col mio ritorno, voi mi
dite che egli è morto!
Chiese poscia ad Aladino ove stesse sua
madre, e subito Aladino appagò la sua domanda.
Il Mago africano gli consegnò nello stesso
tempo un pugno di piccole
monete dicendogli:
— Figliuol mio, andate a trovar vostra madre,
fatele i miei complimenti, e ditele che mi darò il piacere di andarla a
trovar domani.
Partito che fu il Mago africano dal nipote
che egli stesso si era formato, Aladino corse da sua madre.
— Madre mia — le disse — pregovi dirmi se io
ho uno zio.
— No, figliuol mio — gli rispose la madre —
voi non avete al presente alcun zio, né dal canto del fu vostro padre,
né dal mio, poiché l’unico che avevi è morto da gran tempo.
— Pur nondimeno — ripigliò Aladino — or ora
ho veduto un uomo che si vanta zio dal canto di mio padre, giacché per
quanto egli m’assicura, era suo fratello. E per comprovarvi che dice la
verità — soggiunse mostrandole il denaro che aveva ricevuto — m’ha dato
questo. Mi ha inoltre indicato di salutarvi in suo nome, e di dirvi che
domani verrà a vedervi.
La mattina seguente, il Mago africano fermò
Aladino una seconda volta.
L’abbracciò come nel giorno precedente, e
ponendogli nelle mani due monete d’oro gli disse:
— Figliuol mio, portate queste a vostra
madre, e ditele che questa sera verrò a vederla, e che provveda una
buona cena, affinché mangiamo insieme.
Aladino portò le due monete d’oro a sua
madre, e partecipato che le ebbe quale fosse l’intenzione di suo zio,
ella uscì per andare a far la spesa, e ritornò con molte e buone
provvigioni.
Benché Aladino avesse insegnato la casa al
Mago africano, pur nondimeno vedendo che non compariva per andargli
incontro era in procinto di uscire, quando venne picchiato alla porta.
Aladino aprì, e riconobbe il Mago africano, il quale entrò carico di
bottiglie di vino e di molte specie di frutta per la cena.
Quando il Mago africano si fu assiso al luogo
che eragli piaciuto di scegliere, principiò a conversare con la madre di
Aladino.
— Mia buona sorella — le diceva — non vi
stupite di non avermi veduto in tutto il tempo che foste maritata con
mio fratello Mustafà di gloriosa memoria. Sono partito quarant’anni fa
da questo paese, e dopo aver viaggiato nell’Indie, nella Persia,
nell’Arabia, nella Siria, nell’Egitto, e soggiornato nelle belle città
di quei paesi, mi stabilii in Africa. Finalmente, essendo naturale
all’uomo, per lontano che egli sia dal paese di sua nascita, di non
perderne giammai la memoria, come pure dei suoi parenti e di quelli coi
quali è stato allevato, mi è venuta la brama di rivedere mio fratello.
Nulla vi dico della lunghezza del tempo che
vi ho posto, di tutti gli ostacoli che vi ho incontrati, e di tutte le
fatiche che ho sofferte per giunger sin qui. Vi dirò solamente che nulla
mi ha tanto mortificato, e maggiormente afflitto in tutti i miei viaggi,
quanto l’avere intesa la morte di un uomo che sempre aveva amato, e che
amava di un amore veramente fraterno. Ho osservate molte delle sue
fattezze nel sembiante del mio nipote vostro figliuolo, e questo è
quello che distinguer me lo ha fatto fra tutti gli altri fanciulli coi
quali egli ritrovavasi. Egli senza dubbio avrà detto in qual maniera
abbia ricevuto l’infausta notizia della sua morte. Ma bisogna lodare il
cielo d’ogni cosa! Mi consolo di ritrovarlo in un figliuolo che ne
conserva le fattezze più considerevoli.
Il Mago africano si accorse che la madre di
Aladino s’inteneriva sulla rimembranza di suo marito, rinnovando il suo
dolore, perciò cangiò discorso: e volgendosi ad Aladino, gli chiese il
suo nome.
— Io mi chiamo Aladino — questi gli disse.
— Ebbene, Aladino, in che v’occupate voi?
Sapete qualche mestiere?
A questa domanda Aladino abbassò gli occhi, e
ritrovossi in grande sconcerto.
Come egli vide che Aladino nulla rispondeva:
— Se voi avete qualche
ripugnanza per imparare un mestiere, — disse — ed esser vorreste un uomo
civile, vi provvederò di una ricca bottega col capitale di ricchi drappi
e tele fini, e vi porrete in istato di venderle, e del contante che ne
ricaverete comprerete altre mercanzie, ed in questa maniera vivrete
onorevolmente. Consigliatevi con voi stesso, e francamente ditemi ciò
che ne pensate.
Questa offerta piacque
molto ad Aladino, avendo osservato che le botteghe di tal sorta di
mercanzie erano decenti e frequentate; che i mercanti eran ben vestiti e
molto considerati; onde protestò al Mago africano, che considerava come
suo zio, esser questa la sua inclinazione.
— Giacché questa professione vi gradisce —
replicò il Mago — io vi farò dapprima vestire convenientemente e
riccamente, e dopo domani penseremo assegnarvi una bottega nella maniera
che vi ho espresso.
La mattina seguente il Mago non trascurò di
ritornare dalla vedova di Mustafà il sarto, come le aveva promesso.
Pigliò Aladino con lui, e lo condusse da un ricco mercante il quale non
dava se non abiti fatti. Se ne fece mostrare dei convenienti alla
statura di Aladino e disse:
— Nipote mio, tra tutti codesti abiti
scegliete quello che volete.
Aladino meravigliato delle larghezze di suo
zio, ne scelse uno.
Quando Aladino si vide con tanta magnificenza
vestito da capo a’ piedi, rese a suo zio tutti gl’immaginabili
ringraziamenti, ed il Mago promisegli inoltre di non abbandonarlo, e di
tenerlo sempre con sé.
Aladino voleva prender
commiato da suo zio per tornarsene, ma il Mago africano non volle
permettergli di andarsene solo, e lo ricondusse egli stesso da sua
madre.
Aladino nel giorno seguente si alzò e si
vestì di buon mattino per essere pronto a partire quando suo zio fosse
andato a prenderlo.
Dopo aver aspettato lungo tempo, l’impazienza
gli fece aprir la porta per vedere se quello veniva. Quando lo vide, ne
fece avvertita sua madre, e da lei congedandosi gli schiuse la porta,
andandogli incontro per raggiungerlo.
Il Mago africano fece molte carezze ad
Aladino e con volto ridente gli disse:
— Andiamo, o caro figliuolo, voglio oggi
farvi vedere cose bellissime!
A tal uopo lo condusse ad una porta della
città, che guidava a grandi e belle case o per dir meglio a palazzi
magnifici, ognuno dei quali aveva bellissimi giardini, i cui ingressi
erano liberi.
Il Mago africano poco a poco condusse Aladino
molto lontano oltre i giardini, e gli fece traversare delle campagne,
che lo condussero in vicinanza ai monti.
Giunsero finalmente fra due monti d’una
mediocre altezza e quasi eguali, separati da una valle di pochissima
larghezza. Era questo il luogo notabile, in cui Mago africano aveva
voluto condurre Aladino per l’esecuzione di un gran disegno, che lo
aveva fatto venire dagli estremi dell’Africa fino alla Cina.
— Noi non andiamo più oltre — disse ad
Aladino — voglio qui farvi vedere cose straordinarie ed incognite ad
ogni mortale; e mi ringrazierete poi di essere stato testimonio di tante
meraviglie. Mentre io batto l’acciarino, raccogliete tutti i ramoscelli
più secchi onde potere accender del fuoco.
Eravi una quantità tanto grande di questi
ramoscelli, che Aladino in breve ne formò un mucchio; il Mago vi dette
fuoco gettandovi sopra un certo profumo che teneva apparecchiato. Nello
stesso momento la terra tremò, e si aprì davanti al Mago ed Aladino, e
fece vedere allo scoperto una pietra di un piede e mezzo circa di
profondità posata orizzontalmente con un anello di bronzo sigillato nel
mezzo, per servirsene ad alzarla.
— Avete veduto ciò che ho operato con la
virtù del mio profumo e delle parole che ho pronunziate? Sappiate dunque
che sotto questa pietra havvi nascosto un tesoro, il quale è a voi
destinato e vi deve far divenire un giorno il più ricco sovrano
dell’universo. Ciò è tanto vero, che veruno al mondo vi è fuorché a voi
a cui sia concesso di toccar questa pietra e di alzarla per entrarvi. A
me pure è proibito di toccarla, e di por piede nel tesoro quando sarà
aperto. Perciò bisogna che eseguiate minutamente quanto vi dirò.
— Figliuol mio, ascoltate attentamente tutto
ciò che sto per dirvi. Discendete nella caverna; quando sarete giunto a
piè degli scalini che vedete, troverete una porta aperta, la quale vi
condurrà in una gran camera a volta e divisa in tre grandi sale una dopo
l’altra. In ognuna di quelle vedrete a destra ed a sinistra quattro
grandi vasi di bronzo a guisa di tini, ripieni d’oro e d’argento: ma
badate bene di non toccarli. Prima di entrare nella prima sala, alzate
la vostra veste, e stringetela bene attorno a voi; passate nella seconda
senza fermarvi, e da questa alla terza. Osservate attentamente
sopratutto di non accostarvi alle mura, né di toccarle colla vostra
veste, perché toccandole morireste subito. In capo alla terza sala vi è
una porta che darà accesso in un giardino piantato di bellissimi alberi
tutti carichi di frutta; camminate diritto ed attraversate il giardino
per un sentiero che vi guiderà ad una scala di cinquanta gradini per
salir sopra una terrazza. Giunto che sarete sopra di essa, vedrete
dirimpetto a voi una nicchia, ed in questa una lucerna accesa. Pigliate
la lucerna, estinguetela, e quando ne avrete gettato via lo stoppino e
versato il liquore, riponetela nel vostro seno e portatemela. Non temete
di macchiare il vostro abito, poiché il liquore non è composto d’olio.
Se le frutta del giardino vi piacciono ne potrete raccogliere quante ne
vorrete.
Nel terminar queste parole, il Mago africano
cavò un anello dal dito, lo pose in dito ad Aladino, dicendogli esser
quello un preservativo contro ciò che di male gli potesse accadere.
— Andate, figliuol mio — gli disse, dopo
questa istruzione — discendete con coraggio: noi in breve siamo per
diventar ricchi ambedue per tutto il tempo della nostra vita.
Aladino saltò leggermente nella caverna, e
discese fino al basso dei gradini. Ritrovò le tre scale. Passò per mezzo
con tanta maggior cautela in quanto che temeva di morire se
inconsideratamente trascurava di osservare quanto eragli stato
prescritto. Passò il giardino senza fermarsi, salì sopra la terrazza,
prese la lucerna accesa nella nicchia gettò lo stoppino ed il liquore e
se la pose in seno.
Discese dalla terrazza, e si fermò nel
giardino. Gli alberi eran tutti carichi di frutti stravaganti. Ogni
albero ne portava diversi. Ve n’erano dei bianchi, dei lucenti e
trasparenti come il cristallo, dei rossi, dei verdi, degli azzurri e di
quelli che si accostavano al giallo, con una perfezione straordinaria.
La diversità di tanti bei colori, e la
straordinaria grossezza di ogni frutto, gl’ispirarono la brama di
raccoglierne di tutte le specie. I bianchi erano perle; i lucenti e
trasparenti diamanti; i rossi rubini; i verdi smeraldi; i turchini e
azzurri ametiste e zaffiri ecc. ecc.
Aladino, carico in tal modo di tante
ricchezze, ritornò per donde era disceso, e presentossi all’ingresso
della caverna, ove il Mago africano con grande impazienza lo aspettava.
Subito che Aladino lo vide, gli disse:
— Mio zio, vi prego di porgermi la mano per
aiutarmi a salire.
Il Mago gli disse:
— Figliuol mio, datemi prima la lucerna,
perché potrebbe cagionarvi impedimento.
— Perdonatemi, o mio zio — ripigliò Aladino —
essa non m’impedisce, ve la darò subito che sarò salito.
Il Mago africano allora, disperato dalla
resistenza del fanciullo, fu compreso da uno spaventevole sdegno. Gettò
egli un poco del suo profumo sopra il fuoco che aveva avuto cura di
conservare, ed appena ebbe pronunciate alcune parole magiche, la pietra,
la quale serviva a chiuder l’ingresso della caverna, ritornò da sé
stessa al suo luogo con sopra la terra.
Quando il Mago africano vide le sue grandi e
belle speranze andate a vuoto per sempre, non ebbe altro partito da
prendere che di ritornare in Africa, il che fece lo stesso giorno. Egli
prese strade remote per non rientrare nella città dond’era uscito con
Aladino, temendo, a ragione, di venir osservato da più persone che
potevano averlo veduto passeggiare con quel fanciullo e ritornare senza
di lui.
Secondo tutte le apparenze non si doveva più
sentir parlare di Aladino: ma, quello che aveva creduto perderlo per
sempre, non aveva fatta attenzione di avergli messo al dito un anello
che poteva servire a salvarlo.
Aladino che non s’aspettava la malvagità del
suo falso zio dopo le carezze ed i beneficî che gli aveva resi, restò
maravigliato in modo che è più facile immaginarlo che dirlo con parola.
Quando si vide seppellito vivo chiamò mille volte suo zio gridando che
era pronto a dargli la lampada: ma le sue grida erano inutili, e non vi
era più mezzo di essere inteso; laonde rimase nelle tenebre e
nell’oscurità...
Aladino restò due giorni in quello stato
senza mangiare né bere, il terzo finalmente, tenendo la morte come
inevitabile, alzò al cielo le mani giunte e con una perfetta
rassegnazione ai voleri di Dio esclamò:
— Non vi è forza e potenza che in Dio, il
Grande, l’Altissimo!
Nell’alzar le mani giunte, fregò
senz’avvedersene l’anello che il Mago africano gli aveva messo al dito,
e di cui non conosceva ancora la virtù.
Immantinente un Genio d’una statura enorme si
presentò dinanzi a lui come da sottoterra, finché toccò colla testa al
soffitto, e disse ad Aladino queste parole:
— Che vuoi tu? Eccomi pronto ad obbedirti
come tuo schiavo.
In tutt’altro tempo ed in tutt’altra
occasione Aladino che non era accostumato a simili visioni, sarebbe
stato forse compreso da spavento: ma occupato unicamente dal pericolo in
cui era, rispose senza esitare:
— Chiunque tu sia, fammi uscire da questo
luogo.
Non appena ebbe pronunciate queste parole la
terra si aprì e si trovò fuori dalla caverna.
Arrivato alla città si trascinò con molta
fatica fino a casa sua, ove entrato, la gioia di riveder la madre,
congiunta alla debolezza del non aver mangiato da quasi tre giorni, gli
cagionarono uno svenimento che durò qualche tempo.
La madre che l’aveva già pianto come perduto
e come morto, nel vederlo in quello stato non tralasciò d’usargli tutte
le possibili cure per farlo tornare in sé.
Rinvenuto alfine dal suo svenimento furono
queste le prime parole che pronunziò:
— Madre mia, prima di tutto vi prego di darmi
da mangiare, essendo tre giorni che non ho preso un bricciol di cibo.
La madre gli portò quello che aveva.
Aladino cominciò a raccontare a sua madre
quanto gli era accaduto col mago dal giorno che era andato a prenderlo
per condurlo seco a vedere i palagi ed i giardini che erano fuori della
città. Non omise niun particolare di quanto aveva veduto passando e
ripassando nelle tre sale, nel giardino e sul terrazzo ove aveva presa
la lampada meravigliosa, che mostrò a sua madre traendola dal seno, come
pure i frutti trasparenti e di diversi colori che aveva colti nel
giardino ritornandosene. Intanto quei frutti erano pietre preziose, e lo
splendore che rendevano doveva far giudicare del loro gran prezzo.
Ma appena Aladino ebbe terminato, sua madre
proruppe in mille ingiurie contro quell’impostore, chiamandolo
traditore, perfido, barbaro, assassino, ingannatore, mago e distruttore
del genere umano.
Ella disse molte altre cose imprecando sempre
al tradimento che il Mago aveva fatto a suo figlio: ma parlando
s’accorse che Aladino, non avendo dormito da tre giorni, aveva bisogno
di riposo.
Laonde avendolo fatto coricare, poco tempo
dopo andò a coricarsi anch’essa.
Aladino che non aveva preso alcun riposo nel
luogo sotterraneo in cui era stato seppellito, dormì tutta la notte con
un profondo sonno, svegliandosi il dì successivo assai tardi.
Come si alzò, la prima cosa che disse a sua
madre fu che aveva bisogno di mangiare.
— Ohimè! figliuol mio — gli rispose la madre
— io non ho nemmeno un pezzo di pane a darvi avendo voi iersera mangiato
il poco di provvigione che v’era nella casa. Ma abbiate un poco di
pazienza, cercherò di provvederne. Io ho un poco di cotone filato, che
andrò a vendere, affine di comperare del pane e qualche altra cosa pel
nostro pranzo.
