STORIA DELLA PRINCIPESSA GULNARA
— Sire — disse allora la bella schiava — il
mio nome è Gulnara del Mare; il mio defunto padre era uno dei più
potenti re del mare, e morendo lasciò il suo regno ad un mio fratello
chiamato Saleh ed alla regina mia madre.
Noi vivevamo tranquillamente nel nostro Regno
ed in una pace profonda, quando un nemico invidioso della nostra
felicità entrò nei nostri Stati con un potente esercito, penetrò fino
nella nostra capitale, e se ne impadronì, dandoci solo il tempo di
salvarci in un luogo inaccessibile con alcuni ufficiali fedeli i quali
non ci abbandonarono.
In quell’asilo mio fratello mi chiamò un
giorno in disparte e mi disse:
— Sorella mia gli eventi delle più piccole
imprese possono avere incerta riuscita: io posso soccombere in quella
che medito, di rientrare cioè ne’ nostri Stati, e sarei meno dolente
della mia disgrazia, di quella che potrebbe accadere a voi. Per
prevenirla e preservarvene, desidererei prima vedervi maritata. Ma nel
cattivo stato in cui sono i nostri affari, vedo che non potete sposarvi
con uno dei nostri principi del mare. Desidererei che potreste
risolvervi di sposarvi con un principe della terra.
Questo discorso di mio fratello mi cagionò
una gran collera contro di lui.
Egli mi lasciò tanto poco soddisfatta di me
quanto io lo era di lui, e nel
dispetto che io era mi slanciai dal fondo del mare ed andai ad approdare
all’isola della Luna.
Ad onta del gran disgusto che m’aveva
costretta ad andarmi a gettare in quell’isola, non lasciai di vivervi
assai contenta, e mi ritirai in luoghi remoti, ove stava comodamente.
Nondimeno le mie precauzioni non impedirono
che un uomo di qualche distinzione, accompagnato da domestici, non mi
sorprendesse mentre dormiva e mi condusse seco.
Egli mi dimostrò molto amore e non tralasciò
nulla per persuadermi a corrisponderlo: ma quando vide che non
guadagnava nulla colla dolcezza, credé che sarebbe riuscito meglio colla
forza.
Peraltro io lo feci sì ben pentire della sua
insolenza, che risolse di vendermi, e fui comprata dal mercante, il
quale mi ha condotta e venduta alla Maestà Vostra.
Questo mercante era un uomo saggio, dolce ed
umano, e nel lungo viaggio che mi fece fare non mi ha mai dato occasione
di lagnarmi di lui.
— Riguardo a Vostra Maestà — continuò la
principessa Gulnara — se non aveste avuto per me tutte le
considerazioni, delle quali vi sono obbligata; se non m’aveste dato
prove d’amore con una sincerità della quale non ho potuto dubitare, se
senza esitare non aveste cacciate tutte le vostre mogli, io non sarei
tornata con voi. Io mi sarei gettata in mare dalla finestra di quella
stanza ove m’incontraste la prima volta, e sarei andata a trovare mia
madre, mio fratello ed i miei congiunti.
Per questo, Sire, sia una principessa od un
principe quello che metterò al mondo, sarà un pegno che mi obbligherà a
non separarmi mai più dalla Maestà Vostra; spero anche che non mi
riguarderete più come una schiava, ma come una principessa non indegna
della vostra alleanza.
In tal guisa la principessa Gulnara terminò
di far conoscere e di raccontare la sua storia al re di Persia.
— Mia leggiadra ed adorabile principessa —
esclamò allora quel monarca — voi siete la mia regina e regina di Persia,
come io ne sono il re: questo titolo sarà presto divulgato in tutto il
mio Regno. Da domani rimbomberà nella mia capitale con feste non ancora
vedute, che faranno conoscere che voi siete mia legittima sposa. Vi è
una cosa che mi arreca pena e vi supplico spiegarmi. Non posso comprendere come mai
potete vivere, operare, muovervi nelle acque senza annegarvi.
— Sire — rispose la regina Gulnara — io
soddisferò la Maestà Vostra con molto piacere. Noi camminiamo nel fondo
del mare nello stesso modo che si cammina sulla terra, e respiriamo
nell’acqua come si respira nell’aria, laonde, invece di soffocarci come
soffoca voi, contribuisce alla nostra vita. Il più notevole ancora è che
non bagna i nostri abiti e che quando veniamo sulla terra ne usiamo
senza bisogno di asciugarli. Il nostro linguaggio è lo stesso come la
scrittura incisa sul suggello del gran Profeta.
Quello però che ho da dirvi, o Sire, è che i
parti delle donne di mare sono differenti da quelli delle donne di
terra: e però temo che le levatrici di questo paese mi assistino male
nel mio parto. La Maestà Vostra, non avendovi meno interesse di me,
aggradendolo, io credo conveniente per la sicurezza de’ miei parti, di
far venire la regina mia madre con alcune cugine che ho, nello stesso
tempo il re mio fratello, col quale ho gran desiderio di riconciliarmi.
— Signora — rispose il re di Persia — voi
siete la padrona: fate quanto vi piacerà: io cercherò di riceverli con
tutto l’onore possibile.
— Sire — soggiunse la regina Gulnara — non vi
è già bisogno di queste cerimonie, perché dessi giungeranno qui in un
momento, e la Maestà Vostra vedrà in qual modo arriveranno, senza far
altro ch’entrare in questo camerino e guardare per la gelosia.
Quando il re di Persia fu entrato nel
camerino, la regina Gulnara si fece portare un piccolo braciere con
dentro del fuoco da una delle sue schiave, la quale rimandò, dicendole
di chiudere la porta.
Come fu sola, prese un pezzo di legno d’aloe
da una cassetta, lo pose sul braciere, ed appena ne vide comparire il
fumo, pronunciò delle parole sconosciute al re di Persia, il quale
osservava con attenzione quanto faceva, ed ella non aveva ancora
terminato che l’acqua del mare si turbò, ed incontanente ne uscì un
giovine ben fatto e di bella statura, coi mustacchi di erba di mare.
Una donna avanzata in età, ma con un’aria
maestosa, ne sorte dopo di lui con cinque giovanette.
La brigata si avanzò con spinta dalla
superficie del mare, senza camminare, e quando tutti furono sulla riva,
si slanciarono leggermente l’uno dopo l’altro sulla finestra dove la regina Gulnara era
apparsa e da cui s’era ritirata per dar loro luogo.