— Madre mia — rispose Aladino — conservatevi
il vostro cotone per un’altra volta, e datemi la lampada che portai
ieri. L’andrò a vendere, e il danaro che ne ritrarrò servirà a darci da
colazione da pranzo e forse anche da cena.
La madre di Aladino prese la lampada da dove
l’aveva messa, dicendo a suo figlio:
— Ecco, figlio mio, ma è molto sporca; per
poco che sia nettata, credo che valga qualche cosa di più.
Essa prese dell’acqua e un poco di arena per
nettarla: ma appena ebbe cominciato a strofinarla, che in un momento, un
Genio orribile e d’una statura gigantesca apparve innanzi a lei, e le
disse con voce tonante:
— Che vuoi tu? eccomi pronto ad obbedirti, io
e i miei compagni, come schiavo tuo.
La madre di Aladino non era in istato di
rispondere, non avendo potuto sostenere la vista dell’orribile e
spaventevole figura del Genio.
Aladino, il quale
aveva già avuta un’apparizione presso a poco simile nella caverna,
rispose con tono fermo:
— Io ho fame, portatemi da mangiare.
Il Genio disparve, e un momento dopo ritornò
carico d’un gran bacino d’argento, che portava sulla testa con dodici
piatti coperti dello stesso metallo pieni di eccellenti vivande, con sei
grandi pani bianchi come neve, due bottiglie di vino squisito, e due
tazze di argento per bere.
Questo accadde in sì poco tempo, che la madre
di Aladino non aveva ancora ricovrato i sensi, quando il Genio disparve
per la seconda volta.
Madre mia — le disse Aladino, — via, non è
nulla; alzatevi e venite a mangiare; ecco con che rimettervi i sensi, e
nello stesso tempo soddisfare al gran bisogno di mangiare. Non lasciamo
adunque raffreddar sì buone vivande, e mangiamo.
La madre di Aladino fu estremamente sorpresa
quando vide il gran bacino, i dodici piatti, i sei pani, le due
bottiglie, le due tazze, e sentì l’odore delizioso che esalava da tutti
quei piatti.
Aladino e sua madre,
credendo fare una semplice colazione, si trovarono ancora a tavola
all’ora del pranzo.
Quando la madre di Aladino ebbe sparecchiato
e messo da banda le vivande che non avevano tocche, andò a sedersi sul
sofà vicino a suo figliuolo, e gli disse:
— Aladino, aspetto che soddisfacciate
l’impazienza in cui sono d’udire il racconto che mi avete promesso.
Ed Aladino le raccontò quanto era accaduto
tra il Genio e lui nel tempo del suo svenimento.
— Come! — esclamò la
madre di Aladino — è dunque a cagion della vostra lampada che quel
maledetto Genio si è rivolto a me piuttosto che a voi? Ah! figliuol mio,
toglietemela dinanzi agli occhi e mettetela dove meglio vi piacerà,
perché io non voglio più toccarla. Consento piuttosto che sia gettata o
venduta anziché correre il rischio di morir dal terrore toccandola. Se
volete seguire il mio consiglio, vi disfarete eziandio dell’anello.
— Madre mia con vostro permesso — rispose
Aladino — io mi guarderei bene presentemente di vendere, come poco prima
era pronto a farlo, una lampada che diviene sì utile tanto a voi quanto
a me.
— Figliuol mio — diss’ella — fate come meglio
vi aggrada; per me non vorrei aver a che fare coi Geni. Però vi dichiaro
che me ne lavo le mani e che non ve ne parlerò più!
L’indomani a sera, dopo cena, non restò loro
nulla della buona provvisione che il Genio aveva portata.
Il giorno seguente Aladino, non volendo
aspettare che la fame lo stringesse, prese un piatto d’argento sotto la
sua veste, ed uscì la mattina presto per andarlo a vendere. Si diresse
da un ebreo che incontrò sulla sua
strada, e trattolo in disparte mostrandogli il piatto, gli chiese se
voleva comprarlo.
L’ebreo astuto, prese il piatto, l’esaminò,
ed appena ebbe conosciuto ch’era di buon argento, chiese ad Aladino
quanto voleva. Aladino, che non conosceva il valore e che non aveva mai
fatto commercio di quella mercanzia, si contentò di dirgli che poteva da
sé stesso veder quanto valesse il piatto e che se ne riportava alla sua
buona fede.
L’ebreo si trovò imbarazzato dell’ingenuità
di Aladino. Nell’incertezza in cui era di sapere se Aladino ne
conoscesse la materia ed il valore, trasse dalla sua borsa una moneta
d’oro, che non era se non la settantaduesima parte del valore del
piatto, e gliela presentò.
Aladino prese la moneta con grande
sollecitudine, e ritornando presso sua madre, si arrestò nella bottega
di un fornaio, presso cui fece provvisione per sua madre e per lui,
pagandola della moneta d’oro che il fornaio gli cambiò.
Giunto a casa, dette il resto a sua madre,
che andò al mercato a comprar le altre provvisioni necessarie per vivere
ambedue lo spazio di alcuni giorni.
Essi continuarono a vivere in questa guisa,
vale a dire che Aladino vendé tutti piatti all’ebreo l’uno dopo l’altro
fino al diciottesimo.
Quando il denaro dell’ultimo piatto fu speso,
Aladino ebbe ricorso al bacino, che pesava esso solo quanto tutti i
piatti.
Egli voleva portarlo al suo mercante
ordinario: ma il suo grave peso glielo impedì; per cui fu obbligato di
andare in traccia dell’ebreo, che condusse da sua madre, e costui, dopo
aver esaminato il peso del bacino, gli contò sul momento dieci monete
d’oro, di cui Aladino si contentò.
Finché durarono le monete d’oro vennero
adoperate alla spesa giornaliera della casa.
Quando non restò più nulla delle dieci monete
d’oro, Aladino ebbe ricorso alla lampada, e presala in mano, la strofinò
come aveva fatto sua madre ed immantinente lo stesso Genio che s’era già
fatto vedere si presentò a lui.
Aladino gli disse:
— Ho fame, portami da mangiare!
Il Genio disparve, e
pochi momenti dopo ritornò carico di un servizio da tavola simile a
quello che aveva portato la prima volta. Posatolo sul sofà, subito
disparve.
Aladino e la madre si posero a tavola, e dopo
il pasto, loro restò ancora di che vivere largamente i due giorni
seguenti.
Aladino appena vide non esservi più nella
casa né pane, né altre provvisioni, prese un piatto d’argento e andò a
cercare l’ebreo che conosceva per venderglielo.
Nell’andarvi passò dinanzi alla bottega d’un
orefice, rispettabile per la sua vecchiezza, un onesto uomo e d’una
grande probità.
L’orefice che lo scorse, lo chiamò, lo fece
entrare e gli disse:
— Figliuol mio, io vi ho già veduto passare
molte altre volte come adesso, unirvi con un certo ebreo, e ripassare
poco tempo dopo senza nulla fra le mani. Ho immaginato che voi gli
vendete ciò che portate, ma che forse non sapete che quell’ebreo è un
ingannatore molto più grande degli altri ebrei, e che nessuno di quelli
i quali lo conoscono vuole avere che fare con lui. Del resto, ciò che io
vi dico, non è se non per farvi piacere. Se volete mostrarmi ciò che
portate presentemente, e che sia da vendere, ve ne darò fedelmente il
suo giusto prezzo se mi conviene, altrimenti vi dirigerò ad altri
mercanti che non v’inganneranno.
La speranza di far maggior guadagno del
piatto fece sì che Aladino lo trasse dal disotto della sua veste e lo
mostrò all’orefice. Il vecchio il quale conobbe subito che il piatto era
di fino argento, gli chiese se n’aveva venduti di simili all’ebreo, e
quanto glieli aveva pagati.
Aladino gli disse ingenuamente che ne aveva
venduti dodici, e che l’ebreo glieli aveva pagati una moneta d’oro
ciascuno.
— Ah il ladro! —
esclamò l’orefice. — Figliuol mio — aggiunse poscia — ciò che è fatto è
fatto, e non bisogna più pensarvi: ma facendovi vedere quanto vale il
piatto, che è del miglior argento di cui ci serviamo nelle nostre
botteghe, conoscerete quanto l’ebreo vi ha ingannato.
L’orefice prese la bilancia, pesò il piatto,
e dopo avere spiegato ad Aladino quant’era un marco di argento, quanto
valesse, e le suddivisioni, gli fece notare che secondo il peso, il
piatto valeva settantadue monete d’oro, che gli annoverò sull’istante
dicendogli:
— Ecco il giusto valore del vostro piatto.
Aladino rese molte grazie all’orefice del
buon consiglio che gli dava, e da cui già traeva un sì grande utile. In
seguito non si diresse più che a lui per
vendere gli altri piatti, come pure il
bacino, il cui giusto valore fu sempre pagato a proporzione del suo
peso.
In tal guisa vissero per lo spazio di molti
anni, col soccorso del buon uso che Aladino faceva della lampada di
tempo in tempo.
In questo intervallo Aladino che non mancava
di trovarsi con molta assiduità alle riunioni delle persone distinte,
nelle botteghe de’ mercanti all’ingrosso di stoffe d’oro e d’argento, fu
disingannato dal pensiero che aveva intorno ai frutti colti nel giardino
in cui era andato a prender la lampada, di non esser che vetro colorato,
ed imparò ch’erano pietre preziose di gran prezzo.
Un giorno passeggiando in una contrada della
città, Aladino sentì pubblicare ad alta voce un ordine del Sultano di
serrare le botteghe e le porte delle case, e di chiudersi ciascuno nella
propria abitazione fino a che la principessa Badroulboudour, figliuola
del Sultano, fosse passata per andare al bagno e ne fosse ritornata.
Questo bando pubblico fece nascere ad Aladino la curiosità di veder la
principessa a volto scoperto.
Per soddisfare il suo desiderio, avvisò
d’usare un mezzo che gli riuscì, andò a collocarsi dietro la porta del
bagno, che era disposta in modo da non poter mancare di vederla venire
in faccia.
Aladino non attese lungo tempo.
La principessa apparve ed egli la vide venire
attraverso d’una fessura sufficientemente grande, per scorgerla senza
essere veduto.
Quand’ella fu a tre o quattro passi dalla
porta del bagno si tolse il velo che le copriva il viso, e che le dava
molto incomodo, di modo che dette luogo ad Aladino di vederla tanto
maggiormente a suo agio, in quanto che gli veniva giusto di faccia.
Quando Aladino ebbe veduto la principessa
Badroulboudour il suo cuore non poté che ricevere interamente l’immagine
dell’oggetto che l’aveva incantato.
Aladino, rientrando in casa, non poté
nascondere il suo turbamento e la sua inquietudine, dimodoché la madre
se ne accorse.
Ella fu sorpresa di vederlo così triste e
meditabondo contro il suo solito, e gli chiese se gli era accaduto
qualche cosa o se si trovava indisposto. Aladino seduto sul sofà di
fronte a sua madre che filava, le favellò in questi termini:
— Madre mia non so bene quale sia questo
male, ma non dubito che quanto vi dirò non ve lo faccia
comprendere. Non si è saputo in questo
quartiere — continuò Aladino — e voi eziandio non avete potuto saperlo,
che la principessa Badroulboudour, figliuola del Sultano, andò al bagno
dopo pranzo. Io lo seppi passeggiando per la città.
Come era lontano dal bagno, la curiosità di
vederla col volto scoperto mi fece nascere il pensiero d’andarmi a
collocare dietro la porta del bagno stesso, considerando potesse
accadere che ella si togliesse il velo quando fosse vicina ad entrarvi.
Voi sapete la disposizione della porta, e
potete giudicare da voi medesima che io doveva vederla a mio agio, se
ciò che m’ero immaginato accadeva. Difatti ella si tolse il velo
entrando, ed io ebbi la felicità di vedere quell’amabile principessa col
più grande soddisfacimento del mondo.
Ecco, madre mia la gran ragione dello stato
in cui mi vedeste ieri quando ritornai, e la cagione del silenzio in cui
sono stato finora. Io amo la principessa d’un amore di cui la violenza è
tale ch’io non saprei esprimervela, e come la mia passione viva ed
ardente si accresce a ciascuno istante, io sento che essa non può venir
soddisfatta che col permesso dell’amabile principessa Badroulboudour;
per cui ho risoluto farla domandare in matrimonio al Sultano.
La madre di Aladino aveva ascoltato il
discorso del suo figliuolo con molta attenzione fino a queste ultime
parole: ma quando ebbe inteso che il suo disegno era di far chiedere la
principessa Badroulboudour in matrimonio, non poté fare a meno
d’interromperlo con un grande scoppio di risa.
— In verità, o figliuolo — soggiunse la madre
seriamente — io non saprei fare a meno di dirvi che avete perduto il
senno e che quand’anche voleste eseguire il vostro pensiero, non vedo
per mezzo di chi osereste far questa domanda al Sultano.
— Per mezzo vostro — replicò Aladino
immantinente, senza esitare.
— Figliuol mio — soggiuns’ella di bel nuovo —
io son vostra madre, e come una buona donna che vi ha dato alla luce,
non ci è nulla di ragionevole né di conveniente al mio stato che non
fossi pronta a fare per l’amor vostro.
Se si trattasse di parlare del vostro
matrimonio colla figliuola di qualche nostro vicino, di una condizione
poco dissimile alla nostra, io non lascierei nulla intentato e mi
adoprerei di buon cuore in tutto ciò
che mi sarebbe possibile: quantunque, per riuscirvi, sarebbe opportuno
che aveste qualche bene, o qualche rendita, e che sapeste un mestiere.
Quante povere genti come noi vogliono maritarsi, la prima cosa cui
debbono pensare è d’aver di che vivere! Ma senza considerare la bassezza
della vostra nascita, ed il poco merito che avete, voi vi slanciate al
più alto grado della fortuna, qual è il vostro pensiero di voler
chiedere in matrimonio e di sposare la figlia del nostro sovrano, il
quale non ha altro che dire se non una sola parola per precipitarvi e
schiacciarvi!
Aladino ascoltò tranquillamente quanto sua
madre gli disse e dopo aver riflettuto molto, prese finalmente la parola
e le disse:
— Confesso, madre mia che è una grande
temerità la mia d’osar d’innalzare le mie intenzioni tanto in alto, ed è
grande inconsideratezza l’aver voluto con tanto calore e prontezza che
andaste a fare la proposta del mio matrimonio al Sultano, senza badare
prima ai mezzi di procurare un’udienza ed una occasione favorevole, e ve
ne domando perdono. Ma nella violenza della passione non vi
meraviglierete se fin dal bel principio non ha pensato che a ciò che
poteva servire a procurarmi il riposo che cerco. Io amo la principessa
Badroulboudour al di là di quanto vi potete immaginare, o meglio
l’adoro, e persevero sempre nel disegno di sposarla, avendolo fermamente
risoluto nell’animo mio.
Voi mi dite non aver io nulla che possa
essergli donato, credete voi, madre mia che di quanto ho portato dal
giardino in cui venni salvato da una morte inevitabile, nel modo che voi
sapete, non vi sia da fare un piacevolissimo dono al Sultano? Io parlo
di quello che ho portato nelle due borse e nella mia cintura, e che
abbiamo preso voi ed io per vetri colorati: ma ora che mi son
disingannato, sappiate, madre mia che son gioielli di un prezzo
inestimabile, i qual non convengono che ai grandi monarchi. Io ne ho
conosciuto il merito frequentando i gioiellieri, e voi potete credere
alla mia parola. Voi avete un vaso di porcellana molto grande e di una
forma acconcia a contenerli; portatelo qui e vediamo l’effetto che essi
produrranno quando li avremo disposti secondo i loro diversi colori.
La madre di Aladino portò il vaso di
porcellana, ed Aladino trasse le pietre preziose dalle due borse e le
dispose nel vaso. L’effetto che produssero alla luce del giorno, per la
varietà dei loro colori e del loro
splendore, fu tale che la madre ed il figliuolo ne rimaser abbagliati.
Dopo aver esaminato per qualche tempo la bellezza del dono, Aladino
riprese la parola, dicendo:
— Madre mia voi non mi taccerete più d’audace
per presentarvi al Sultano sotto pretesto di non avere un dono a fargli:
eccone uno che mi sembra farà sì che siate ricevuta con un’accoglienza
delle più favorevoli.
Siccome s’era già fatto troppo tardi, e
passata l’ora d’andare al palazzo per presentarsi al Sultano, la cosa fu
differita all’indomani.
La madre ed il figliuolo non parlarono
d’altro nel resto della giornata, ed Aladino ebbe gran cura d’ispirare a
sua madre quanto gli venne nel pensiero per confermarla nell’assunto che
aveva finalmente accettato, d’andare a presentarsi al Sultano.
— Figliuol mio — diss’ella ad Aladino — non
c’inquietiamo anticipatamente d’una cosa che forse non accadrà. Vediamo
prima l’accoglienza che vi farà il Sultano, e la risposta che vi darà.
Se accade che voglia essere informato de’ miei beni, come mi avete
detto, allora vedrò la risposta che debbo fargli, ed ho confidenza che
la lampada, pel cui mezzo viviamo da parecchio tempo, non mi mancherà
nel bisogno.
La madre di Aladino fece tutto quello che suo
figlio volle. Essa partì infine con grande soddisfazione di Aladino, e
prese la via del palazzo del Sultano.
Il gran Visir, accompagnato dagli altri visir
e dai Signori della Corte, eran già entrati, quand’essa giunse alla
porta. La folla di tutti coloro che avevano affari al Divano era grande.
Quando la porta fu aperta, la madre di
Aladino si avanzò fino al Divano, il quale era una bellissima camera
molto spaziosa.
Le parti furon chiamate l’una dopo l’altra
secondo l’ordine delle suppliche che avevan presentate, ed i loro affari
furon discussi e risoluti.
Poscia il Sultano si alzò, congedò il
Consiglio, e rientrò nel suo appartamento, ove subito fu seguito dal suo
gran Visir.
La madre di Aladino, avendo scorto il sultano
alzarsi e ritirarsi immaginò, al vedere ciascuno uscire, che non sarebbe
più comparso per quel giorno; onde prese il partito di ritornare in
casa.
L’indomani mattina, come il giorno
precedente, andò di nuovo al palazzo del Sultano: ma il suo viaggio fu
inutile poiché trovò la porta del Divano chiusa, e
seppe che non si teneva consiglio se non ogni
due giorni, e che però era mestieri fosse ritornata il giorno dopo.
Ella andò a portare questa notizia al suo
figliuolo, che fu costretto ad armarsi di nuova pazienza. Vi ritornò
altre volte nei giorni indicati con eguale successo, e forse vi sarebbe
ritornata molte altre volte altrettanto inutilmente, se il Sultano, che
la vedeva sempre di fronte a lui a ciascuna adunanza, non avesse fatto
attenzione a lei.
Questo fu tanto probabile, in quanto non
v’erano che quelli i quali avevano suppliche da presentare che
s’avvicinavano al Sultano, ciascuno alla sua volta, per difendere la
loro causa, e la madre di Aladino non era punto in quel numero.
Quel giorno infine, dopo terminato il
Consiglio, quando il Sultano fu rientrato nel suo appartamento, disse al
suo gran Visir:
— È già qualche tempo ch’io osservo una certa
donna la quale viene regolarmente ciascun giorno in cui tengo il mio
consiglio, e porta qualche cosa d’avviluppato in un fazzoletto; sta in
piedi dal principio fino al termine dell’udienza e si mette sempre di
fronte a me. Al primo giorno del Consiglio, se questa donna ritorna, non
mancate di farla chiamare affinché io l’ascolti.
Il gran Visir non gli rispose che baciandogli
la mano.
La madre di Aladino s’era tanto assuefatta a
comparire al Consiglio innanzi al Sultano, che contava la sua pena per
nulla, purché facesse conoscere a suo figlio ch’ella non dimenticava
nulla di quant’era in lei per compiacerlo.
Ritornata dunque a palazzo il giorno del
Consiglio, si collocò all’ingresso del Divano dirimpetto al Sultano,
secondo il suo solito.
Immantinente il gran Visir mostrò quella
donna al capo degli uscieri, che stava in piedi vicino a lui per
ricevere i suoi ordini, e gl’impose di andarla a prendere e di farla
avanzare.
Il capo degli uscieri andò fino a’ piedi del
trono del Sultano, ove la lasciò, per andarsi a porre al suo posto
vicino al gran Visir.
La madre di Aladino, istruita dall’esempio di
tanti altri che aveva veduto avvicinarsi al Sultano, si prostrò colla
fronte sul tappeto che copriva i gradini del
trono, e rimase in tale posizione fino
a che il Sultano non le comandò di alzarsi.
Ella si alzò, ed allora il Sultano le disse:
— Buona donna, è lungo tempo che vi vedo
venire al mio Divano e restare dal principio fino a che termina. Quale
faccenda qui vi conduce?
La madre di Aladino disse:
— Monarca superiore a tutti gli altri
monarchi del mondo, prima d’esporre alla Maestà Vostra la cagione
straordinaria e quasi incredibile che mi fa comparire innanzi al vostro
trono sublime, la supplico di perdonare l’audacia, per non dir
l’impudenza, della domanda che vengo a farle. Dessa è sì poco comune,
che io tremo ed ho vergogna di proporla al mio Sultano.
Per darle intera la libertà di spiegarsi, il
Sultano comandò che ognuno uscisse dal Divano e che si lasciassero soli
col suo gran Visir. Allorché rimasero soli le disse che poteva parlare
senza timore.
— Sire — diss’ella ripigliando la parola — io
oso ancora supplicare la Maestà Vostra, nel caso che trovi la domanda
che io ho da farle offensiva od ingiuriosa alla menoma cosa, di
assicurarmi del suo perdono e di assicurarmi la grazia.
— Qualunque cosa possa essere — rispose il
Sultano — io ve la perdono da questo momento, e non ve ne avverrà il
minimo male.
Quando la madre di Aladino ebbe prese tutte
queste precauzioni, gli raccontò fedelmente in quale occasione Aladino
aveva veduto la principessa Badroulboudour, l’amor violento che quella
vista fatale gli aveva ispirato, la dichiarazione che gliene aveva
fatta, tutto ciò ch’ella gli aveva detto pur di stornarlo da una
passione non meno ingiuriosa per la Maestà Vostra — diss’ella al Sultano
— che per la principessa.
Il Sultano ascoltò questo discorso con molta
dolcezza e bontà, senza dare nessun segno di collera e di indignazione,
ed anche senza prendere la domanda a beffe. Ma prima di rispondere a
quella buona donna, le chiese che fosse quello che teneva avviluppato
nel fazzoletto.
Immantinente ella prese il vaso di
porcellana, che aveva deposto ai piedi del trono prima di prostrarsi, e
scoprendolo lo presentò al Sultano.
Non si potrebbe
esprimere la sorpresa e la meraviglia del Sultano quando vide radunate
in quel vaso tante gioie sì considerevoli, sì perfette, sì splendide e
di una grossezza di cui non ne aveva ancora veduto
simili. Rimesso dallo
stupore, ricevette il dono dalle mani della madre di Aladino, esclamando
con un trasporto di gioia:
— Che bel dono! Che ricco dono!
Dopo aver ammirate ed esaminate tutte le
gioie l’una dopo l’altra, si volse verso il gran Visir, e mostrandogli
il vaso gli disse:
— Vedi e convieni che non si può vedere al
mondo nulla di più ricco e di più perfetto!
Il Visir ne fu stupefatto.
Accostossi al Sultano e parlandogli
all’orecchio gli disse:
— Sire, non si può sconvenire che il dono non
sia degno della principessa: ma io supplico la Maestà Vostra di
concedermi tre mesi prima di determinarsi. Spero che prima che sia
scorso questo tempo, mio figlio che ella ha avuto la bontà di
manifestarmi di avere scelto quale fidanzato della principessa vostra
figlia, avrà come fargliene uno di più gran prezzo di questo Aladino, di
cui la Maestà Vostra non conosce punto.
Il Sultano rivolgendosi verso la madre di
Aladino le disse:
— Andate, buona donna,
ritornate a casa vostra, e dite a vostro figlio che ho aggradita la
proposizione che mi avete fatta da parte sua, ma non posso maritar la
principessa mia figliuola senza che prima non le abbia fatto un corredo
di suppellettili, il quale non sarà pronto, se non da qui a tre mesi.
Però ritornate verso questo termine.
La madre di Aladino ritornò in sua casa con
una gioia immensa.
Due cose fecero giudicare ad Aladino, quando
la vide ritornare, che ella gli portava buone notizie: l’una che
ritornava più presto del solito, e l’altra che aveva il volto gaio e
sereno.
— Ebbene, madre mia — le disse — debbo
sperare o debbo morire di disperazione?
Quand’ella s’ebbe tolto il suo velo e che fu
seduta sul sofà con lui:
— Figliuol mio — gli
rispose — per non tenervi troppo lungo tempo nell’incertezza, comincierò
dal dirvi che lungi dal pensare a morire, avete ogni cagione di letizia.
E proseguendo il suo discorso, gli raccontò
prima d’ogni altro, in qual modo ella aveva avuto udienza. Soggiunse
ancora che, per quanto poteva giudicare da’ segni che il Sultano le
aveva dati, il dono sopra ogni altro
aveva prodotto un potente effetto sull’animo suo, per determinarlo alla
risposta favorevole che le aveva dato.
Aladino si stimò il più felice de’ mortali,
sentendo questa notizia. Ringraziò sua madre di tutte le pene durate nel
corso di quell’affare, il cui felice successo era sì importante pel suo
riposo. E quantunque nell’impazienza in cui era di godere dell’oggetto
della sua passione, tre mesi gli sembrassero d’una lunghezza estrema, si
dispose nondimeno ad aspettare con pazienza.
Mentr’egli contava non solo le ore, i giorni
e le settimane, ma perfino i minuti, aspettando che il termine fosse
passato, circa due mesi erano scorsi, quando sua madre una sera, volendo
accender il lume, si accorse che non v’era più olio in casa.
Uscita per andarne a comperare, inoltrandosi
nella città, vide che tutto stava in festa.
Ella chiese al mercante presso cui comperava
il suo olio, che volesse significar tutta quella festa.
— Donde venite, mia buona donna? — gli
rispose quello. — Non sapete che il figliuolo del gran Visir sposa
questa sera la principessa Badroulboudour, figlia del Sultano? Tra poco
ella uscirà dal bagno, e gli ufficiali che voi vedete, si adunano per
farle corteggio fino al palagio ove devesi fare la cerimonia.
La madre di Aladino non volle saperne di più,
e ritornò sollecitamente in casa sua, quasi senza fiato.
— Figliuol mio — esclamò ella — tutto è
perduto per voi. Voi contavate sulla bella promessa del Sultano, ma non
ne sarà nulla. Questa sera il figlio del gran Visir sposerà la
principessa Badroulboudour nel palagio.
E gli raccontò in qual modo l’aveva saputo.
A questa notizia Aladino restò immobile come
se fosse stato colpito dalla folgore.
Immantinente si sovvenne della lampada che
gli era stata sì utile fino allora, e senza trasportarsi in vane parole
contro il Sultano, contro il gran Visir, o contro il figlio di questo
ministro, disse solamente:
— Madre mia il figlio del gran Visir non sarà
forse questa notte tanto felice quanto si promette. Mentre io vado un
momento nella mia camera, preparate da cena.
Difatti quando Aladino fu nella sua camera,
prese la lampada maravigliosa, la strofinò allo stesso modo delle altre
volte, e tosto il Genio apparve innanzi a lui.
— Che vuoi tu? — diss’egli ad Aladino. —
Eccomi pronto ad obbedirti io, ed i miei compagni, come tuo schiavo e di
tutti coloro che hanno la lampada in mano.
— Ascolta — gli rispose Aladino — tu mi hai
portato fino ad ora di che nutrirmi quando ne ho avuto bisogno. Si
tratta presentemente di un affare di tutt’altra importanza. Io ho fatto
domandare in matrimonio al Sultano la principessa Badroulboudour sua
figliuola, ed egli l’ha promessa chiedendomi un differimento di tre
mesi. Ora, invece di mantenermi la sua promessa, questa sera egli la
marita col figliuolo del suo gran Visir: io l’ho saputo, e la cosa è
certa. Quel che ti chieggo è di rapirli e di portarmeli ambedue qui al
più presto che si possa.
— Signor mio — soggiunse il Genio — io vado
ad obbedirti, hai tu altro a comandarmi?
— Null’altro per ora — rispose Aladino, e
subito il Genio disparve.
Aladino ritornò da sua madre e cenò con lei
colla tranquillità che gli era ordinaria.
Intanto nel palagio del Sultano tutto era
stato preparato con molta magnificenza per la celebrazione delle nozze
della principessa, e la sera si passò in cerimonie ed in feste fino a
notte inoltrata.
Quando tutto fu terminato, il figliuolo del
gran Visir, al segnale che gli fece il capo degli eunuchi della
principessa, si sottrasse destramente, e quell’ufficiale l’introdusse
nell’appartamento della principessa sua sposa fino alla camera in cui
era preparato il letto nuziale. Poco dopo la sultana, accompagnata dalle
sue donne e da quelle della principessa sua figliuola, condusse la nuova
sposa, che faceva grandi resistenze.
La Sultana, dopo di averla abbracciata e
auguratale la buona notte, si ritirò con tutte le sue donne, delle quali
l’ultima chiuse la porta della camera.
Appena la porta della camera fu serrata, il
Genio come schiavo fedele della lampada, li prese ambedue con grande
loro maraviglia, e in un istante li trasportò nella camera d’Aladino,
ove li lasciò.
Aladino che aspettava con impazienza questo
momento, non soffrì che il figliuolo del gran Visir rimanesse insieme
con la principessa.
— Prendi questo nuovo sposo — diss’egli al
Genio — chiudilo nel gabinetto e ritorna domani mattina.
Il Genio prese immantinente il figliuolo del
gran Visir, e lo trasportò nel luogo che Aladino gli aveva
indicato, ove lo lasciò, dopo aver gettato su
lui un soffio che lo raffreddò da capo ai piedi, e che gl’impedì di
cangiar posto.
Per grande che fosse la passione di Aladino
per la principessa Badroulboudour, pur nondimeno non le tenne un lungo
discorso quando si vide solo con lei.
— Non temete di nulla, adorata principessa —
le disse con appassionata voce — voi siete qui in sicurezza. Se sono
stato forzato a questo estremo non è stato già per offendervi, ma per
impedire che un ingiusto rivale vi possedesse contro la parola data dal
Sultano vostro padre in mio favore.
L’indomani Aladino non
ebbe bisogno di strofinar la lampada per chiamare il Genio, ei ritornò
all’ora indicatagli e nel tempo che Aladino terminava di vestirsi, gli
disse:
— Eccomi, che hai a comandarmi?
— Va’ a riprendere — gli disse Aladino — il
figliuolo del Visir ove l’hai posato, e vieni qui, perché poi,
unitamente alla principessa, lo riporterai ove l’hai preso nel palagio
del Sultano!
Il Genio non ebbe appena eseguito il suo
ufficio, che il gran Sultano, desideroso di sapere come la figliuola
avesse passata la notte, entrò nella camera per augurarle il buon
giorno.
Il figliuolo del gran Visir, che era
agghiacciato pel freddo sofferto in tutta la notte, e che non aveva
avuto ancora il tempo di riscaldarsi, appena intese aprir la porta, si
alzò, riparandosi in un’altra camera.
Il Sultano, avvicinatosi alla principessa, la
baciò, augurandole il buon giorno, e le chiese sorridendo come si
trovasse.
Ma, rialzando il capo e guardandola con
maggior attenzione, fu estremamente sorpreso di vederla in una grande
melanconia. Essa lo guardò solamente con uno sguardo tristissimo in modo
da fargli comprendere che provava una grande afflizione e malcontento.
Le disse anche alcune parole, ma come vide che non poteva trarne altre
da lei si ritirò. Nondimeno non lasciò di supporre che vi fosse qualche
cosa di straordinario nel suo silenzio: il che l’obbligò ad andare
immantinente alle camere della Sultana, cui narrò lo stato in cui aveva
ricevuto la principessa.
— Sire — gli disse la Sultana — ciò non deve
sorprendere la Maestà Vostra, non essendovi nuova sposa la quale non sia
egualmente contegnosa. Nondimeno io vado a vederla.
Quando la Sultana fu
vestita andò all’appartamento della principessa. Avvicinatasi le dette
il buon giorno, abbracciandola: e grandissima fu la sua sorpresa quando
vide che non solo non le rispondeva, ma che nemmeno la guardava, e che
era in una grande afflizione.
— Figliuola mia — le disse la Sultana — donde
viene che voi rispondete sì male alle mie carezze?
La principessa allora le raccontò in qual
modo, un momento dopo ch’ella e il suo sposo trovavansi in quella
camera, erano stati trasportati in altra stanza meschina ed oscura, in
cui s’era veduta sola e separata dal suo sposo, ed in cui v’era un
giovanotto, il quale dopo averle dette alcune parole che il terrore
l’aveva impedita di ascoltare, s’era allontanato, lasciandola sola; il
mattino il suo sposo le era stato ridonato, ed il letto riportato al suo
posto.
La Sultana ascoltò tranquillamente la
narrazione della principessa, ma non volle aggiustarvi fede.
— Figliuola mia — le diss’ella — avete ben
fatto a non parlar di ciò a vostro padre. Guardatevi bene dal dirne
nulla a chicchessia, poiché sareste certamente presa per pazza, se foste
intesa parlare in tal modo!
Nello stesso tempo la Sultana chiamò le donne
della principessa, e come l’ebbe veduta alla sua toletta, andò
all’appartamento del Sultano, cui disse che qualche fantasia era passata
pel capo della loro figliuola, ma che infine non era nulla.
Ella fece chiamare il figliuolo del gran
Visir, per sapere da lui quanto la principessa le aveva detto: ma il
figliuolo del gran Visir che si teneva moltissimo onorato del parentado
del Sultano, aveva preso il partito di dissimulare.