Il re Saleh, la regina sua madre, e le sue
cugine l’abbracciarono con moltissima tenerezza, e con le lacrime agli
occhi a misura ch’entravano.
Quando la regina Gulnara li ebbe ricevuti con
tutto il possibile onore, e quando ebbe loro fatto prender posto sul
sofà, la regina madre prese la parola:
— Figliuola mia — le disse — provo molta
gioia nel rivederti dopo una sì lunga assenza, e son sicura che vostro
fratello e le vostre cugine ne provano quanto me. Ma lasciamo questo
discorso e metteteci a parte di quanto vi è accaduto dacché non vi
abbiamo veduta.
La regina Gulnara si
gettò ai piedi della regina sua madre, e dopo averle baciata la mano,
rialzandosi rispose:
— Signora, ho commesso un gran fallo, lo
confesso; quello che sto per dirvi vi farà conoscere come alcune volte
invano si ha ripugnanza per certe cose.
Ella le raccontò quanto le era accaduto dopo
che il dispetto l’avea fatta risolvere al alzarsi dal fondo del mare per
venire sulla terra.
Quand’ebbe terminato, raccontò infine come
fosse stata venduta al re di Persia, presso cui si trovava.
— Sorella mia — le disse il re suo fratello —
voi avete un gran torto di aver sofferte tutte queste indegnità.
Alzatevi, e ritornate con noi nel regno che ho acquistato sul fiero
nemico che se ne era impadronito.
Il re di Persia, che intese queste parole dal
camerino in cui stava, ne fu molto accorato e disse fra sé:
— Ah! son perduto!
Ma la regina Gulnara non lo lasciò lungo
tempo nel timore in cui stava.
— Fratel mio — rispose ella sorridendo — io
non potei sopportare il consiglio da voi datomi di sposarmi con un
principe della terra: oggi poco è mancato che non mi fossi incollerita
con voi per quello che mi dite, di lasciar l’impegno contratto col più
potente e col più famoso di tutti i principi della terra. Io non parlo
già dell’impegno di una schiava col suo padrone, poiché in tal caso ci
sarebbe agevole il restituirgli le diecimila piastre d’oro che gli son
costata. Io parlo di quello di una moglie con un marito, e d’una moglie
che non può addurre motivo alcuno di malcontento dalla parte sua.
Desso è un monarca saggio, moderato, che m’ha
dato le più efficaci prove d’amore, e
non poteva darmene una più segnalata che di congedare, fin dai primi
giorni che mi ebbe, tutte le sue mogli, onde attaccarsi unicamente a me.
Io son sua moglie avendomi egli dichiarata regina di Persia per
partecipare a’ suoi consigli. Io dico di più, che sono incinta e che se
ho la felicità col favore del cielo di avere un figliuolo, sarà un nuovo
legame che mi legherà a lui più inseparabilmente.
Il re di Persia, il quale stava nel camerino,
per quanto era stato afflitto dal timore di perdere la regina Gulnara,
provò altrettanta gioia nel vedere che essa era risoluta a non
abbandonarlo.
Mentre il re di Persia s’intratteneva così
con piacere incredibile, la regina Gulnara aveva picchiato colle mani e
comandato a delle schiave che erano entrate di servir subito la
colazione.
Quando questa fu servita, ella invitò la
regina sua madre, il re suo fratello, e le due cugine d’avvicinarsi a
mangiare. Ma essi ebbero tutti lo stesso pensiero, che senza averne
domandato il permesso, si trovavano nel palazzo d’un potente re, che non
li aveva mai veduti e non li conosceva punto, e che sarebbe stata una
grande inciviltà il porsi a tavola senza di lui.
La regina Gulnara che aveva dubitato di quel
che fosse e che aveva compresa l’intenzione dei suoi congiunti, non fece
che dir loro, alzandosi dal suo luogo, che sarebbe tosto ritornata: ed
entrata nel camerino rassicurò il re colla sua presenza.
— Sire — gli disse — non dubito che la Maestà
Vostra non sia molto contenta della prova di riconoscenza che le
professo per tutte le obbligazioni di cui le son debitrice. Non
dipendeva che da me l’acconciarmi ai loro desiderî e di ritornare con
essi nei nostri Stati: ma io non sono capace di una ingratitudine.
«Essi muoiono dal desiderio di vedervi e di
assicurarvene loro stessi. Adunque io supplico la Maestà Vostra di
volere entrare e onorarli della vostra presenza.
Il re di Persia, rassicurato da queste
parole, si alzò dal suo posto ed entrò nella camera colla Gulnara, che
lo presentò alla regina sua madre, al re suo fratello, ed alle sue
cugine, le quali immantinente si prostrarono.
Il re di Persia corse subito a loro,
obbligandoli a rialzarsi, e li abbracciò l’un dopo l’altro.
Terminata la colazione, il re di Persia
conversò con essi molto innanzi nella
notte, e quando fu tempo di andarsi a coricare li condusse egli medesimo
ciascuno all’appartamento fatto loro preparare.
Il re di Persia regalò i suoi illustri ospiti
di continuate feste nelle quali non tralasciò nulla di quanto potesse
fare apparire la sua grandezza e la sua magnificenza, e tanto fece che
li impegnò a restare alla sua corte fino al parto della regina.
Partorì finalmente e dette alla luce un
figliuolo con grande gioia della regina sua madre, che l’assisté e andò
a presentarlo al re. Il re di Persia ricevé il bambino con una gioia
indicibile.
Siccome il volto del piccolo principe suo
figliuolo era sfavillante di bellezza credé non potergli dare un nome
più conveniente di quello di Beder.
Dopo che la regina Gulnara si fu alzata da
letto, un giorno in cui il re di Persia, la regina Gulnara, la regina
sua madre, il re Saleh suo fratello e le principesse loro congiunte
conversavano insieme nella camera della regina, la nutrice vi entrò col
piccolo principe Beder.
Il re Saleh si alzò dal suo posto, corse a
lui, e dopo averlo preso dalle braccia della nutrice nelle sue, si mise
a baciarlo ed accarezzarlo con grandi dimostrazioni di tenerezza. Fece
dapprima più giri nella camera giuocando e tenendolo sospeso colle mani
in aria; poscia tutto ad un tratto nel trasporto della sua gioia, si
slanciò da una finestra la quale trovavasi aperta e si immerse nel mare
col principe.