— Genero mio — gli disse la Sultana — avete
voi lo stesso capriccio della vostra sposa?
— Signora — rispose il figliuolo del Visir —
posso io chiedere per quale ragione mi fate questa domanda?
— Ciò basta — soggiunse la Sultana — non
voglio saperne di più: voi siete più saggio di lei.
Intanto si appressava la notte, e la
principessa Badroulboudour maggiormente s’immergeva nell’afflizione.
Tanto fu il cordoglio che per ciò la prese, che, vincendola il pianto,
si trasse in disparte, per dar libero sfogo alle lacrime che volevano a
forza sgorgare dagli occhi. Ridottasi adunque in un luogo appartato,
ruppe in angosciosissimo pianto.
La madre che l’aveva veduta alzarsi e fuggir
ratta dalla sala ove erano i
convitati, la raggiunse e trovolla in quel lacrimevole stato.
Afflitta anch’ella per ciò, e volendo darle
alcun conforto, le disse:
— Ebbene, che fanciullaggine è la vostra di
piangere, figliuola mia?
— Signora — le rispose la fanciulla —
dispensatemene, ve ne prego! Questa notte che si avvicina, foriera di
nuove conseguenze e di nuove pene, m’immerge in grande afflizione e mi
dà un tormento da non potersi esprimere ed impossibile immaginarsi. Ve
ne scongiuro, signora, a non volermi costringere di passar questa notte
nella camera apprestatami, ma concedetemi il favore di star nelle vostre
camere, perché l’esempio della notte passata mi pone in grandissimo
timore.
— Senza dubbio avete perduto il senno,
figliuola mia. E che si direbbe del fatto vostro? — interruppe la
Sultana. — Però, vi ripeto pel vostro meglio, deponete questi pensieri e
venite meco nella sala.
E così dicendo la prese per mano e la
condusse quasi a forza nella sala della festa.
Quando la notte fu inoltrata, il capo degli
eunuchi della principessa, fece come la sera precedente il segno al
figlio del gran Visir, il quale si recò tosto nella camera nuziale.
Poco dopo la sultana
accompagnò la figliuola colle sue donne per darle coraggio, e quivi dopo
averla teneramente baciata ed a più riprese abbracciata, ve la lasciò.
Aladino, che era bene informato di quanto
accadeva nel palazzo, non voleva lasciarli in riposo; laonde, appena la
notte fu un poco inoltrata ricorse di nuovo alla lampada.
Immantinente apparve il Genio che fece ad
Aladino lo stesso complimento delle altre volte, offrendogli il suo
servigio.
— Il figliuolo del gran Visir e la
principessa Badroulboudour — gli disse Aladino — non debbono passare
questa notte meglio dell’antecedente. Va’ e portali qui come iersera.
Il Genio servì Aladino con altrettanta
fedeltà ed esattezza del giorno prima.
Il Genio, secondo gli ordini di Aladino,
ritornò l’indomani e riportolli nelle
camere del palazzo del Sultano.
Il Sultano, dopo il ricevimento fattogli
dalla principessa Badroulboudour il giorno precedente, inquieto di
sapere come avesse passata la notte, e se ella lo avrebbe accolto nella
stessa guisa, andò alla sua camera di buon mattino per accertarsene.
Il figlio del gran Visir, più adontato e più
mortificato del cattivo successo di questa seconda notte che della
prima, appena sentì venire il Sultano si ritirò precipitosamente nel suo
appartamento.
Il Sultano si avanzò verso la principessa
augurandole il buon giorno: e dopo averle fatte le stesse carezze del dì
precedente, le disse:
— Ebbene, figliuola mia siete voi anche oggi
di sì cattivo umore come lo eravate ieri? Mi direte come avete passata
la seconda notte?
La principessa conservò lo stesso silenzio e
il padre vide che aveva l’animo meno tranquillo, ed era molto più
oppressa del giorno precedente: e non dubitando non le fosse accaduto
alcun che di straordinario, irritato dal mistero che gliene faceva,
proruppe in collera e colla sciabola in mano gridò:
— Figliuola, o mi dite quello che mi celate,
o vi taglio il capo sul momento!
La principessa più atterrita dal tono e dalla
minaccia del sultano offeso, che dalla sciabola nuda, ruppe alla fine il
silenzio ed esclamò colle lagrime agli occhi:
— Mio caro padre e mio Sultano, io chiedo
perdono alla Maestà Vostra se l’ho offesa, e spero che dalla sua bontà e
dalla sua clemenza che farà succedere la compassione alla collera,
quando le avrò fatto il racconto fedele del tristo e compassionevole
stato in cui mi son trovata in tutta questa e nella scorsa notte!
Dopo questo preambolo, che calmò ed intenerì
un poco il Sultano, ella gli raccontò fedelmente quanto gli era accaduto
in quelle due notti.
Il Sultano le disse:
— Avete avuto gran torto di non esservi
spiegata meco da ieri su di un affare tanto strano. Io non vi ho già
maritata con l’intenzione di rendervi infelice. Intanto cancellatevi
dall’animo vostro tutte le tristi immagini che mi avete raccontate. Io
vado a fare in modo che non vi accada di passare più notti così
dispiacevoli e tanto poco sopportabili, quanto quelle che avete passato.
Appena il Sultano fu rientrato nel suo
appartamento, mandò a chiamare il gran Visir a cui disse:
— Visir, avete veduto vostro figlio? V’ha
egli detto nulla?
Siccome il gran Visir gli rispose che non
l’aveva veduto, il Sultano gli narrò quanto la principessa gli aveva
raccontato e da ultimo soggiunse:
— Io non dubito che mia figlia non mi abbia
detta la verità: pur nondimeno avrei piacere di averne la conferma dal
labbro del figliuol vostro. Andate dunque ad interrogarlo in proposito.
Il gran Visir non differì d’andare a
raggiungere il figliuolo e partecipandogli quanto il Sultano gli aveva
comunicato, gli ingiunse di non nascondergli la verità e di dirgli se
tutto era vero.
— Io non ve lo nasconderò, padre mio — gli
rispose il figliuolo. — Tutto quello che la principessa ha detto al
Sultano è vero: ma essa non ha potuto narrargli i cattivi trattamenti
che sono stati fatti a me.
Quantunque fosse grande l’ambizione del gran
Visir nel vedere il figliuolo genero del Sultano, nondimeno andò a dar
risposta al Sultano, cui confessò di buona fede la cosa non essere che
troppo vera, dietro quello che gli aveva detto il suo figliuolo.
Senza aspettar nemmeno che il Sultano gli
parlasse di rompere il matrimonio alla qual cosa ben vedeva che era
molto disposto, lo supplicò di permettere che suo figlio si ritirasse
presso di lui, adducendo in iscusa non essere giusto che la principessa
fosse esposta più oltre ad una sì orribile persecuzione per amor di suo
figlio.
Il gran Visir non durò fatica ad ottenere
quello che domandava.
Da quel punto il Sultano, che aveva già
risoluto la cosa, dette ordine affinché cessassero le feste nel suo
palazzo e nella città, ed anche in tutta l’estensione del suo Regno, ove
fece spedire ordini contrari ai primi: ed in pochissimo tempo tutti i
segni della pubblica gioia cessarono nella città e nel Regno.
Questo cangiamento subitaneo e sì poco atteso
dette occasione a molti ragionamenti diversi.
Aladino lasciò scorrere i tre mesi che il
Sultano aveva indicato pel matrimonio della principessa Badroulboudour
con lui.
Ne aveva contati tutt’i giorni con gran cura,
e quando furon compiuti, il dì successivo non mancò
di mandare sua madre a palazzo, per far
ricordare il Sultano della sua parola.
La madre di Aladino andò a palazzo come suo
figlio le aveva detto, e si presentò all’ingresso del Divano allo stesso
luogo di prima.
Il Sultano appena la vide la riconobbe, e si
ricordò nello stesso tempo della domanda che gli avea fatta, e del tempo
a cui l’aveva differita.
Il gran Visir gli faceva allora il rapporto
di un affare.
— Visir — gli disse il Sultano
interrompendolo — io scorgo la donna che ci fece un sì bel dono mesi
addietro; fatela venire. Riprenderete il vostro rapporto quando l’avrò
ascoltata.
Il gran Visir, guardando dalla parte
dell’ingresso del Divano, scorse la madre di Aladino ed immantinente
chiamò il capo degli uscieri e mostrandogliela gli dette l’ordine di
farla avanzare.
La madre di Aladino andò fino ai piedi del
trono ove si prostrò secondo il costume.
Dopo che si fu rialzata, il Sultano le chiese
che desiderasse.
— Sire — gli rispos’ella — io mi presento
un’altra volta innanzi alla Maestà Vostra, per rappresentarle, in nome
di Aladino, mio figliuolo, che i tre mesi, cui ha differito la risposta
alla domanda che ho avuto l’onore di farle, sono scorsi, e per
supplicarla di voler ricordarsene.
Il sultano non giudicando a proposito di
risponderle sui due piedi, si consigliò col gran Visir, manifestandogli
la ripugnanza che aveva di conchiudere il matrimonio della principessa
con uno sconosciuto.
Il gran Visir non esitò a manifestare al
Sultano quello che ne pensava.
— Sire — gli disse — mi sembra esservi un
mezzo immancabile per eludere un matrimonio sì sproporzionato, senza che
Aladino, quand’anche fosse conosciuto dalla Maestà Vostra, possa
lamentarsene: ed è di mettere la principessa ad un sì alto prezzo che le
sue ricchezze, per grandi che siano, non possano giungervi.
Il Sultano approvò il consiglio del gran
Visir, e rivoltosi verso la madre di Aladino, dopo alcuni momenti di
riflessione, le disse:
— Mia buona donna, i Sultani debbono
mantenere la loro parola, ed io son pronto a mantener la mia e a rendere
vostro figliuolo felice col matrimonio della
principessa mia figliuola. Ma siccome io non
posso maritarla senza sapere il vantaggio ch’ella vi troverà, così
direte a vostro figlio che io darò compimento alla mia parola appena mi
avrà inviato quaranta grandi bacini d’oro massiccio, colmati delle
stesse gioie che m’avete già da parte sua recate e portate da un egual
numero di schiavi neri, che saranno condotti da quaranta altri schiavi
bianchi, giovani di bella statura e tutti vestiti magnificamente. Ecco
le condizioni di cui son pronto a dargli la principessa mia figliuola.
Andate, buona donna, io aspetterò che mi portiate la risposta.
La madre di Aladino si prostrò un’altra volta
innanzi al trono del Sultano e si ritirò.
Quand’ella fu rientrata in casa fece un
esatto racconto di quanto il sultano le aveva detto e delle condizioni
colle quali avrebbe acconsentito al matrimonio della principessa sua
figliuola con lui.
Terminando soggiunse:
— Figliuol mio,
egli attende la vostra risposta: ma dicendo tra noi — continuò
ella sorridendo — credo che l’aspetterà lungo tempo!
— Non tanto quanto credete, madre mia —
rispose Aladino — mentre attendo a soddisfarlo, apparecchiate il pranzo,
e lasciatemi fare.
Appena la madre di Aladino fu uscita per
andare a provvedere da pranzo, Aladino prese la lampada e la strofinò.
Immantinente il Genio si presentò innanzi a lui. Aladino gli disse:
— Il Sultano mi dà la principessa sua
figliuola in matrimonio: ma prima mi domanda quaranta bacini d’oro
massiccio e ben pesanti, colmati de’ frutti del giardino ove ho preso la
lampada di cui tu sei schiavo. Esige altresì da me che questi quaranta
bacini d’oro sian portati da altrettanti schiavi neri, preceduti da
quaranta schiavi bianchi, giovani ben fatti, di bella statura ed
abbigliati ricchissimamente. Va’ e conducimi questo dono al più presto,
affinché io lo invii al Sultano prima che finisca l’udienza del Divano.
Il Genio gli disse che il suo comando
verrebbe subito eseguito, e disparve.
Pochissimo tempo dopo il Genio si fece
rivedere accompagnato da quaranta schiavi neri, ciascuno caricato d’un
bacino d’oro massiccio dal peso di venti marchi sulla testa, pieni di
perle, di diamanti, di rubini e di smeraldi meglio scelti, per la
bellezza e per la grossezza di quelli
ch’eran già stati presentati al Sultano.
Ciascun bacino era coperto d’una tela
d’argento a fiori d’oro.
Il Genio domandò ad Aladino se era contento e
se aveva ancora a dargli qualche comando.
Avendogli Aladino detto che non gli bisognava
null’altro, immantinente disparve.
La madre di Aladino, al ritornare dal mercato
ed all’entrare, fu molto sorpresa di veder tanta gente e tante
ricchezze. Quando si fu scaricata dalle provvigioni che portava, andò
per togliersi il velo che le copriva il volto, ma Aladino glielo impedì
dicendole:
— Madre mia non v’ha tempo a perdere, egli è
mestieri che ritorniate subito a palazzo a condurvi il dono e la dote
della principessa Badroulboudour chiestomi dal Sultano, affinché
giudichi dalla mia sollecitudine e dalla mia esattezza, dello zelo
ardente e sincero che ho di procurarmi l’onore del suo parentado.
Senza aspettar la risposta di sua madre,
Aladino aprì la porta sulla strada e vi fece sfilare successivamente
tutti gli schiavi, facendo camminare uno schiavo bianco seguito da uno
nero, caricato da un bacino d’oro sul capo, e così fino all’ultimo.
E dopo che sua madre fu uscita seguendo
l’ultimo schiavo nero, chiuse la porta e rimase tranquillamente nella
sua camera.
Il primo degli ottanta schiavi giunse alla
porta della prima corte del palazzo, e i portinai, che s’erano
disposti in fila appena avevan veduto che
quel meraviglioso corteggio s’approssimava, lo presero per un re, tanto
era riccamente e magnificamente vestito.
Eglino s’avanzarono per baciargli il lembo
della veste; ma lo schiavo, istruito dal Genio, li arrestò, e loro
gravemente disse:
— Noi non siamo che schiavi, il nostro
padrone comparirà quando sarà tempo.
Il primo schiavo seguito da tutti gli altri
si avanzò fino alla seconda corte che era molto spaziosa, e dove la casa
del Sultano era adunata durante il Divano.
Essendo il sultano stato avvertito
dell’arrivo di quegli schiavi, aveva dato i suoi ordini per farli
entrare.
Perciò appena si presentarono trovarono
libero l’ingresso al Divano, e vi entrarono in bell’ordine una parte a
destra e l’altra a sinistra. Dopo che tutti furono entrati ed ebbero
formato un gran semicerchio [439]
innanzi al trono del Sultano, gli schiavi
neri posarono ciascuno il bacino che portavano sul tappeto. Gli schiavi
bianchi fecero la stessa cosa nello stesso tempo.
La madre di Aladino,
che intanto s’era avanzata fino ai piedi del trono, disse al Sultano
dopo essersi prostrata:
— Sire, Aladino mio figliuolo, non ignora che
questo dono che invia alla Maestà Vostra, non sia molto al disotto di
quello che merita la principessa Badroulboudour. Egli spera nondimeno
che la Maestà Vostra vorrà aggradirlo, e farlo aggradire eziandio alla
principessa con altrettanta maggior confidenza, in quanto che si è
studiato di conformarsi alla condizione che le è piaciuto imporgli.
Il Sultano non era in istato di fare
attenzione al complimento della madre di Aladino.
Il primo sguardo dato sui quaranta bacini
d’oro colmati di gioielli più vivaci, splendidi e preziosi che si
fossero mai veduti al mondo, e sugli ottanta schiavi che sembravano
altrettanti re, sì pel loro bell’aspetto, come per la magnificenza
sorprendente de’ loro abiti, l’aveva tocco in un modo che non poteva
riaversi dalla sua ammirazione.
Laonde, per rimandare la madre di Aladino
colla soddisfazione che si aspettava, le disse:
— Buona donna, andate a dire al figliuol
vostro che io l’aspetto per riceverlo a braccia aperte, per
abbracciarlo, e che più farà presto a venire a ricevere dalla mia mano
il dono che gli fo della principessa mia figliuola, più mi farà piacere.
Appena la madre di Aladino si fu ritirata,
colla gioia di cui una donna della sua condizione può esser capace,
vedendo suo figlio pervenuto ad una sì grande altezza contro ogni sua
aspettativa, il Sultano pose fine all’udienza di quel giorno.
La madre di Aladino intanto arrivò in sua
casa con un aspetto che dimostrava anticipatamente la buona notizia che
portava.
— Figliuol mio — diss’ella
— voi avete ogni cagione di esser contento; voi siete giunto al
compimento dei vostri desideri contro la mia aspettazione, contro tutto
quello che ve ne ho presagito. Affine di non tenervi lungo tempo
oppresso, sappiate che il Sultano, coll’approvazione di tutta la corte,
ha dichiarato che voi siete degno di possedere la principessa
Badroulboudour. Egli vi aspetta per abbracciarvi e per conchiudere le
vostre nozze.
[440]
Aladino, fuori di sé per questa notizia e tutto pieno dell’oggetto che
l’aveva innamorato, disse poche parole a sua madre, e si ritirò nella
sua camera.
Quivi dopo aver preso la lampada che gli era
stata sì officiosa fino allora in tutt’i suoi bisogni ed in tutto quello
che aveva desiderato, non appena l’ebbe strofinata, il Genio continuò a
mostrargli la sua obbedienza, apparendo subito, senza farlo attendere.
— Genio — gli disse Aladino — io t’ho
chiamato affinché tu mi faccia immantinente prendere il bagno, e quando
l’avrò preso voglio che tu mi tenga pronto un abito tanto ricco e
magnifico, che mai monarca abbia portato.
Appena ebbe terminato di parlare, il Genio
rendendolo invisibile come lui, lo rapì e lo trasportò in un bagno tutto
di finissimo marmo.
Senza vedere chi lo serviva, fu spogliato in
un salone spazioso e d’una grande magnificenza.
Dal salone lo si fece entrare nel bagno
ch’era di un calore moderato, e dove fu strofinato e lavato con più
specie di acque d’odore. Dopo averlo fatto passare per tutti i gradi di
calore, secondo le differenti camere del bagno, egli ne uscì, ma tutto
diverso da quello che v’era entrato. Il suo aspetto si trovò fresco,
bianco, vermiglio, ed il suo corpo assai più leggiero ed assai più
disposto.
Rientrato nel salone non vi trovò l’abito che
vi aveva lasciato, avendo il Genio avuto cura di mettere in suo luogo
quello che gli aveva chiesto.
Aladino rimase sorpreso nel vedere la
magnificenza dell’abito che gli si era sostituito. Egli si vestì
coll’aiuto del Genio, ammirandone ciascuna parte, tanto oltrepassava
ogni sua immaginazione.
Quando ebbe terminato, il Genio lo ricondusse
in sua casa nella stessa camera in cui l’aveva preso e gli chiese se
aveva altra cosa a comandargli:
— Sì, — rispose Aladino — io aspetto da te al
più presto un cavallo, che sorpassi in bellezza ed in bontà il cavallo
più stimato che sia nella scuderia del Sultano. Io voglio anche che tu
mi faccia venire nello stesso tempo venti schiavi vestiti riccamente ed
altrettanto maravigliosi quanto quelli che hanno portato il dono, per
camminare ai miei fianchi ed al mio seguito in ischiera, e venti altri
simili per camminare innanzi a me in due file. Fa’ venire anche a mia
madre sei donne schiave per servirla, ciascuna vestita riccamente almeno
quanto le schiave della principessa Badroulboudour,
e cariche ciascuna d’un abito compiuto,
magnifici e pomposi quanto quelli della Sultana. Ho bisogno anche di
diecimila monete d’oro in dieci borse. Ecco — soggiuns’egli — ciò che
avevo a comandarti: va’ e fa’ subito.
Appena Aladino ebbe terminato di dare ordini
siffatti al Genio, questi disparve e poco dopo si fece vedere col
cavallo, coi quaranta schiavi, di cui dieci portavano ciascuno una borsa
di mille monete d’oro, e con sei schiave cariche sulla testa ciascuna di
un abito differente per la madre di Aladino avviluppato in una tela
d’argento, ed il Genio presentò il tutto ad Aladino.
Delle dieci borse Aladino non ne prese che
quattro, che dette a sua madre, dicendole che gliele dava per servirsene
ne’ suoi bisogni, lasciando le altre sei tra le mani degli schiavi che
le portavano, con ordine di tenerle e di gettarle a manate al popolo
passando per le strade nel cammino che dovevan fare per ridursi al
palazzo del Sultano.
Ordinò anche che tre marciassero innanzi a
lui cogli altri tre a destra e tre a sinistra. Presentò finalmente a sua
madre le sei schiave, dicendole che quelle le appartenevano, che poteva
servirsene come loro padrona, e che gli abiti da quelle portati erano
per uso di lei.
Quando Aladino ebbe disposto tutte le sue
faccende, disse al Genio congedandolo, che lo avrebbe chiamato quando
avrebbe avuto bisogno del suo servigio, ed il Genio immantinente
disparve.
Allora Aladino non pensò più che a rispondere
al più presto al desiderio che il Sultano aveva manifestato di vederlo.
Egli mandò al palagio uno de’ quaranta
schiavi con ordine di dirigersi al capo degli uscieri e di chiedergli
quando potrebbe aver l’onore di andare a gettarsi ai piedi del Sultano.
Lo schiavo non stette lungo tempo a compiere
il suo messaggio, portando per risposta che il Sultano l’attendeva con
impazienza.
Aladino giunse al palagio ove tutto era
disposto per riceverlo.
Quando fu alla seconda
porta voleva scendere a terra per conformarsi all’uso osservato da’ gran
Visir, da’ generali d’esercito e da’ governatori di primo grado: ma il
capo degli uscieri, che ve lo aspettava per ordine del Sultano, ne lo
impedì e l’accompagnò quasi fino alla sala del Consiglio o dell’udienza,
ove l’aiutò a discendere
da cavallo, quantunque Aladino vi si opponesse fortemente e non volesse
soffrirlo, ma non poté riuscirvi.
Appena il Sultano ebbe scorto Aladino, non fu
meno maravigliato di vederlo vestito più riccamente e più magnificamente
che non l’era stato mai egli stesso, che sorpreso, contro la sua
aspettativa del suo buon aspetto, della bella statura e d’una certa aria
di grandezza assai diversa dallo stato di bassezza in cui sua madre era
apparsa innanzi a lui. La sua maraviglia e la sua sorpresa nondimeno non
gli impedirono di alzarsi e di discendere due o tre gradini del suo
trono assai prontamente per impedire ad Aladino di gettarsi a’ suoi
piedi e per abbracciarlo con una dimostrazione piena d’amicizia. Dopo
questa cortesia, Aladino voleva anche gettarsi ai piedi del Sultano, ma
costui lo ritenne per la mano e l’obbligò a sedersi tra il Visir e lui.
Allora Aladino prese la parola e disse:
— Sire, io ricevo gli onori che la Maestà
Vostra mi fa avendo ella la bontà e piacendole di farmeli: ma ella mi
permetterà di dirle non aver io punto dimenticato d’esser nato suo
schiavo, che io conosco la grandezza della sua potenza e che non ignoro
quanto la mia nascita mi mette al disotto dello splendore e dell’altezza
del grado supremo a cui ella è innalzata.
— Figliuol mio — rispose il Sultano
abbracciandolo un’altra volta — io preferisco il piacere di vedervi e di
ascoltarvi a tutti i miei tesori congiunti coi vostri.
Terminando queste parole, il Sultano fece un
segnale, ed immantinente s’intese l’aria rimbombare dal suono delle
chiarine e dei timballi e nello stesso tempo il Sultano condusse Aladino
in un magnifico salone ove venne servito un superbo banchetto.
Il Sultano mangiò solo con Aladino.
Finito il pasto, il sultano fece chiamare il
primo giudice della capitale e gl’impose di stendere il contratto di
matrimonio della principessa Badroulboudour sua figliuola e di Aladino.
Quando il giudice ebbe terminato il contratto
in tutte le forme volute, il sultano chiese ad Aladino se voleva rimaner
nel palagio per terminar le cerimonie delle nozze lo stesso giorno.
— Sire — rispose Aladino — qualunque
impazienza io abbia, di goder pienamente della bontà della Maestà
Vostra, la supplico di volermi permettere che differisca fino a che
abbia fatto edificare un palazzo per ricevere la principessa secondo il
suo merito e la sua dignità. Io
la prego a quest’uopo di concedermi uno
spazio conveniente innanzi al suo, affinché possa più agevolmente fare
la mia Corte. Io non dimenticherò nulla per fare in modo che sia
terminato con tutta la sollecitudine possibile.
— Figliuol mio — gli disse il Sultano —
prendete quanto terreno vi aggrada: il vuoto è troppo grande al mio
palagio ed aveva già pensato in me stesso a riempirlo: ma ricordatevi
che mi par mill’anni di vedervi unito alla mia figliuola per mettere il
colmo alla mia gioia.
Ciò detto, abbracciò un’altra volta Aladino
che accomiatossi dal Sultano colla stessa civiltà come se fosse stato
allevato e vissuto sempre alla Corte.
Aladino risalì a cavallo e ritornò in sua
casa nello stesso ordine che era venuto, attraverso della stessa folla e
delle acclamazioni del popolo, che gli augurava ogni specie di bene e di
prosperità.
Appena fu rientrato ed ebbe messo piede a
terra, prese la lampada e chiamò il Genio, come era solito di fare. Il
Genio senza farsi aspettare apparve.
— Genio, — gli disse Aladino — io ho cagione
di lodarmi della tua esattezza ad eseguire puntualmente quanto ho voluto
da te fino al presente per la potenza di questa lampada tua padrona. Si
tratta oggi che, per amore di lei, tu faccia apparire, se è possibile,
più zelo ed obbedienza che non abbia ancora fatto. Ti domando dunque in
altrettanto poco tempo che potrai, tu mi faccia edificare, rimpetto al
palazzo del Sultano a una giusta distanza, un palazzo degno di ricevervi
la principessa Badroulboudour mia sposa.
Il sole tramontava allorché Aladino terminò
d’indicare al Genio la costruzione del palagio che aveva immaginata.
L’indomani all’alba, Aladino, cui l’amore
della principessa non permetteva di dormire tranquillamente, era appena
alzato che il Genio se gli presentò dicendogli:
— Signore, il vostro palagio è terminato,
venite a vedere se ne siete contento.
Recatosi a vederlo ei
trovollo tanto superiore alla sua aspettativa, da non poterlo
sufficientemente ammirare.
Il Genio lo condusse per tutti i luoghi, e
dappertutto non trovò se non ricchezze, proprietà e magnificenza,
con ufficiali e schiavi, tutti vestiti secondo il loro grado, e
secondo i servigi cui eran destinati. Non
mancò come una delle cose principali, di
fargli vedere il tesoro, la cui porta fu aperta dal Tesoriere, ed
Aladino vi vide una quantità di borse di diverse grandezze, secondo le
somme che contenevano, innalzate fino alla volta e disposte in un modo
che facevano piacere a vederle.
Uscendo, il Genio, l’assicurò della fedeltà
del Tesoriere. Lo condusse poscia alle scuderie, ove gli fece osservare
i più bei cavalli che vi fossero al mondo, e i palafrenieri in gran
movimento per strigliarli. Lo fece passare da ultimo per dei magazzini
riempiti di tutte le provvisioni necessarie.
Quando Aladino ebbe esaminato il palagio,
disse al Genio:
— Genio, non si può esser più contento di
quel che io lo sono, ed avrei torto di lagnarmi. Resta una sola cosa di
cui non t’ho nulla detto, per non averci prima pensato ed è di stendere
dalla porta dell’appartamento destinato alla principessa in questo
palazzo un tappeto del più bel velluto, affinché ella vi cammini sopra
venendo dal palazzo del Sultano.
— Io ritorno in un momento — disse il Genio.
E appena disparso, poco tempo dopo Aladino fu
maravigliato di vedere che quanto aveva desiderato, era già stato
eseguito.
Il Genio riapparve e riportò Aladino in sua
casa, nel mentre che si apriva la porta del palazzo del Sultano.
I portinai del palazzo che allora aprivano la
porta e che avevano avuto sempre la veduta libera dalla parte in cui era
quello di Aladino, furono assai meravigliati di vederla limitata e di
vedere un tappeto di velluto che si stendeva da quella parte fino alla
porta del palazzo del Sultano. Essi non distinsero dapprima bene ciò che
fosse: ma la loro sorpresa si aumentò quando ebbero veduto chiaramente
il palazzo di Aladino.
La nuova d’una maraviglia così sorprendente
fu tosto diffusa in tutto il palagio in pochissimo tempo.
Quando Aladino fu riportato in sua casa e che
ebbe congedato il Genio, trovò che sua madre s’era alzata, e che
cominciava ad abbigliarsi di uno di quegli abiti che le aveva fatto
portare.
Verso l’ora che il
Sultano stava per uscire dal consiglio, Aladino dispose sua madre ad
andare al palazzo colle stesse schiave che il Genio le aveva fornito. La
pregò che vedendo il Sultano gli dicesse ch’ella
andava per aver
l’onore di accompagnare la principessa verso sera quando sarebbe in
istato di passare al suo palagio.
Aladino salì a cavallo, e dopo essere uscito
dalla sua casa paterna per non più ritornarvi, senza aver dimenticato di
prendere con sé la lampada maravigliosa il cui soccorso gli era stato sì
vantaggioso per giungere al colmo della sua felicità, andò pubblicamente
al suo palazzo colla stessa pompa in cui era andato a presentarsi al
Sultano il giorno innanzi.
I custodi del palazzo appena ebbero scorto la
madre di Aladino che veniva, ne avvertirono il Sultano.
La madre di Aladino fu onorevolmente ricevuta
nel palazzo ed introdotta nell’appartamento della principessa
Badroulboudour dal capo degli eunuchi.
La principessa appena la vide andò ad
abbracciarla e le fece prender posto sul suo sofà, e mentre le sue donne
terminavano di vestirla ed ornarla dei più preziosi gioielli, la fece
regalare d’una colazione magnifica. Quando la notte fu venuta, la
principessa prese congedo dal Sultano suo padre.
I loro addii furono teneri e misti di
lacrime, si abbracciarono più volte senza nulla dirsi, finalmente la
principessa uscì dal suo appartamento mettendosi in cammino colla madre
di Aladino alla sua sinistra, e seguita da cento schiave vestite con una
magnificenza sorprendente.
La principessa arrivò
finalmente nel nuovo palagio, ed Aladino corse con tutta la gioia
immaginabile all’ingresso dell’appartamento che le era destinato per
riceverla.
La madre di Aladino aveva avuto cura di far
distinguere il figliuolo alla principessa nel mezzo degli ufficiali che
lo circondavano, e la principessa scorgendolo, lo ritrovò sì ben fatto,
che ne rimase tutta compiaciuta.
— Adorabile principessa — le disse Aladino
avvicinandosele, e salutandola con grandissimo rispetto — se avessi la
sciagura di dispiacervi per la temerità che ho avuta di aspirare al
possesso di una sì amabile principessa figliuola del mio Sultano, oso
dirvi che dovreste accagionare i vostri begli occhi e le vostre
bellezze, non già per me.
— Principe, poiché così debbo trattarvi
presentemente — gli rispose la principessa — io obbedisco alla volontà
del Sultano mio padre e mi basta avervi veduto per dirvi che gli
obbedisco senza ripugnanza.
La principessa Badroulboudour, Aladino e la
madre di questi, si posero a tavola, e subito un coro di strumenti i più
armoniosi, toccati e accompagnati da bellissime voci di donne di rara
bellezza, cominciò un concerto, che durò fino al termine del pasto.
Mezzanotte era vicina, quando secondo il
costume della China, in quel tempo, Aladino si alzò e presentò la mano
alla principessa Badroulboudour per ballare insieme e terminare così le
cerimonie delle loro nozze.
Essi ballarono sì bene, che destarono
l’ammirazione di tutta la compagnia.
Terminando, Aladino senza lasciare la mano
della principessa, passò con lei nell’appartamento, ove il letto nuziale
era preparato.
Così furono terminate le cerimonie ed i
godimenti delle nozze di Aladino e della principessa Badroulboudour.
L’indomani, quando Aladino fu svegliato, i
suoi famigliari si presentarono per abbigliarlo e gli posero un abito
diverso da quello del giorno delle nozze, ma altrettanto ricco e
magnifico.
Poscia fattosi condurre uno dei cavalli
destinati per la sua persona, vi montò sopra e andò al palazzo del
Sultano nel mezzo ad una grossa schiera di schiavi che camminavano
innanzi a lui, a’ suoi lati ed al suo seguito.
Il Sultano lo ricevé con gli stessi onori
della prima volta, l’abbracciò, e dopo averlo fatto sedere presso di lui
sul suo trono, comandò che si servisse la colazione.
— Sire — gli disse Aladino — io supplico la
Maestà Vostra di dispensarmi oggi da quest’onore. Io vengo a pregarla di
venire a prendere un pasto nel palazzo della principessa col suo gran
Visir e i signori della sua Corte.
Il Sultano, concedutagli con piacere questa
grazia si alzò subito. Siccome il cammino non era lungo, volle andarvi a
piedi, preceduto dai paggi e dai principali ufficiali della sua casa.
Più il Sultano s’avvicinava al palazzo di
Aladino, più era tocco nella sua bellezza. Ma quando fu giunto al salone
delle ventiquattro finestre, quando
ne ebbe veduto gli ornamenti e sopratutto le gelosie arricchite di
diamanti, di rubini e di smeraldi, tutte pietre perfette a proporzione
della loro grossezza, e quando Aladino gli ebbe fatto osservare che la
ricchezza era eguale al di fuori, ne fu talmente sorpreso che rimase
come Immobile.
Aladino, che aveva lasciato il Sultano per
dare alcuni ordini, venne a raggiungerlo. il Sultano gli disse:
— Figliuol mio, ecco un salone degno di
essere ammirato a preferenza di tutti quelli che sono al mondo.