Il re di Persia, a quello spettacolo, cacciò
spaventevoli grida nella credenza che non avrebbe più riveduto il
principe suo caro figliuolo.
— Sire, — gli disse la regina Gulnara con
viso sereno per rassicurarlo, — la maestà vostra non tema nulla. Il
piccolo principe è tanto mio figlio quanto il vostro e non l’amo meno di
quello che lo amiate voi, nonpertanto vedete che non ne sono accorata,
non dovendolo punto essere. Esso non corre alcun rischio, e vedrete
bentosto comparire il re suo zio, che lo porterà sano e salvo.
Infatti poco appresso il mare si turbò e si
vide il re Saleh uscirne col piccolo principe tra le braccia: e
sostenendosi nell’aria rientrò per la stessa finestra per cui era
uscito.
Il re di Persia fu lieto e assai meravigliato
nel vedere il principe Beder tanto tranquillo, quanto lo era allorché
aveva cessato di vederlo.
Il re Saleh gli disse:
— Da quello che la maestà vostra ha veduto
può giudicare del vantaggio che il principe Beder ha acquistato per
parte della regina Gulnara mia sorella. Finché vivrà, e tutte le volte
che vorrà, sarà libero d’immergersi nel mare, e di percorrere i vasti
imperi che esso chiude nel suo seno.
Ciò detto il re Saleh, che aveva rimesso il
piccolo Beder tra le braccia della nutrice, aprì una cassa presa nel suo
palazzo nel tempo in cui era disparso, piena di trecento diamanti grossi
quanto un uovo di piccione, d’un egual numero di rubini di una
straordinaria grossezza, altrettante verghe di smeraldi della lunghezza
di un mezzo piede, e trenta file di collane di perle ciascuna di dieci.
— Sire — diss’egli al re di Persia
presentandogli quella cassa — quando siamo stati chiamati dalla regina
mia sorella, ignorando in qual luogo della terra fosse, ed avesse avuto
l’onore di diventar sposa a un sì grande monarca, è stato cagione che
siamo venuti colle mani vuote. Non potendo testimoniare sufficientemente
la nostra riconoscenza alla Maestà Vostra, supplichiamo di aggradire
questa debole prova, in considerazione dei singolari favori che vi è
piaciuto impartirle, ed ai quali noi non partecipiamo meno di lei.
Non si può esprimere quale fu la sorpresa del
re di Persia quando vide tante ricchezze chiuse in sì piccolo spazio.
Alcuni giorni dopo, il re Saleh dichiarò al
re che la regina sua madre, le principesse sue cugine ed egli non
avrebbero un più gran piacere che di passare tutta la loro vita alla sua
Corte: ma essendo lungo tempo che stavan lungi dal loro Regno, ed
essendovi la loro presenza necessaria, lo pregarono di toglier commiato
da lui e dalla regina Gulnara. Il re di Persia mostrò loro quanto fosse
il suo dispiacimento di non poterli trattenere, di usare con essi la
medesima cortesia, andando loro a far visita nei propri Stati.
Il piccolo principe Beder fu nutrito ed
allevato nel palazzo sotto gli occhi del re e della regina di Persia, e
lo videro crescere ed aumentare in bellezza con grande soddisfazione.
Quando il principe di Persia ebbe raggiunta
l’età di quindici anni, eseguiva tutti i suoi esercizi con maggior
destrezza e buona grazia dei suoi maestri. Oltre a ciò era d’una
saviezza e di una prudenza ammirabili.
Il re di Persia, che aveva riconosciuto in
lui, fin dalla nascita, le virtù sì necessarie ad un monarca, e d’altra
parte accorgendosi ogni giorno delle grandi infermità della
decrepitezza, non volle aspettare che la sua morte gli desse luogo di
metterlo in possesso del suo Regno.
Il giorno della cerimonia fu designato: ed in
quel giorno in mezzo al suo Consiglio più numeroso del solito, il re di
Persia, che dapprima si era assiso sul trono, ne discese, si tolse la
corona dalla testa, la pose su quella del principe Beder, e dopo averlo
aiutato a salire sul suo posto, gli baciò la mano in segno che gli
rimetteva tutta la sua autorità e tutto il suo potere: dopo la qual cosa
si mise al di sotto di lui tra i visir e gli emiri.
Nel primo anno del suo regno il re Beder
adempì a tutte le regali funzioni con una grande assiduità e sopratutto
ebbe gran cura d’istruirsi dello stato degli affari e di tutto quello
che poteva contribuire alla felicità dei suoi sudditi.
L’anno seguente, dopo ch’ebbe lasciata
l’amministrazione degli affari al suo Consiglio, col permesso
dell’antico re suo padre, uscì dalla capitale sotto il pretesto d’una
partita di caccia, ma veramente per visitare tutte le provincie del suo
Regno, affine di correggervi gli abusi, di stabilirvi il buon ordine e
la disciplina dovunque e togliere ai principi suoi vicini mal
intenzionati il desiderio di nulla intraprendere contro la sicurezza dei
suoi Stati, facendosi vedere sulle frontiere.
A questo giovane, re non abbisognò meno di un
anno intero onde eseguire il suo disegno.
Poco tempo dopo il suo
ritorno, il re suo padre cadde pericolosamente ammalato.
Morì poco tempo dopo con cordoglio intenso
del re Beder e della regina Gulnara, i quali fecero portare il suo corpo
in un superbo mausoleo proporzionato alla sua dignità.
Terminati i funerali, il re Beder non ebbe
pena a seguire il costume della Persia, di piangere i morti per un
intero mese e di non veder nessuno per tutto quel tempo.
Quando il mese fu scorso, il re non poté
dispensarsi di dare accesso al suo gran Visir ed a tutti i signori della
sua Corte, i quali lo supplicarono di smettere l’abito di lutto, di
farsi vedere a’ sudditi, e di riprendere la soma degli affari come
prima.
Il re Saleh ritornossene ne’ suoi stati del
mare colla regina sua madre e le principesse, appena vide aver Beder
riprese le redini del governo, e tornò solo a capo d’un anno; Beder e la
regina Gulnara furono lietissimi di rivederlo.