Il Sultano intanto discese dal Salone, ed
Aladino lo condusse in quello in cui aveva pranzato colla principessa
Badroulboudour il giorno delle sue nozze.
La principessa arrivò un momento dopo, e
ricevette il Sultano suo padre con un aspetto che gli fece conoscere
quanto fosse contenta del suo matrimonio.
Due tavole si trovarono fornite delle vivande
più delicate e servite tutte in vasellami d’oro.
Il Sultano trovò i cibi di buon gusto, e
confessò che nulla aveva mangiato di più eccellente.
Disse ancora lo stesso del vino, che era
difatti deliziosissimo.
Quello che ammirò di più furono quattro
grandi tavole guarnite e cariche di fiaschi, di bacini d’oro massiccio,
il tutto arricchito di pietre preziose.
Aladino ricevette le lodi del Sultano con
molta modestia, e gli rispose in questi termini:
— Sire, è una gran gloria per me di meritare
la benevolenza e l’approvazione della Maestà Vostra, e quello di cui
posso assicurarla si è che non dimenticherò nulla per meritarmi
maggiormente l’una e l’altra.
Il Sultano ritornò al suo palagio nel modo in
cui v’era venuto senza permettere ad Aladino di accompagnarvelo.
Ogni giorno regolarmente il Sultano appena
s’alzava, non tralasciava d’andare in un gabinetto d’onde si scopriva
tutto il palagio d’Aladino e vi ritornava anche più volte nel corso
della giornata per contemplarlo ed ammirarlo.
Aladino intanto non restava già chiuso nel
suo palazzo; egli aveva cura di farsi vedere più d’una volta in ciascuna
settimana per la città, sia che andasse a fare la preghiera ora in una
moschea ora in un’altra, o di quando in quando andasse a render visita
al gran Visir, il quale affettava di andarlo a corteggiare in certi
giorni della settimana, o che facesse l’onore ai principali della Corte,
ch’egli convitava spesso nel suo palazzo, d’andarli a visitare in casa
loro.
Ciascuna volta che
usciva faceva gettare da due de’ suoi schiavi, che camminavano ordinati
intorno al cavallo, dei pugni di monete nelle strade e nelle piazze per
dove passava, e dove il popolo andava sempre in gran folla.
D’altra parte non un povero si presentava
alla porta del suo palazzo che non ne ritornasse contento.
Intanto Aladino aveva diviso il suo tempo in
modo che non vi era settimana in cui non andasse a caccia almeno una
volta.
Finalmente, senza dar ombra al Sultano, cui
faceva regolarmente la corte, Aladino si era attirato colle sue maniere
affabili e liberali tutta l’affezione del popolo, ed egli era amato più
dello stesso Sultano. Aggiungeva poi a tutte queste belle qualità un
valore ed uno zelo pel bene dello Stato, che non si saprebbe abbastanza
lodare. Ne dette anche delle prove in occasione d’una ribellione verso i
confini del Regno.
Non appena ebbe saputo che il Sultano levava
un esercito per dissiparla, lo supplicò di dargliene il comando, il che
non durò fatica ad ottenere.
Come fu a capo dell’esercito, si condusse in
tutta quella spedizione con tanta diligenza, che il Sultano seppe più
presto essere stati i ribelli disfatti, castigati e dissipati, che il
suo arrivo all’esercito. Quest’azione che rese il suo nome celebre in
tutta l’estensione del Regno, non cambiò punto il suo cuore: egli
ritornò vittorioso, ma così dolce ed affabile, come lo era stato sempre.
Eran già più anni che Aladino si governava
nel modo che abbiamo annunziato, quando il Mago, che gli aveva dato
senza pensarvi il mezzo d’innalzarsi ad una sì alta fortuna, si ricordò
di lui in Africa ov’era ritornato.
Quantunque fino allora si era persuaso che
Aladino era morto nel sotterraneo in cui lo aveva lasciato, gli venne
nonpertanto il pensiero di sapere qual era stato il suo fine.
Essendo molto versato nella geomanzia, trasse
da un armadio un quadrato in forma di cassettina coperta, di cui si
serviva per fare le suo osservazioni: ed assisosi sopra un sofà pose il
quadrato innanzi a lui, lo scoprì, e dopo aver preparato ed eguagliato
la sabbia coll’intenzione di sapere se Aladino era morto nel
sotterraneo, gettò i punti e ne formò l’oroscopo.
Esaminando l’oroscopo per portarne giudizio,
invece di trovare che Aladino era morto nel sotterraneo, scoprì che ne
era uscito invece e che viveva sulla terra in grande splendore
potentemente ricco, marito d’una principessa, amato e rispettato.
Per la rabbia che ne concepì, disse a sé
stesso:
— Questo miserabile figlio di sarto ha
scoperto il segreto e la virtù della
lampada; io aveva creduto la sua morte certa, ed eccolo che gode il
frutto delle mie fatiche e delle mie veglie. Io farò in modo che non ne
goda per lungo tempo, oppure morirò!
E non istette lungo tempo a deliberare sul
partito che aveva a prendere. Il giorno appresso salì sopra un cavallo
che aveva nella sua scuderia e si pose in cammino.
Di città in città e di provincia in provincia
arrivò in Cina, e ben presto nella capitale del Sultano di cui Aladino
aveva sposata la figliuola. Scese in un Khan, o osteria pubblica, ove
prese una camera in affitto, e ove rimase il resto del giorno e la notte
seguente per rimettersi dalla fatica del viaggio.
Si trattava di sapere ove fosse la lampada,
se Aladino l’avesse indosso, o in qual luogo la conservava, e questo il
mago scoprì per mezzo d’una operazione di geomanzia.
Appena giunto dove albergava, prese il
quadrato e la sabbia che portava in tutti i suoi viaggi.
Terminata l’operazione, conobbe che la
lampada stava nel palazzo di Aladino.
— Io l’avrò questa lampada — diss’egli — e
sfido Aladino d’impedirmi di rapirgliela e di farlo discendere fino alla
bassezza d’onde ha preso un sì alto volo.
La sciagura volle per Aladino ch’ei fosse
andato ad una partita di caccia per otto giorni: ed ecco in qual modo il
Mago africano ne fu informato.
Quando ebbe fatto l’operazione che gli
cagionò tanta gioia andò a vedere il portinaio del Khan sotto pretesto
di conversare con lui, e gli disse che aveva veduto il palazzo di
Aladino: e dopo di avervi esagerato quanto aveva veduto di sorprendente,
gli disse:
— La mia curiosità va più lungi, e non sarò
soddisfatto se non vedo il padrone cui appartiene un edificio sì
maraviglioso.
— Non vi sarà difficile di vederlo — rispose
il portinaio — non vi è giorno che non ne dia occasione quando è in
città: ma sono tre giorni che è fuori per una grande caccia che ne deve
durare otto.
Il Mago africano non volle saperne di più.
Prese congedo dal
portinaio, e ritirandosi disse tra sé:
— Ecco il tempo di operare, ed io non debbo
lasciarlo sfuggire.
Andato alla bottega di un fabbricante di
lampade gli disse:
— Maestro, ho bisogno di una dozzina di
lampade di rame. Potete fornirmele?
Il venditore gli disse che ne
mancavano alcune, ma che se voleva aver pazienza fino
all’indomani gliele avrebbe fornite tutte all’ora che avrebbe voluto.
Il Mago vi acconsentì e gli raccomandò che
fossero proprie e ben pulite, e dopo avergli promesso che lo avrebbe
pagato bene, si ritirò nel suo Khan.
L’indomani le dodici lampade furono date al
Mago africano, che le pagò al prezzo chiestogli, senza nulla diminuire.
Le pose in un paniere, di cui s’era
provveduto, e con quello sotto al braccio, andò verso il palazzo di
Aladino: e quando si fu avvicinato si pose a gridare:
— Chi vuol cambiare vecchie lampade con delle
nuove?
A misura che avanzava, i fanciulli i quali
giuocavano sulla piazza l’intesero, accorsero, e si radunarono intorno a
lui con grandi urla guardandolo come un pazzo.
Ripeté sì spesso la stessa cosa, andando e
venendo nella piazza innanzi al palazzo e nei dintorni, che la
principessa Badroulboudour, la quale stava allora nel salone delle
ventiquattro finestre intese.
Ma siccome non poteva distinguere ciò che
gridava a cagione delle urla dei fanciulli che lo seguivano, mandò una
delle schiave che più l’accostavano, a vedere che cosa fosse quel
rumore.
La schiava non istette lungo tempo a
risalire, ed entrò nel salone così di buon umore, che la principessa non
poté impedirsi dal ridere anch’essa guardandola.
— Ebbene, pazza — disse la Principessa — vuoi
tu dirmi perché tu ridi?
— Principessa — rispose la schiava ridendo
sempre — chi potrebbe impedirsi dal ridere vedendo un pazzo con un
paniere sotto al braccio, pieno di belle lampade tutte nuove, che non
domanda di venderle, ma a cambiare con delle vecchie?
Dietro a questo racconto, un’altra schiava
prendendo la parola disse:
— A proposito di
vecchie lampade, non so se la Principessa ha badato che ve n’è una sul
cornicione. Quegli a cui appartiene non sarà certo scontento di trovarne
una nuova Invece di questa vecchia. Se la
Principessa lo
permette, può avere il piacere di provare se questo pazzo lo è tanto, da
darne una lampada nuova, in cambio di una vecchia senza domandare un
compenso.
La lampada, di cui la schiava parlava, era
quella maravigliosa che servì ad Aladino per innalzarsi al punto di
grandezza cui era arrivato, e l’aveva messa egli medesimo sul cornicione
prima di andare alla caccia, nel timore di perderla, ed aveva presa la
stessa precauzione tutte le volte che ci era andato. Ma né le schiave,
né gli eunuchi, né la medesima Principessa vi avevano fatto attenzione
una sola volta fino allora durante le sue assenze.
La principessa Badroulboudour, la quale
ignorava che la lampada fosse tanto preziosa quanto lo era, e che
Aladino avesse un interesse tanto grande quanto n’aveva che non la si
toccasse e che venisse conservata, partecipò alla piacevolezza,
comandando ad un eunuco di prenderla e di andare a fare il cambio.
L’eunuco obbedì, discese dal salone e non
appena fu uscito dal palazzo, che scorse il Mago africano.
Egli lo chiamò, e quando gli fu vicino,
mostrandogli la vecchia lampada, gli disse:
— Dammi una lampada nuova per questa vecchia.
Il Mago africano non dubitò che quella non
fosse la lampada da lui cercata, non potendovene essere altre nel
palazzo di Aladino, in cui tutto il vasellame era d’oro o d’argento.
Laonde la prese prontamente dalle mani
dell’eunuco, e dopo aversela accuratamente posta nel seno, gli presentò
il suo paniere, dicendogli di scegliere quella che più gli piaceva.
L’eunuco scelse, e dopo aver lasciato il
Mago, portò la lampada nuova alla principessa Badroulboudour.
Il Mago africano, come fu fuori dalla piazza
che stava fra i due palazzi, si internò per le strade meno frequentate,
e siccome non aveva bisogno né delle altre lampade né del paniere, posò
il tutto nel mezzo di una strada, ove non v’era nessuno.
Fatto questo, affrettò il passo fino a che
non fu giunto ad una delle porte della città.
Continuando il suo cammino pel sobborgo,
prese alcune provvisioni prima che ne uscisse. Quando fu nella campagna
andò ad un luogo ove nessuno poteva vederlo ed ove restò finn al punto
che giudicò a proposito per eseguire il disegno che l’aveva condotto fin
là. Non si incaricò più della bestia che aveva lasciato al
Khan in cui aveva preso albergo, credendosi
ben risarcito dal tesoro acquistato.
Il Mago africano passò il resto del giorno in
quel luogo fino a notte inoltrata quando le tenebre erano più oscure.
Allora trasse la lampada dal seno e la
strofinò.
A quel richiamo il Genio gli apparve,
chiedendogli subito:
— Che vuoi tu? Eccomi pronto ad obbedirti
come schiavo tuo e di tutti quelli che hanno la lampada alla mano, io e
i miei compagni.
— Io ti comando — rispose il Mago africano —
che in questo punto medesimo tu rapisca il palazzo, che tu e gli altri
schiavi della lampada avete fabbricato in questa città, tale quale è con
tutti i viventi che vi sono, e che tu lo trasporti con me nello stesso
tempo in un tal luogo dell’Africa.
Il Genio senza
rispondergli, coll’aiuto dei suoi compagni, trasportò in pochissimo
tempo il Mago e l’intero palazzo al luogo proprio dell’Africa che gli
aveva indicato.
Noi lasceremo il Mago africano e il palagio
colla principessa Badroulboudour in Africa, per parlare della sorpresa
del Sultano.
Appena il Sultano fu alzato, non mancò
secondo il suo solito di andare nel gabinetto aperto per avere il
piacere di contemplare e di ammirare il palazzo di Aladino.
Guardando dalla parte ove era solito di
vedere quel palazzo, non vide che uno spazio vuoto, tale quale era prima
che vi fosse fabbricato.
La sua meraviglia fu sì grande che rimase
lungo tempo immobile cogli occhi rivolti dalla parte in cui il palazzo
era stato; infine ritornò nel suo appartamento, ove comandò che
immantinenti gli si facesse venire il gran Visir.
Il Visir giunto alla presenza del Sultano gli
disse:
— Sire, la premura con cui la Maestà Vostra
mi fece chiamare, mi ha fatto giudicare che qualche cosa di molto
straordinario sia accaduto, poiché non ignoro che oggi è giorno di
Consiglio e che non dovevo mancare di rendermi al dovere mio tra pochi
momenti.
— Ciò che è accaduto — rispose il Sultano — è
veramente straordinario come tu dici, e ne converrai tu pure. Dimmi, ov’è
il palazzo di Aladino?
— Il palazzo di Aladino, Sire? — chiese a sua
volta il gran Visir con istupore. — Io vi son passato or
ora innanzi e mi è sembrato che stesse al suo
luogo. Edifici così solidi come quello non cangiano di posto così
facilmente.
— Va’ a vedere nel mio gabinetto, e verrai a
dirmi se l’avrai veduto.
Il gran Visir andò al gabinetto aperto, e gli
accadde la stessa cosa che al Sultano.
Quando si fu bene assicurato che il palazzo
di Aladino non trovavasi più ove era stato, ritornò a presentarsi al
Sultano.
— Ebbene hai tu veduto il palazzo di Aladino?
— gli chiese il Sultano.
— Sire — rispose il gran Visir — la Maestà
Vostra può ricordarsi che io ho avuto l’onore di dirle che quel palazzo
il quale faceva il subbietto delle ammirazioni di lei colle sue immense
ricchezze, non era se non un’opera di magia e di mago.
Il Sultano che non poteva disconvenire di ciò
che il gran Visir gli diceva, fu compreso da una collera altrettanto più
grande, in quanto che non poteva confessare la sua incredulità.
— Ov’è — diss’egli — quell’impostore, quello
scellerato, affinché gli faccia mozzare il capo? Va’ ad ordinare a
trenta de’ miei cavalieri di condurmelo carico di catene.
Il gran Visir andò a dar l’ordine del Sultano
ai cavalieri.
Eglino partirono ed incontrarono Aladino a
cinque o sei leghe dalla città che ritornava cacciando.
L’ufficiale gli disse, andandogli incontro:
— Principe Aladino, con grande dispiacere vi
dichiariamo l’ordine ricevuto dal Sultano di arrestarvi e di condurvi
innanzi a lui; però vi supplichiamo di non trovar male che adempiamo al
nostro dovere.
Questa dichiarazione produsse una grande
sorpresa in Aladino, che si sentiva innocente.
Egli chiese all’ufficiale se sapeva di qual
delitto era accusato; a cui quello rispose, che né egli né le sue genti
ne sapevano nulla.
Come Aladino vide che le sue genti erano di
molto inferiori al drappello, e inoltre che quelle si allontanavano,
pose piede a terra dicendo:
— Eccomi, eseguite l’ordine che avete. Io
posso dire nondimeno che non mi sento colpevole di alcun delitto, né
verso la persona del Sultano, né verso lo Stato.
Immantinente gli si passò al collo una catena
assai grossa e molto lunga, con cui lo
si legò anche in mezzo al corpo.
Quando l’ufficiale si fu messo innanzi alla
sua schiera, un Cavaliere prese il capo della catena, e camminando
dietro l’ufficiale condusse Aladino innanzi al Sultano, il quale appena
lo vide, comandò al carnefice di mozzargli il capo.
Quando il carnefice si fu impadronito di
Aladino, gli tolse la catena d’intorno al collo ed al corpo, e dopo
avere steso per terra un tappeto di cuoio tinto dal sangue di una
infinità di malfattori da lui morti, lo fece mettere in ginocchioni e
gli bendò gli occhi.
Dopo ciò trasse dalla guaina la sua sciabola,
prese la sua misura, per dare il colpo, e attese che il Sultano gliene
desse il segnale.
In questo mentre il
popolaccio, memore di tante beneficenze ricevute da Aladino, saputa la
sua disgrazia, forzò la guardia ed empiuto il largo, aveva scalato le
mura del palazzo in più luoghi, e cominciava a demolirlo.
Lo spavento del Sultano fu sì grande quando
ebbe veduto un tumulto così formidabile, che nel momento stesso comandò
al carnefice di rimettere la sua sciabola nel fodero, di toglier la
benda dagli occhi di Aladino, e di lasciarlo libero.
Dette ordine eziandio ai banditori di gridare
che il Sultano gli faceva grazia, e che il popolo si ritirasse.
Quando Aladino videsi libero, si rivolse al
Sultano, dicendogli con voce commovente:
— Sire, supplico la Maestà Vostra di farmi
conoscere qual è il mio delitto.
— Qual è il tuo delitto, perfido! — rispose
il Sultano — non lo sai tu dunque? Sali fin qui — continuò egli — e te
lo farò conoscere.
Egli lo condusse fino al gabinetto aperto, e
quando vi fu giunto:
— Entra — soggiunse — tu devi sapere dov’è il
tuo palazzo; guarda da ogni lato, e dimmi che n’è divenuto?
Aladino allora ruppe il silenzio dicendo:
— Sire, io veggo bene e lo confesso che il
palazzo che ho fatto edificare non è più al luogo in cui stava, io vedo
che è sparito, e non posso dire egualmente alla Maestà Vostra dove può
essere: ma posso assicurarla che io non ho alcuna parte a questo
avvenimento.
— Io non sono già in pena per quel che del
tuo palazzo è divenuto — soggiunse il Sultano. — Io stimo
la mia figliuola un milione di volte di più:
però voglio che tu me la ritrovi, altrimenti ti farò mozzare il capo, e
niuna considerazione me lo impedirà!
— Sire — rispose Aladino — supplico la Maestà
Vostra di concedermi quaranta giorni per fare le mie ricerche: e se in
questo intervallo io non vi riesco, le do la mia parola che porterò la
mia testa ai piedi del suo trono, affinché ella ne disponga a sua
volontà.
— Io ti concedo i quaranta giorni che mi
chiedi — rispose il Sultano.
Aladino si sottrasse alla presenza del
Sultano grandemente umiliato da far compassione.
Attraversò le camere, i corridoi, i cortili
colla testa bassa, senza osare di alzar gli occhi nella confusione in
cui era, e i principali ufficiali della Corte, da lui beneficati in
mille modi, invece di avvicinarsi a lui per consolarlo e per offrirgli
un asilo presso di loro, gli volsero le spalle.
Non potendo più oltre restare in una città in
cui aveva fatta una bella figura, ne uscì e prese la via della campagna.
— Dove andrò mai a
cercare il mio palazzo? In qual provincia, in qual paese, in qual parte
del mondo lo troverò insieme alla mia cara principessa? Non lo ritroverò
mai più; val dunque meglio che mi liberi da tante fatiche!
Egli s’accingeva a gettarsi nel fiume,
secondo la risoluzione presa, ma credette, da buon mussulmano fedele
alla sua religione, di non doverlo fare senza aver prima fatto la sua
preghiera.
Volendo prepararvisi, si avvicinò alla sponda
del fiume per lavarsi le mani ed il viso secondo il costume del paese.
Ma siccome quel luogo era un poco in declivio
e bagnato dall’acqua che vi batteva, così scivolò, e sarebbe caduto nel
fiume se non si fosse rattenuto ad un piccolo scoglio che sporgeva fuori
dalla terra circa due piedi.
Felicemente per lui portava ancora l’anello
che il Mago africano gli aveva messo in dito prima che discendesse nel
sotterraneo.
Rattenendosi adunque, strofinò fortemente
l’anello contro lo scoglio, e immantinente lo stesso Genio apparsogli
nel sotterraneo in cui il Mago africano lo aveva chiuso, gli apparve
un’altra volta, dicendogli:
— Che vuoi? Eccomi pronto ad obbedirti come
schiavo tuo e di tutti quelli che
hanno l’anello al dito, io e gli altri schiavi dell’anello.
Aladino, piacevolmente sorpreso da
un’apparizione sì poco aspettata nella disperazione in cui stava
immerso, rispose:
— Genio, salvami una seconda volta
insegnandomi ov’è il palazzo che ho fatto fabbricare, e facendo in modo
che sia portato immantinenti al luogo ov’era.
— Quello che tu mi chiedi — soggiunse il
Genio — non è in mio potere di concederti, non essendo io che schiavo
dell’anello; rivolgiti adunque allo schiavo della lampada.
— Quand’è così — riprese Aladino — io ti
comando dunque, per la potenza dell’anello, di trasportarmi fino al
luogo in cui è il mio palazzo, dove che sia, e di posarmi sotto le
finestre della principessa Badroulboudour.
Appena ebbe terminato di parlare, il Genio lo
prese e lo trasportò in Africa, nel bel mezzo d’una prateria ove stava
il palazzo poco lontano da una grande città, e lo posò precisamente
sotto le finestre dell’appartamento della principessa, ove lo lasciò.
Tutto ciò avvenne in un istante.
Guardando prima di tutto quell’edificio,
provò una gioia inesprimibile d’esser sul punto di ridivenirne padrone,
e nello stesso tempo di ripossedere la sua cara principessa; ed
alzatosi, si accostò all’appartamento della principessa aspettando che
si facesse più chiaro il giorno e che potesse esser veduto.
Quando la principessa
fu vestita una delle sue donne guardando a traverso d’una persiana,
scorse Aladino, e immantinente andò a darne contezza alla sua padrona,
la quale, non prestando fede a quella notizia, andò subito ad
affacciarsi alla finestra e scorgendolo aprì la persiana.
Aladino avendo alzata la testa, e scortala,
la salutò in modo che esprimeva l’eccesso della sua gioia.
— Per non perder tempo — gli disse la
principessa — si è andato ad aprirvi la porta segreta, entrate e salite.
E ciò detto, chiuse la gelosia.
La porta segreta stava sotto l’appartamento
della principessa, ed Aladino, trovatala aperta, salì all’appartamento
di lei.
Non è possibile esprimere la gioia di quei
due sposi nel rivedersi: dopo essersi abbracciati più volte, si
dettero tutte le prove d’amore e di tenerezza
che immaginar si possano.
Dopo questi abbracci misti di lagrime e di
gioia si sedettero, ed Aladino, prendendo la parola, disse:
— Principessa, prima di ogni altra cosa, vi
supplico in nome di Dio, per vostro interesse, per quello del Sultano
vostro rispettabile padre, e pel mio in particolare, di dirmi ciò che è
divenuto d’una vecchia lampada che io aveva messa sul cornicione del
salone a ventiquattro finestre prima di andare alla caccia?
— Ah, caro consorte — rispose la principessa
— io aveva ben dubitato che la nostra reciproca sciagura provenisse da
questa lampada, e ciò che mi desola è che io medesima ne sono la causa.
— Principessa — soggiunse Aladino — non ve ne
attribuite già la causa, essendo tutta mia perché avrei dovuto esser più
cauto nel conservarla. Intanto non pensiamo che a riparare a simil
perdita, ed a tal uopo fatemi la grazia di raccontarmi in qual guisa la
cosa è andata, ed in quali mani si trova!
Allora la principessa Badroulboudour raccontò
ad Aladino quanto era accaduto nel cambio della lampada vecchia per la
nuova, che essa si fece portare affinché la vedesse, e come la notte
seguente, erasi accorta del trasporto del palazzo, s’era trovata la
mattina nel paese sconosciuto in cui gli parlava e che era l’Africa,
particolarità che aveva saputo dalla bocca medesima del traditore mago.
— Principessa — disse Aladino interrompendola
— voi mi avete fatto conoscere il traditore dicendomi che sono
nell’Africa con voi. Esso è il più perfido di tutti gli uomini. Ma
questo non è né il tempo né il luogo di darvi una pittura più ampia
delle sue malvagità. Io vi prego solamente di dirmi ciò che ha fatto
della lampada e dove l’ha messa.
— Egli la porta al suo seno avviluppata
preziosamente — rispose la principessa — e posso farvene testimonianza
poiché l’ha tratta più volte in mia presenza per farsene un trofeo.
— Mia cara principessa — disse allora Aladino
— non mi sappiate malgrado di tante inchieste di cui vi opprimo poiché
esse sono egualmente importanti per voi, e per me. Per venire a ciò che
v’interessa più particolarmente, ditemi, ve ne scongiuro, come vi tratta
un uomo sì cattivo e perfido?
— Dacché sono in questo luogo — rispose la
principessa — non si è presentato innanzi a me che una
volta in ciascun giorno, e sono ben persuasa
che la poca soddisfazione che ricava dalle sue visite fa che non
m’importuni più spesso. Io nondimeno dubito che la sua intenzione non
sia di lasciar passare i miei più vivi dolori, nella speranza che io
cangerò di sentimento e affine di usare la violenza se persevero a
resistergli. Ma, caro sposo, la vostra presenza ha già dissipato le mie
inquietudini.
— Principessa — interruppe Aladino — credo
che non invano sien dissipate, poiché mi sembra aver trovato il mezzo di
liberarci ambedue da questo nemico. Ma per ciò è necessario ch’io vada
in città. Sarò di ritorno verso il mezzodì, e allora vi comunicherò qual
è il mio disegno, e ciò che bisognerà che voi facciate per contribuire a
farlo riuscire. Intanto siate avvertita di non maravigliarvi se ritorno
con un altro abito, ed ordinate che non mi si faccia attendere alla
porta segreta al primo colpo che darò.
La principessa gli promise che lo si
attenderebbe alla porta, e che si starebbe pronti ad aprirgli.
Quando Aladino fu disceso dall’appartamento
della principessa ed uscito per la medesima porta, guardò dall’un lato e
dall’altro, e scorse un contadino che prendeva la via della campagna.
Siccome il contadino andava al di là del
palazzo e si era già un poco allontanato, Aladino sollecitò il passo, e
quando l’ebbe raggiunto gli propose di cangiar d’abito e fece tanto che
il contadino vi acconsentì.
Il cambio si fece nel
mezzo d’un cespuglio, e quando si furon separati, Aladino prese il
cammino della città.
Appena vi fu entrato prese la strada che
metteva capo alla porta ed intromettendosi nelle strade più frequentate
arrivò al luogo ove ciascuna specie di mercanti e d’artigiani avevano la
loro strada particolare.
Entrò in quella dei droghieri, e direttosi
alla più grande e meglio fornita bottega, domandò al mercante se aveva
una certa polvere che gl’indicò.
Il mercante la pesò, la incartocciò e dandola
ad Aladino ne chiese una moneta d’oro.
Aladino gliela mise tra le mani, ritornò al
suo palazzo e salì all’appartamento della principessa Badroulboudour.
— Principessa — le disse — se volete seguire
il mio consiglio, comincierete da questo momento col vestirvi con uno
de’ vostri abiti più belli, e quando il Mago africano verrà, non farete
difficoltà di riceverlo con tutta la
buona accoglienza possibile; invitatelo a cenare con voi, e ditegli che
avreste grandissimo desiderio di assaggiare il miglior vino del suo
paese. Egli non mancherà di abbandonarvi per andarne a cercare ed
allora, aspettando che egli ritorni, mettete questa polvere in uno dei
bicchieri simili a quelli in cui avete uso di bere, e mettendolo da
parte, avvertite quella tra le vostre donne che vi darà da bere di
portarvelo pieno di vino al segno che le farete.
Quando il Mago sarà ritornato e che sarete a
tavola, dopo aver mangiato e bevuto quanto giudicherete a proposito,
fatevi portare il bicchiere ove sarà la polvere e cangiatelo col suo.
Egli troverà un tale favore sì grande che non ricuserà di farlo, e berrà
anche senza nulla lasciare nel bicchiere, e appena lo avrà vuotato lo
vedrete cader rovescioni.
Così accordatosi colla principessa, Aladino
tolse congedo da lei, e andò a passare il resto del giorno nei dintorni
del palazzo, aspettando la notte per avvicinarsi alla porta segreta.
Il Mago africano non mancò di venire alla sua
solita ora.
Appena la principessa lo vide entrare nel
salone delle ventiquattro finestre, ove l’aspettava, ella s’alzò con
tutto il suo apparecchio di bellezza e di grazia, e gli mostrò colla
mano il luogo distinto ove aspettava che si mettesse a sedere insieme
con lei, somma cortesia ch’ella non gli aveva mai usato.
Il Mago africano più abbagliato dallo
splendore dei begli occhi che dal fulgore delle pietre preziose di cui
stava ornato, fu sorpreso.
Dapprima voleva sedere sulla sponda del sofà,
ma come vide che la principessa non voleva prender posto se prima egli
non si sedeva ove egli desiderava, obbedì. Quando il Mago africano fu
seduto, la principessa per trarlo d’impaccio in cui lo vedeva, prese la
parola, guardandolo in modo da fargli credere che non le fosse più
odioso, come essa aveva fatto apparire fino a quel momento e gli disse:
— Voi vi maraviglierete senza dubbio di
vedermi oggi diversa da quel che mi avete veduta finora; ma non ne
sarete più sorpreso quando vi dirò che io sono d’un carattere sì opposto
alla tristezza, alla malinconia, al cordoglio ed alle inquietudini che
cerco allontanarli al più presto possibile, appena vedo che la cagione
n’è passata. Io ho riflettuto sopra quanto m’avete detto del destino di
Aladino e dell’umore di
mio padre che conosco, e son persuasa
come voi che non ha potuto evitar l’effetto terribile del suo corruccio.
Però, quando anche m’ostinassi a piangerlo
per tutta la vita, vedo bene che le mie lacrime non lo farebbero
rivivere. Ed è per questo che dopo avergli reso anche fino alla tomba i
doveri che il mio amore m’imponeva, m’è sembrato che dovessi cercare
tutti i mezzi per consolarmi. Ecco la cagione del cambiamento che voi
vedete in me. Per cominciar dunque ad allontanar ogni soggetto di
tristezza, risoluta a bandirla interamente, e persuasa che volentieri mi
terrete compagnia, ho comandato che ci si preparasse la cena. Ma siccome
non ho che vino della China, or che mi trovo in Africa, mi ha preso
molto desiderio di assaggiare quello di questo stesso paese ed ho
creduto, se mai ve ne ha, che voi ne crederete del migliore.
Il Mago che aveva tenuto come impossibile la
felicità di pervenire sì prontamente e sì facilmente a entrare nelle
buone grazie della principessa Badroulboudour, le disse che non trovava
termini sufficienti per manifestarle quanto fosse sensibile alle sue
bontà: ed infatti per finire, più presto un colloquio dal quale avrebbe
avuto pena a trarsi se vi si fosse impegnato prima, prese a parlare del
vino d’Africa di cui gli aveva fatto parola, e le disse che i vantaggi
di cui l’Africa poteva andare altera, quello di produrre eccellenti vini
era uno dei principali, particolarmente nella parte in cui ella si
trovava; che ne aveva una quantità posta in serbo da sette anni la quale
non era stata ancora toccata, e che senza troppo lodarlo, era un vino il
quale sorpassava in bontà i più eccellenti di tutto l’universo.
— Se la principessa — aggiunse egli — vuol
permetterlo andrò a prenderne due bottiglie e sarò di ritorno sul
momento.
— Mi dispiace cagionarvi questo incomodo —
gli rispose la principessa — sarebbe meglio che mandaste qualcheduno.
— È necessario che ci vada io stesso —
soggiunse il Mago — niun altro sa dove è posta la chiave del magazzino e
niun altro eziandio sa il segreto d’aprirlo.
— Quando è così —
rispose la principessa — andate.
Il Mago africano pieno di speranza nella sua
pretesa felicità, non solo corse a cercare il suo vino di sette anni, ma
volò piuttosto, e ritornò prestissimamente.
La principessa la quale aveva supposto che
sarebbe stato sollecitamente di ritorno, gettò ella stessa la
polvere che Aladino le aveva portata in un
bicchiere che mise a parte, e quando lo vide comparire, comandò che si
servisse la tavola.
Eglino si assisero a tavola, di maniera che
il Mago avesse le spalle rivolte alla credenza.
Dopo che ebbero mangiato alcuni bocconi, la
principessa chiese da bere. Ella bevve alla salute del Mago e quando
ebbe bevuto gli disse:
— Voi avete ragione di far l’elogio del
vostro vino: mai ne ho bevuto di sì delizioso!
— Leggiadra principessa — rispose egli
tenendo in mano il bicchiere che gli si era presentato — il mio vino
acquista una nuova bontà per l’approvazione che voi gli date.
— Bevete alla mia salute — soggiunse la
principessa — voi troverete che io me ne intendo.
Egli bevve alla salute della principessa, e
guardando il bicchiere disse:
— Principessa, io mi stimo felice di aver
conservato questo vino per una sì buona occasione, e vi confesso che in
tutta la mia vita non ne ho mai bevuto dell’eccellente come questo.
Quando ebbe continuato a mangiare ed a bere
tre altre coppe, la principessa che aveva finito di ammaliare il Mago
colle sue maniere obbliganti, dette finalmente il segnale alla donna che
le dava da bere, dicendo in pari tempo che le si portasse il suo
bicchiere pieno di vino; che si empisse egualmente quello del Mago
africano e gli si presentassero ad entrambi.