Una sera all’alzarsi da mensa si posero a
parlare di diverse cose. Insensibilmente il re Saleh entrò a far le lodi
del re suo nipote, e dichiarò alla regina sua sorella quanto fosse
soddisfatto della saviezza con cui egli governava: il che gli aveva
acquistata una grande riputazione non solo presso i re suoi vicini, ma
anche fino a’ più lontani regni.
Il re Beder, che non poteva sentir parlare sì
vantaggiosamente della sua persona, e non volendo per creanza impor
silenzio al re suo zio, si volse dall’altro lato e finse di dormire.
Dalle lodi che non riguardavano se non la
condotta meravigliosa e lo spirito superiore, il re Saleh passò a quelle
del corpo, e ne parlò come d’un prodigio che non aveva nulla di simile,
né sulla terra, né nei regni al disotto delle acque del mare di cui
aveva cognizione.
— Sorella mia — esclamò egli tutto ad un
tratto — son meravigliato che non abbiate ancora pensato a trovargli una
sposa.
— Io ne conosco una — soggiunse il re Saleh
parlando a voce bassa — ma prima di dirvi chi è, vi prego di vedere se
il re mio nipote dorme, e vi dirò perché bisogna che prendiamo questa
precauzione.
La regina Gulnara si volse, e veduto Beder
nella situazione in cui stava, non dubitò per nulla che non dormisse
profondamente.
Il re Beder intanto, invece di dormire,
raddoppiò la sua attenzione.
— Non è a proposito — continuò il re Saleh —
che il re mio nipote abbia sì tosto cognizione di quello che debbo
dirvi. L’amore, come voi sapete, s’introduce qualche volta per
l’orecchio, e non è necessario che egli ami in questo modo quella che ho
a nominarvi, vedendo di fatto, grandi difficoltà a superare, non dal
lato della principessa, come lo spero, ma dalla parte del re suo padre.
Non ho che a nominare la principessa Giauhare ed il re di Samandal.
— Che dite voi, fratel mio — esclamò la
regina Gulnara, — la principessa Giauhare non è ancor maritata? Io mi
ricordo d’averla veduta poco tempo prima di separarmi da voi; aveva diciotto mesi ed
era dotata d’una bellezza sorprendente.
Parlarono qualche tempo sul medesimo
soggetto, e prima di separarsi convennero che il re Saleh sarebbe
ritornato subito nel suo Regno per fare la domanda della principessa
Giauhare al re di Samandal pel re di Persia.
La regina Gulnara ed il re Saleh, credendo
che il re Beder dormisse veramente, lo svegliarono quando vollero
ritirarsi, ed egli riuscì assai bene a fingere.
L’indomani il re Saleh volle toglier commiato
dalla regina Gulnara e dal re suo nipote, il quale ben sapendo che suo
zio partiva sì presto per andare a formare la sua felicità, senza por
tempo in mezzo non lasciò cangiare argomento a quel discorso.
La sua passione era sì
viva da non permettergli di star senza vedere l’oggetto che la
cagionava. Però prese la risoluzione di pregarlo a volerlo condurre con
lui: ma, non volendo che la regina sua madre non ne sapesse niente,
affine di avere occasione di parlare in particolare a suo zio, l’impegnò
di rimanere ancora quel giorno onde prender parte ad una partita di
caccia, risoluto di profittare di quell’occasione per manifestargli il
suo disegno.
La partita di caccia ebbe luogo, e il re
Beder si trovò più volte solo col re suo zio, ma non osò aprir bocca per
dirgli una sola parola di quello che aveva designato.
Nel più forte della caccia, essendosi il re
Saleh separato da lui, e non restandogli nessun ufficiale né famigliare
vicino, scese a terra, presso ad un ruscello, e dopo avere attaccato il
suo cavallo ad un albero, si coricò in mezzo alle zolle, lasciando
libero il varco alle sue lacrime che scorsero in abbondanza accompagnate
da sospiri e da singhiozzi.
Il re Saleh, appena lo vide nella situazione
in cui stava, non dubitò che non avesse inteso il discorso avuto colla
regina Gulnara, e che non fosse innamorato.
Scese a terra lontano
da lui, e dopo aver attaccato il cavallo ad un albero, fece un gran
giro, ed avvicinatosegli senza far rumore, lo intese pronunciare queste
parole:
— Amabile principessa del regno di Samandal,
indubitamente non si è mai fatto che un debole abbozzo della vostra
incomparabile bellezza.
Il re Saleh, non volendo sentir altro, si
avanzò, e facendosi vedere a re Beder, gli disse:
— A quel che sento, caro nipote, voi avete
ascoltato ciò che dicevamo l’altro giorno.
— Zio mio — rispose il re Beder — io non ne
ho perduta una sola parola. Poi soggiunse: — Voi sapete che la regina
mia madre non permetterà mai che l’abbandoni, e questa scusa mi fa
meglio conoscere la durezza che avete per me. Se mi amate quanto dite,
bisogna che ritorniate in quest’istante nel vostro regno e che mi
conduciate con voi.
Il re Saleh costretto a cedere alla volontà
del re di Persia, trasse un anello che aveva in dito, ov’erano scolpiti
gli stessi nomi misteriosi che sul suggello di Salomone, e
presentandoglielo, gli disse:
— Prendete quest’anello, mettetevelo al dito,
e non temete né le acque del mare, né la sua profondità.
Il re di Persia prese l’anello, e quando se
l’ebbe messo in dito:
— Fate come me — gli soggiunse il re Saleh.
In pari tempo
s’alzarono leggermente nell’aria, avanzandosi verso il mare, a loro
vicino, e immergendovisi.
Il re marino non mise molto tempo ad arrivare
al suo palazzo col re di Persia suo nipote, che condusse subito
all’appartamento della regina sua avola, la quale l’abbracciò con grandi
dimostrazioni.
L’indomani il re Saleh tolse commiato da lei
e dal re di Persia, e partì con una schiera scelta e poco numerosa dei
suoi ufficiali e famigliari. Giunse ben presto al Regno di Samandal, al
cui re chiese ed ottenne udienza.
Si alzò dal suo trono appena lo vide, e il re
Saleh gli si prostrò innanzi, augurandogli il compimento di quanto
poteva desiderare.
Il re di Samandal subito s’inchinò per
rialzarlo, e dopo averlo fatto sedere vicino a lui, gli domandò in che
cosa mai potesse rendergli servigio.
— È vero, Sire — soggiunse il re Saleh — ho
una grazia a chiedere a Vostra Maestà, e mi guarderei bene dal
domandarvela se non fosse in vostro potere di concedermela. La cosa
dipende da voi assolutamente, ed invano la domanderei ad ogni altro. Io
ve la chieggo dunque con tutte le possibili istanze, e vi supplico a non
ricusarmela.
— Se la cosa è così — replicò il re di
Salamandal — non avete che a dirmi di che si tratta, e vedrete in qual
modo io so far piacere, quando lo posso.
— Sire — gli disse allora il re Saleh — non
dissimulerò più oltre venir io a
supplicarvi di onorarci del vostro parentado col matrimonio della
principessa Giauhare vostra onorevole figliuola, e fortificare in tal
guisa la buona intelligenza che unisce due regni da sì lungo tempo.
A questo discorso il re di Samandal dette in
grandi scoppi di risa. Il re Saleh fu estremamente offeso e durò molta
fatica a frenare il suo giusto risentimento.
— Che Dio, Sire — riprese egli con tutta la
moderazione — vi ricompensi come meglio meritate, e permettetemi di
dirvi che io non domando la principessa vostra figliuola in matrimonio
per me. Se non mi aveste interrotto avreste ben compreso che la grazia
che vi chieggo non riguarda me, ma sibbene il giovine re di Persia mio
nipote, la cui potenza e grandezza non meno delle sue personali qualità,
non debbono esservi sconosciute. Ciascuno riconosce esser la principessa
Giauhare la più bella donna esistente sotto la cappa del cielo; come il
giovine re di Persia è il principe più ben fatto e più compito che vi
sia sulla terra ed in tutti i regni del mare. Però come la grazia ch’io
chieggo non può tornare se non a gloria vostra e della principessa
Giauhare, non dubito non vogliate dare il vostro consenso ad un tale
parentado. La principessa è degna del re di Persia, e questo non è men
degno di lei, e non vi è principe al mondo che possa disputargliela.
Il re di Samandal scoppiò finalmente in
ingiurie atroci ed indegne di un gran re:
— Cane — egli esclamò — tu osi tenermi questo
discorso, e profferire anche il nome di mia figlia innanzi a me! Che
s’imprigioni l’insolente, e gli si mozzi il capo!
Gli ufficiali, che in
piccolo numero stavano intorno al re di Samandal, s’apprestarono ad
obbedire: ma essendo il re Saleh nella forza della età, leggiero e
robusto, fuggì prima che avessero tratta la sciabola, ed uscì fuori del
palazzo, ove trovò mille uomini dei suoi congiunti.
Il re Saleh,
raccontata loro la cosa in poche parole, si pose a capo d’una grossa
schiera, mentre gli altri restarono alla porta di cui presero possesso,
e ritornò sui suoi passi. Dissipati i pochi ufficiali e le poche guardie
che lo avevano inseguito, rientrò nell’appartamento del
re di Samandal che venne immantinente imprigionato.
Il re Saleh lasciò bastanti persone presso di
lui per assicurarsi della sua persona, ed andò di appartamento in
appartamento in cerca della principessa Giauhare: ma al primo rumore,
questa principessa slanciatasi alla superficie del mare colle donne che
si eran trovate presso di lei, si era salvata in un’isola deserta.
Mentre accadevano queste cose al palazzo del
re di Samandal, alcuni famigliari del re Saleh, avendo presa la fuga
alle prime minacce di quel re, cagionarono alla regina madre un
grand’affanno, annunziandole il pericolo in cui l’avevan lasciato.
Il giovane re Beder, si slanciò dal fondo del
mare: e siccome non sapeva qual via prendere per ritornare al regno di
Persia, si salvò nella stessa isola nella quale si trovava la
principessa Giauhare.
Essendo quasi svenuto, andò ad assidersi al
piede di un grand’albero.
Mentre riprendeva le sue forze, sentendo
parlare, tese le orecchie: ma era troppo lontano per poter comprendere
quello che si diceva. Alzatosi ed avanzando senza far rumore dalla parte
d’onde veniva il suono delle parole, scorse tra le foglie una donna
dalla cui bellezza rimase abbagliato.
— Senza dubbio — disse fra sé fermandosi e
considerandola con attenzione — questa è la principessa Giauhare.
Senza fermarsi di più
si fece vedere, ed avvicinandosi alla principessa con una profonda
riverenza, le disse:
— Signora, io non posso sufficientemente
ringraziare il cielo del favore che mi fa oggi d’offrire ai miei occhi
ciò che vi ha di più bello. Non poteva accadermi una più grande felicità
dell’occasione di potervi offrire i miei umilissimi servigi che vi
supplico, signora, di accettare.
— Egli è vero, signore — rispose la
principessa Giauhare con tono assai tristo —che è straordinarissimo ad
una signora del mio grado di trovarsi nello stato in cui sono. Io son
principessa, figliuola del re di Samandal, e mi chiamo Giauhare. Stavo
tranquillamente nel suo palazzo e nel mio appartamento, quando tutto ad
un tratto ho inteso uno spaventevole rumore e mi si è venuto
immantinente ad annunciare che il re Saleh, non so per quale cagione
aveva forzato il palazzo e si era
impadronito del re mio padre, dopo aver fatto man bassa su tutti quelli
della sua guardia che gli avevan fatta resistenza. Io non ho avuto che
il tempo di salvarmi e di cercar qui un asilo.
La principessa, al primo vederlo, alla sua
buona ciera, al suo aspetto ed alla bella grazia con cui si era
presentato, l’aveva riguardato come una persona non dispiacevole; appena
seppe da lui stessa che era stato la cagione del cattivo trattamento
usato a suo padre, pel dolore e per lo spavento che aveva provato per
sé, e per la necessità in cui era stata ridotta di prendere la fuga
immantinente, lo considerò come un nemico col quale non doveva aver
nulla di comune.
Nondimeno, senza manifestar nulla del suo
risentimento, immaginò un mezzo di liberarsi destramente dalle sue mani:
e però, fingendo di volerlo compiacere così gli rispose con tutta la
maggior cortesia possibile:
— Signore, voi siete dunque il figlio della
regina Gulnara, sì celebre per la sua singolare beltà? Ne provo molta
gioia, e son lieta di vedere in voi un principe degno di lei. Il re mio
padre non ha gran torto di opporsi ad unirci insieme, ma son certa che
appena vi avrà veduto, non esiterà più a renderci felici.