Quando ebbero ciascuno il bicchiere in mano,
ella disse al Mago:
— Io non so come si usa fra voi quando
veramente si ama e si beve insieme come noi facciamo. Presso noi, nella
China, gli amanti presentano reciprocamente il loro bicchiere, ed in tal
guisa bevono alla salute l’uno dell’altro.
Nello stesso tempo ella gli presentò il
bicchiere che teneva, avanzando l’altra mano per ricevere quello del
Mago africano.
Egli si affrettò a fare questo cambio con
tanto maggior piacere in quanto che stimò questo favore come la prova
più certa dell’intera conquista del cuore della principessa: il che lo
mise al colmo della sua felicità.
Quando l’ebbe vuotato, siccome aveva la testa
inclinata indietro per mostrare la sua sollecitudine, restò qualche
tempo in quello stato fino a che la principessa, la quale aveva sempre
l’orlo del bicchiere sulle sue labbra,
lo vide girar gli occhi e cader rovescioni senza sentimento.
La principessa non ebbe bisogno di comandare
che si andasse ad aprire la porta segreta ad Aladino.
Aladino salì ed entrò nel salone.
— Principessa — diss’egli — abbiate la bontà
di ritirarvi nel vostro appartamento e fate in modo che mi si lasci
solo.
Difatti, quando la principessa fu fuori del
salone colle sue donne ed i suoi eunuchi, Aladino chiuse la porta e dopo
che si fu avvicinato al cadavere del mago africano, aprì la sua veste e
ne trasse la lampada, la strofinò, ed immantinente il Genio si presentò
col suo solito complimento.
— Genio — gli disse Aladino — io ti ho
chiamato per ordinarti da parte della lampada, tua padrona che tu vedi,
di fare che questo palazzo sia riportato sul momento alla China nello
stesso luogo dond’è stato portato qui.
Il Genio, dopo aver dimostrato con una
inclinazione di capo che obbediva, disparve.
Difatti il trasporto si fece e non lo sì
sentì che per due leggerissime agitazioni, l’una quando il palazzo fu
tolto da dove stava in Africa, e l’altra quando fu posto nella China a
fronte del palazzo del Sultano; il che si compì in un intervallo di
pochissima durata.
Dopo il rapimento del palazzo di Aladino e
della principessa Badroulboudour, il Sultano di lei padre era
inconsolabile di averla perduta.
Sorgeva appena l’aurora quand’ei si recò nel
suo gabinetto guardò tristamente dalla parte della piazza, ove non
credeva vedere se non l’aria libera senza scorgere il palazzo, ma vide
che quel vuoto era colmato.
Allora la gioia successe al cordoglio ed alla
tristezza, e ritornato nel suo appartamento a solleciti passi comandò
che gli fosse sellato il cavallo.
Aladino, che aveva preveduto ciò che doveva
accadere, si era alzato sul far del giorno, e appena preso uno degli
abiti più magnifici della sua guardaroba, era salito al salone delle
ventiquattro finestre d’onde vide venire il Sultano. Discese subito al
basso della gran scala, e lo aiutò a discendere da cavallo.
— Aladino — gli disse il Sultano — io non
posso parlarvi, se prima non ho veduto ed abbracciato la mia diletta
figliuola.
Aladino condusse il Sultano all’appartamento
della principessa.
Il Sultano l’abbracciò a più riprese, col
volto bagnato di lagrime di gioia, e la principessa da parte sua gli
dette tutte le prove del piacere estremo che aveva di rivederlo.
Intanto Aladino faceva levare il cadavere del
Mago africano, con ordine di gettarlo nella campagna per servir da pasto
agli animali ed agli uccelli.
In tal modo Aladino sfuggì per la seconda
volta al pericolo quasi inevitabile di perdere la vita: ma non fu
l’ultimo, correndone un terzo, di cui stiamo per narrare i particolari.
Il Mago africano aveva un fratello cadetto il
quale non era meno abile di lui nell’arte magica.
Qualche tempo dopo che il Mago africano ebbe
soggiaciuto nella sua impresa contro la felicità di Aladino, il suo
cadetto, il quale non aveva avuto sue nuove da più di un anno, e che non
stava in Africa, ma in un paese lontanissimo, volle sapere in qual luogo
si trovasse.
Quando il Mago ebbe saputo qual era stata la
triste fine di suo fratello, non perdette tempo.
Avendo risoluto sul momento di vendicare la
sua morte, salì a cavallo e si pose in cammino, prendendo la strada
della China.
Arrivò finalmente alla capitale che la
geomanzia gli aveva insegnato.
L’indomani del suo arrivo il Mago intese a
raccontare meraviglie della virtù e della pietà d’una donna ritirata dal
mondo chiamata Fatima, ed anche dei suoi miracoli. Il Mago non volle
saperne di più su quest’articolo: ma domandò solamente in qual quartiere
stava l’eremo di quella santa donna.
Quando ebbe ben bene notata la casa, si
ritirò in uno dei luoghi dove si prendeva una certa bevanda calda.
Il Mago, dopo aver pagato la poca spesa che
aveva fatta, uscì verso la mezzanotte e andò diritto all’eremo di
Fatima.
Egli s’avvicinò a lei e tratto un pugnale che
teneva allato, la svegliò.
Aprendo gli occhi, la povera Fatima fu assai
meravigliata di vedere un uomo pronto a pugnalarla.
Egli, appoggiandole il pugnale contro il
cuore, pronto a trapassarglielo, le disse:
— Se tu gridi o fai il menomo rumore, io ti
uccido: Alzati e fai quanto ti dirò!
Fatima, che stava coricata vestita, si alzò
tremando dallo spavento.
— Non temere — le disse il Mago — io chieggo
solo il tuo abito, dammelo e prendi il mio.
Essi fecero il cambio, e quando il Mago si fu
vestito di quello di Fatima, le disse:
— Colorami il viso come il tuo, in guisa che
ti rassomigli e che il colore non si cancelli.
Fatima lo fece entrare nella sua cella,
accese la sua lampada, e prendendo un certo liquore in un vaso con un
pennello gliene strofinò il viso, assicurandogli che il colore non
cangerebbe punto.
Finalmente dopo avergli posto un grosso
mantello attorno al collo, che gli pendeva dinanzi fino alla metà del
corpo, gli dette in mano lo stesso bastone che aveva costume di portare.
Il Mago si trovò come l’aveva desiderato, ma
non tenne alla Fatima il giuramento che ei le aveva fatto cotanto
solennemente. Affinché non si vedesse del sangue ferendola, col suo
pugnale, la strangolò, e quando vide che aveva esalato l’anima, trascinò
il suo cadavere pei piedi fino alla cisterna dell’eremo, e ve lo gettò
dentro.
Siccome una delle prime cose che aveva fatto
arrivando era stata d’andar a riconoscere il palazzo di Aladino, ed era
quivi ove aveva disegnato di rappresentare la sua parte, s’incamminò da
quella banda.
Tosto si vide la santa donna, come tutto il
popolo se l’immaginava, il Mago fu presto circondato da una grande
affluenza di gente.
La principessa domandò che fosse quel
fracasso, e siccome nessuno poteva dirgliene nulla, essa comandò che si
andasse a vedere per rendergliene conto.
Senza uscire dal salone, una delle sue donne
guardò a traverso una gelosia, e ritornò per dirle che il fracasso
veniva dalla folla di gente, la quale circondava la santa donna.
La principessa, che da lungo tempo aveva
inteso dire molto bene della santa donna, ma che non l’aveva ancora
veduta, ebbe la curiosità di vederla e di parlare con lei.
Il capo degli eunuchi, che stava presente,
gli disse che se ella lo voleva, gli era facile farla venire e che non
aveva se non a comandarlo.
La principessa avendovi consentito,
immantinenti furono spediti quattro eunuchi con ordine di condurre la
pretesa santa donna.
Appena gli eunuchi furono usciti dalla porta
del palazzo di Aladino, e che si vide ch’essi venivano là dove il Mago
stava travestito, la folla si dissipò, e quando fu libero, scorgendo che
si dirigevano a lui, fece una parte della strada con tanta maggior gioia
in quanto che vedeva la sua furberia prendere una buona piega.
Quello degli eunuchi, che prese la parola,
gli disse:
— La principessa vuol vedervi, venite,
seguiteci.
Quando il Mago, che sotto un abito di santità
celava un cuore diabolico, fu introdotto nel salone delle ventiquattro
finestre, e che ebbe veduta la principessa, esordì con una preghiera che
conteneva una lunga enumerazione di voti e di desiderii per la sua
salute e prosperità, e per il compimento di quanto poteva desiderare.
Quando la falsa Fatima ebbe terminata la sua
arringa, la principessa le rispose:
— Mia buona madre, vi ringrazio delle vostre
preghiere, io vi ho grande confidenza, e spero che Dio lo esaudirà.
Avvicinatevi e sedetevi presso di me.
La falsa Fatima si assise con una modestia
affettata, ed allora, riprendendo la parola, la principessa disse:
— Mia buona madre, io vi domando una cosa che
bisogna m’accordiate; non me la ricusate, ve ne prego; dovete restar con
me affinché mi parliate della vostra vita, ed apprenda da voi e dai
vostri esempi come debba servir Dio.
il Mago, il quale non aveva altro scopo che
d’introdursi nel palazzo di Aladino, ove gli sarebbe stato più agevole
dare esecuzione alla malvagità che meditava, rimanendovi sotto gli
auspici e la protezione della principessa, senza che fosse obbligato
d’andare e venire dall’eremo al palazzo e viceversa, accettò l’offerta
obbligante della principessa.
— Principessa — diss’egli — qualunque
risoluzione una povera e miserabile donna abbia fatto di rinunciare al
mondo, alle sue pompe ed alle sue grandezze, non osa resistere alla
volontà ed al comando d’una principessa sì pia e caritatevole.
Dietro questa risposta del Mago, la
principessa alzandosi gli disse:
— Alzatevi e venite con me; vi farò vedere
gli appartamenti vuoti che ho, affinché scegliate.
Egli seguì la principessa Badroulboudour, e
di tutti gli appartamenti ch’ella gli fece vedere, tutti eleganti e
benissimo mobiliati, scelse quello che gli parve esserlo meno degli
altri dicendo per ipocrisia ch’era troppo buono per lui e che non lo
sceglieva se non per compiacere la principessa.
— Mia buona madre — le disse la principessa —
io son fuori di me per la gioia di possedere una santa donna come voi
che porta seco la benedizione in questo palazzo. A proposito del
palazzo, come vi sembra? Ma prima che ve lo faccia vedere camera per
camera, ditemi, che pensate di questo salone?
A questa domanda la falsa Fatima disse:
— Principessa, questo salone è veramente
ammirabile e di grande bellezza. Nondimeno, per quanto ne può giudicare
una solitaria, la quale non s’intende di ciò che v’ha di bello
nell’universo, mi sembra che vi manchi una sola cosa.
— Quale cosa, buona madre? — chiese la
principessa Badroulboudour.
— Principessa — soggiunse la falsa Fatima con
dissimulazione — perdonatemi la libertà, che mi prendo. Il mio avviso,
se può esser di qualche importanza, sarebbe che se all’alto e nel mezzo
di questa cupola vi fosse un uovo di roc sospeso, questo salone non
avrebbe punto di simile nelle quattro parti del mondo ed il vostro
palazzo sarebbe la più gran meraviglia dell’universo.
— Mia buona madre — chiese di nuovo la
principessa — qual è quest’uccello che si chiama roc, e dove potrebbe
trovarsi un uovo di esso?
— Principessa — rispose la falsa Fatima — è
un uccello di una prodigiosa grandezza che abita la cima del monte
Caucaso.
Dopo aver ringraziata la falsa Fatima del suo
buon avviso, a quanto credeva, la principessa Badroulboudour continuò a
parlare con lei.
Aladino ritornò lo stesso giorno verso la
sera, mentre la falsa Fatima toglieva congedo dalla principessa, e si
ritirava nel suo appartamento.
Giungendovi salì all’appartamento della
principessa, la quale in quel momento vi entrava.
Egli la salutò e l’abbracciò: ma gli parve
ch’ella lo ricevesse con un poco di freddezza.
— Mia principessa — gli disse egli — io non
trovo in voi la giocondità che siete solita di avere. È forse accaduto
qualche cosa durante la mia assenza che vi
abbia dispiaciuto e cagionato rammarico e
malcontento?
— Io aveva creduto con voi — continuò la
principessa — che il nostro palazzo fosse il più superbo, il più
magnifico e il più sorprendente del mondo. Io vi dirò nondimeno ciò che
m’è venuto nel pensiero dopo avere bene esaminato il salone a
ventiquattro finestre. Non trovate come me che non vi sarebbe più nulla
a desiderare se un uovo di roc fosse sospeso nel mezzo della cupola?
— Principessa — rispose Aladino — basta che
voi troviate mancarvi un uovo di roc per trovarvi anch’io lo stesso
difetto. Voi vedrete dalla sollecitudine che userò in ripararlo come non
v’ha nulla che io stesso non faccia per amor vostro.
Tosto Aladino abbandonò la principessa
Badroulboudour e salì al salone delle ventiquattro finestre, e là,
tratta dal seno la lampada che portava sempre sopra di sé, dopo il
pericolo che aveva corso, la strofinò.
Il Genio si presentò subito appena strofinata
la lampada. Aladino gli disse:
— Genio, manca ancora a questa cupola un uovo
di roc sospeso nel mezzo; io ti chiedo in nome della lampada che tengo,
che tu faccia in modo che questo difetto sia riparato.
Aladino non ebbe appena pronunciate queste
parole, che il Genio pose un grido sì penetrante e sì spaventevole, che
il salone ne fu scosso ed Aladino vacillò.
— Come, miserabile! — gli disse il Genio con
una voce da far tremare l’uomo più sicuro — non ti basta che i miei
compagni ed io abbiamo fatto ogni cosa che hai voluto, per domandarmi
con una ingratitudine che non ha pari, che ti porti il mio padrone, e
che lo appenda nel mezzo alla volta di questa cupola? Questo attentato
meriterebbe che fosti ridotto in cenere sul momento, tu, tua moglie ed
il tuo palazzo. Ma felice te di non esserne l’autore, e che la domanda
non viene direttamente da parte tua. Sappi che il vero autore è il
fratello del Mago africano, tuo nemico, che tu hai sterminato come
meritava. Egli sta nel tuo palazzo travestito sotto l’abito di Fatima,
la santa donna da lui assassinata, ed è egli che ha suggerito a tua
moglie la dimanda perniciosa che mi hai fatta. Il suo disegno è di
ucciderti, spetta ora a te il pensarvi!
E ciò detto disparve.
Aladino non perdé neppure una delle ultime
parole del Genio.
Ritornato all’appartamento della principessa
senza parlare di ciò che gli era accaduto, s’assise dicendo che un forte
dolor di capo lo aveva preso tutto ad un tratto, appoggiandosi la mano
contro la fronte.
La principessa immantinente comandò che si
facesse venire la santa donna, e mentre che si andò a chiamarla, essa
raccontò ad Aladino per qual congiuntura si trovava nel palazzo, ov’ella
le aveva dato un appartamento.
La falsa Fatima
giunse, ed appena ne fu tosto entrata:
— Venite mia buona madre — le disse Aladino —
sono assai contento di vedervi, e che la mia gran buona fortuna abbia
voluto che vi foste trovata qui. Io son tormentato da un furioso dolor
di capo, e chieggo il vostro soccorso per la confidenza che ho nelle
vostre preghiere. Spero che non mi ricuserete la grazia che fate a tanti
altri afflitti da questo male.
Ciò detto, si alzò chinando il capo: e la
falsa Fatima si avanzò da canto suo portando la mano ad un pugnale che
aveva alla sua cintura sotto la sua veste.
Aladino che l’osservava, le prese la mano
prima che l’avesse tratta, e trapassandole il cuore la gettò morta sul
pavimento.
— Mio caro sposo, che avete fatto! — esclamò
la principessa nella sua sorpresa — voi avete uccisa quella santa donna!
— No, mia principessa — rispose Aladino senza
muoversi — io non ho uccisa Fatima, ma uno scellerato che m’avrebbe
assassinato, se non l’avessi prevenuto. Questo iniquo uomo che vedete —
soggiunse egli togliendogli il velo — ha strozzato Fatima che voi avete
creduto compiangere accusandomi della sua morte, ed aveva vestito
l’abito di lei per pugnalarmi. Ed affinché lo conosciate meglio,
sappiate che egli era il fratello del Mago africano vostro rapitore.
Aladino le raccontò poscia in qual guisa
avesse saputo queste particolarità. Terminato ch’ebbe di parlare, fece
toglier di là il cadavere.
In tal guisa Aladino fu liberato dalla
persecuzione dei due fratelli Maghi.
Pochi anni dopo venne a morte il Sultano, che
era in una età assai decrepita: e siccome non lasciò figliuoli maschi,
la principessa Badroulboudour, in qualità di legittima erede, gli
successe, e quindi comunicò il suo potere supremo ad Aladino.
Essi regnarono insieme per lunghi anni e
lasciarono una illustre posterità.
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