Ciò detto, gli presentò la mano in segno
d’amicizia.
Il re Beder si credette al sommo della sua
felicità, ed avanzata la mano, e presa quella della principessa, si
chinò per baciarla con rispetto: ma la principessa non gliene dette il
tempo, e gli disse respingendolo e percuotendolo nel viso:
— Temerario, lascia questa forma d’uomo e
prendi quella di un uccello bianco col becco e i piedi rossi!
Appena ella ebbe pronunciate queste parole,
il re Beder fu cangiato in un uccello di quella forma, con sua
grandissima mortificazione e meraviglia.
— Prendetelo — diss’ella ad una delle sue
donne — e portatelo nell’isola secca.
Quest’isola ero una spaventevole roccia, ove
non si trovava neppure una goccia d’acqua.
La donna prese l’uccello, e nell’eseguir
l’ordine della principessa Giauhare, ebbe compassione del destino del re
Beder, e lo portò in un’isola ben popolata.
Ritornando al re Saleh, dopo aver cercato
egli stesso la principessa Giauhare e averla fatta cercare per tutto il
palazzo senza trovarla, fece chiudere il re di Samandal nel proprio
palazzo sotto buona guardia; e quando ebbe dati ordini necessari pel
governo del regno in sua assenza, andò
a render conto alla regina sua madre di quanto aveva fatto.
Domandato al suo arrivo ove fosse il re suo
nipote, intese con grande sorpresa e molto dispiacere essere egli
disparso. Nello stesso giorno in cui il re Saleh era partito per
ritornare al regno di Samandal, la regina Gulnara, madre del re Beder,
arrivò presso sua madre.
Questa grande regina
sarebbe stata ricevuta dalla regina sua madre con gran piacere, se
appena l’ebbe scorta non avesse dubitato della cagione che l’aveva
condotta.
— Figlia, mia — le disse — non è già per
vedermi che siete venuta qui, ben me n’accorgo. Voi venite a chiedermi
notizie del vostro figliuolo, e quelle che ho da dirvi aumenteranno la
vostra afflizione.
Ella fece il racconto dello zelo con cui il
re Saleh era andato a fare egli stesso la domanda della principessa
Giauhare e di quanto era accaduto fino alla sparizione del re Beder.
La regina Gulnara riguardando il suo caro
figliuolo come perduto, lo pianse amaramente, dando tutta la colpa al re
suo fratello. La regina Gulnara, tolto commiato dalla regina madre,
ritornò al palazzo della capitale di Persia prima che nessuno si fosse
accorto della sua lontananza.
Per ritornare al re Beder, che la donna della
principessa Giauhare aveva portato e lasciato nell’isola come abbiamo
detto, quel monarca si trovò assai meravigliato quando si vide solo e
sotto la forma di un uccello.
A capo di alcuni giorni un contadino, assai
destro nel prendere gli uccelli colle reti, giunse al luogo ove si
trovava e provò una gran gioia quando ebbe scorto un sì bell’uccello.
Adoprò tutta la destrezza di cui era capace, e prese così bene le sue
mire che afferrò l’uccello. Lieto di sì bella caccia, lo pose in una
gabbia e lo portò alla città.
Invece di fermarsi al mercato, il contadino
andò al palazzo ove si fermò innanzi all’appartamento del re che stava
ad una finestra donde vedeva tutto quello che accadeva nella piazza.
Com’ebbe scorto l’uccello, mandò un ufficiale
degli eunuchi coll’ordine di comprarlo, e quello andato dal contadino,
gli chiese a quanto volesse venderlo.
— Se serve per la Maestà Sua — rispose il
contadino — la supplico di concedermi
che gliene faccia un dono.
L’ufficiale portò l’uccello al re, il quale
lo trovò tanto particolare, che incaricò l’ufficiale di portar dieci
piastre d’oro al contadino.
Dopo ciò, il re pose l’uccello in una
magnifica gabbia, ordinando di dargli cibi di più specie, affinché
scegliesse quello che più gli aggradisse.
Essendosi già imbandita la mensa, mentre il
re dava quest’ordine, l’uccello, sbattute le ali, sfuggì dalle sue mani,
e volò sulla tavola ove si pose a beccare ora in un piatto ora in un
altro con grandissima sorpresa del re, che mandò l’ufficiale degli
eunuchi ad avvertire la regina di venir a vedere quella meraviglia.
Appena giunta e veduto l’uccello si coprì il
volto col velo e volle ritirarsi.
Il re meravigliato da quell’atto, tanto più
che non stavan nella camera se non gli eunuchi e le donne che l’avevano
seguita, le chiese per qual motivo si fosse coperta.
— Sire — rispose la regina — non ne sarete
più meravigliato quando saprete che questo uccello non è già un uccello,
come v’immaginate, ma sibbene un uomo.
Affinché il re non potesse più dubitare, ella
gli raccontò il come e il perché la principessa Giauhare si fosse in tal
guisa vendicata.
Il re ebbe compassione del re di Persia, e
pregò la regina di rompere l’incantesimo che lo ratteneva sotto quella
forma. La regina vi consentì, e disse al re:
— Sire, compiacetevi entrare nel vostro
scrittoio con l’uccello: e tra pochi minuti vi farò vedere un re degno
della considerazione che avete per lui.
L’uccello, il quale
aveva terminato di mangiare, per stare attento al colloquio del re e
della regina non dette al re la pena di prenderlo, ma passò il primo
nello scrittoio, e la regina entrò subito dopo con un vaso pieno d’acqua
in mano. Essa pronunciò sul vaso delle parole sconosciute al re finché
l’acqua, cominciò a gorgogliare, ne prese allora nella mano e gettandola
su l’uccello disse:
— Per la virtù delle parole sante e
misteriose che ho pronunciate, ed in nome del Creatore del cielo e della
terra, lascia questa forma d’uccello e ripiglia quella che hai ricevuta
dal tuo Creatore!!!
Appena la regina ebbe terminate queste
parole, il re vide apparire invece dell’uccello un giovine principe. Il re Beder si prostrò immantinente
rendendo grazie a Dio del favore ricevuto.
— Sire — disse il re Beder — l’obbligazione
che ho alla Maestà Vostra è sì grande, che dovrei restare per tutta la
mia vita presso di voi onde mostrarvene la mia riconoscenza. Ma giacché
voi non mettete limiti alla vostra generosità, io vi supplico di volermi
concedere uno dei vostri vascelli per ricondurmi in Persia, ove temo che
la mia assenza abbia cagionato del disordine, ed anche la regina mia
madre, cui ho nascosta la mia partenza, non sia morta dal dolore.
Il re gli concedette quanto domandava: il
vascello fu ben presto fornito di tutti i suoi mozzi, marinai, soldati,
provvigioni e munizioni necessarie: ed appena fu favorevole il vento, il
re Beder vi s’imbarcò.
Il vascello mise alla
vela col vento in poppa, andando magnificamente per dieci giorni senza
interruzione, l’undecimo giorno invece divenne un poco contrario, e da
ultimo fu sì violento che cagionò una tempesta furiosa.
La più gran parte dell’equipaggio fu
sommersa, dell’altra alcuni si fidarono nella forza delle loro braccia
per salvarsi a nuoto, mentre alcuni s’appresero a qualche pezzo di legno
o a qualche tavola.
Beder fu degli ultimi, e trasportato ora
dalle correnti, ora dalle onde, in una grande incertezza del suo
destino, si accorse finalmente ch’era vicino alla terra, e poco lontano
da una città di grande apparenza.
Ma avanzandosi nell’acqua onde raggiungere la
spiaggia, fu assai sorpreso di veder accorrere da ogni parte cavalli,
cammelli, muli, asini, bovi, vacche, tori, ed altri animali, mettendosi
in modo da impedirgli di porvi il piede, e durò le più grandi fatiche
onde vincere la loro ostinazione ed aprirsi un varco.
Il re Beder finalmente entrò nella città, e
vide diverse strade belle e spaziose, ma senza entrarvi nessuno, con sua
grandissima meraviglia.
Nondimeno avanzando, notò più botteghe
aperte. S’avvicinò ad una di quelle botteghe ov’erano più specie di
frutta esposte in vendita in una maniera assai conveniente, e salutò un
vecchio che stava seduto.
— Entrate, non restate più oltre alla porta —
replicò il vecchio — perché potrebbe accadervi del male. Soddisfarò
intanto la vostra curiosità e vi dirò la cagione per cui è bene che
prendiate questa cautela.
— È mestieri sappiate, — soggiunse il vecchio
— che questa città si chiama la Città degl’incanti e ch’essa è governata da una regina, la più bella del
suo sesso, ed è anche Maga: ma la più perfida e pericolosa che si possa
conoscere. Voi ne sarete convinto quando saprete che tutti quei muli e
gli altri animali veduti, sono altrettanti uomini così trasformati colla
sua arte diabolica.
Questo discorso afflisse estremamente il
giovine re di Persia.
— Ohimè! — esclamò egli — a qual punto
estremo son ridotto dal mio indegno destino! Sono appena liberato da un
incanto di cui sento ancora orrore, che già mi vedo esposto a qualche
altro più terribile.
Ciò gli porse occasione di raccontare la sua
storia al vecchio, di parlargli della sua nascita, della sua qualità,
della sua passione per la principessa di Samandal e della crudeltà che
essa aveva avuto di cangiarlo in uccello.
Il vecchio volle assicurarlo, dicendogli:
— Voi siete in sicurezza nella mia casa, e vi
consiglio di restare, se così vi piace: e, purché non ve ne
allontaniate, vi garantisco non vi accadrà nulla che possa darvi cagione
di dolervi della mia ospitalità.
Il re Beder ringraziò il vecchio della
ospitalità e della protezione che gli dava con tanta buona volontà.
Sedutosi all’ingresso della bottega, la sua giovinezza e il suo
bell’aspetto attirarono gli occhi di tutti i passeggieri. Molti si
fermarono anche e si congratularono col vecchio di aver fatto acquisto
di uno schiavo sì ben fatto, com’essi si immaginavano.
— Non credete già ch’egli sia uno schiavo —
diceva loro il vecchio. — Questo è mio nipote, figliuolo di un fratello
ch’è morto, e siccome non ho figliuoli, l’ho fatto venire per tenermi
compagnia.
Era circa un mese dacché vivevano insieme,
quando un giorno in cui il re Beder stava seduto all’ingresso della
bottega secondo il solito, la regina Labe (così si chiamava la regina
maga) passò innanzi alla casa del vecchio con gran pompa. Il re Beder
non ebbe appena veduta l’avanguardia camminare innanzi a lei, che si
alzò, entrò nella bottega e chiese al vecchio suo ospite ciò che quello
significasse.
— È la regina che passa — rispose quegli. Le
giovani damigelle salutarono il vecchio a misura che passavano, e la
regina, tocca dal buon aspetto del re Beder, si fermò innanzi alla
bottega, e disse al vecchio chiamandolo per nome:
— Abdallah, ditemi, vi prego, è vostro questo
schiavo sì leggiadro e sì ben fatto? È
lungo tempo che ne avete fatto acquisto?
Prima di rispondere alla regina, Abdallah si
prostrò contro terra e rialzandosi rispose:
— Signora, è un mio nipote, figliuolo di un
mio fratello morto non ha guari! Non avendo io prole, lo tengo come
figliuolo e l’ho fatto venire per mia consolazione.
La regina Labe, che non aveva veduto nessuno
da comparare al re Beder, pensò di fare in modo che il vecchio glielo
abbandonasse.
— Buon padre — soggiuns’ella — non volete
farmi la cortesia di darmelo in dono?
— Signora — rispose il
buon Abdallah — io sono infinitamente obbligato alla Maestà Vostra di
tutte le bontà che ha per me e dell’onore che vuol fare a mio nipote: ma
egli non è degno d’avvicinare una sì gran regina.
— Abdallah — rispose la regina — io m’era
lusingata che m’amaste molto e non avrei mai creduto che doveste darmi
una prova sì evidente del poco conto che fate delle mie preghiere, ma
giuro anche una volta pel fuoco e per la luce, e per ciò che v’ha di più
sacro nella mia religione, che non passerò oltre se non avrò prima vinta
la vostra ostinazione!
— Signora — rispos’egli — la supplico
solamente a differire di fare un sì grande onore a mio nipote, fino al
primo giorno che tornerà a passare per qua.
— Sarà dunque domani — soggiunse la regina.
Quando la regina Labe ebbe terminato di
passare con tutta la pompa che l’accompagnava, il buon Abdallah disse al
re Beder:
— Figliuol mio, io non ho potuto, come voi
stesso avete veduto, ricusare alla regina ciò che m’ha domandato. Ho
qualche ragione per credere com’ella vi tratterà bene com’ella mi ha
promesso, per la considerazione tutta particolare che ha per me.
Queste assicurazioni non fecero grand’effetto
sullo spirito del re Beder.
La regina maga non mancò di passare
l’indomani innanzi alla bottega del vecchio Abdallah colla stessa pompa
del giorno innanzi, ed il vecchio l’attendeva col più grande rispetto.
S’era prostrato appena aveva veduto
avvicinarsi la regina, si rialzò, e non volendo che niuno sentisse
quello che aveva a dirle, s’avanzò con rispetto fino alla testa del suo
cavallo ed a voce bassa le disse:
— Potente regina, son persuaso che la Maestà
Vostra non prenderà in cattiva parte le difficoltà che feci ieri di
confidarle mio nipote; ella deve aver comprese le ragioni che ho avute.
Oggi volentieri glielo voglio abbandonare, ma la supplico a compiacersi
di porre in dimenticanza tutt’i segreti di quella scienza meravigliosa
che ella possiede in supremo grado. Io riguardo mio nipote come mio
figliuolo, e la Maestà Vostra mi metterebbe alla disperazione se lo
trattasse in un’altra maniera di quella che ha avuta la bontà di
promettermi.
— Io ve lo prometto di nuovo — rispose la
regina — e vi ripeto collo stesso giuramento d’ieri che sì voi come lui
non avrete che a lodarvi di me.
— Eccolo, signora, io supplico la Maestà
Vostra ancora una volta, a ricordarsi che è mio nipote, e di
permettergli che venga a vedermi qualche volta.
La regina glielo promise, e per provargli la
sua riconoscenza gli fece dare un sacco di mille piastre d’oro. Ella
aveva fatto condurre un cavallo riccamente bardato come il suo, pel re
di Persia, cui venne presentato, e mentre stava per mettere il piede
nella staffa, la regina disse ad Abdallah:
— Io mi dimenticava di domandarvi come si
chiama vostro nipote.
Com’ei gli ebbe risposto che si chiama Beder:
— Si sono male apposti — diss’ella — dovevano
chiamarlo Schem.
Appena il re Beder fu salito a cavallo, andò
per mettersi dietro alla regina: ma ella lo fece avanzare alla sua
sinistra, e volle che camminasse al suo fianco.
Essa guardò Abdallah, e dopo avergli fatta
una inclinazione di testa, ripigliò la sua strada.
La regina maga arrivò al suo palagio, e
quando fu scesa a terra si fece dar la mano dal re Beder, ed entrò con
lui accompagnata dalle sue donne, e dagli ufficiali de’ suoi eunuchi.
Ella stessa gli fece vedere tutti gli
appartamenti ove non v’era che oro massiccio, gioielli e mobili d’una
magnificenza singolare.
Parlarono di più cose indifferenti fino a che
si venne ad avvertire la regina essere il pranzo in tavola.
La regina ed il re Beder si alzarono ed
andarono a mettersi a tavola, ch’era d’oro massiccio, ed i piatti della
stessa materia. Mangiarono senza bere quasi niente fino alla frutta, ma
allora la regina si fece riempire la sua coppa d’oro d’eccellente vino,
e dopo aver bevuto alla salute del re
Beder, la fece riempire di nuovo senza lasciarla e gliela presentò.
Il re Beder la ricevette con molto rispetto.
L’indomani la regina ed il re Beder andarono
al bagno appena furono alzati; all’uscirne le donne che vi aveano
servito il re, gli presentarono della biancheria ed un magnifico abito.
La regina Labe trattò e regalò il re Beder in
questo modo per quaranta giorni, come aveva costume di usare con tutt’i
suoi amanti. La notte del quarantesimo in cui stavano coricati, credendo
che il re Beder dormisse, si alzò senza far rumore: il re Beder, che
stava svegliato, e che si accorse aver ella qualche disegno, finse di
dormire e stette attento alle sue azioni.
Quando ella fu alzata, aprì una cassetta
d’onde trasse un vasetto pieno d’una certa polvere gialla. Ella prese di
quella polvere e fece una striscia attraverso la camera.
Immantinente quella striscia si cangiò in un
ruscello d’acqua limpidissima. La regina Labe attinse dell’acqua del
ruscello in un vaso, e ne versò in un bacino ove era la farina della
quale fece una pasta ove mise certe droghe prese da differenti vasi,
formandone una torta che pose in una casseruola coperta.
Siccome, prima di tutto essa aveva acceso un
gran fuoco ne trasse della brace, vi mise sopra la cazzeruola e mentre
la torta si cuoceva, ripose i vasi e le cassette al loro posto, ed a
certe sue parole il ruscello disparve.
Quando la torta fu cotta, essa la tolse di
sopra la brace, e la portò in un gabinetto, dopo di che andò a coricarsi
di nuovo accanto al re Beder.
Questi, cui i piaceri e i divertimenti avevan
fatto dimenticare il buon vecchio Abdallah suo ospite, si sovvenne di
lui e credette aver bisogno del suo consiglio.
Appena fu alzato, manifestò alla regina il
desiderio di andarlo a vedere, e la supplicò di voler esser tanto
gentile da permetterglielo.
— Andate — soggiunse la regina — io ve lo
permetto, ma ritornate presto, non potendo vivere un sol momento senza
di voi.
Il vecchio Abdallah fu lietissimo di rivedere
il re Beder: e senza aver riguardo alla sua qualità, l’abbracciò
amorevolmente.
Quando si furon seduti, Abdallah domandò al
re:
— Ebbene, come vi siete trovato, e come vi
trovate tuttavia con quella maga infedele?
— Finora — rispose il re Beder — posso dire
che ha avuto per me ogni specie di
riguardi: ma ho notato una cosa questa notte che mi ha dato un giusto
motivo di sospettare che tutto quello che ha fatto non è stato se non
dissimulazione. Mentr’essa credeva ch’io dormissi, ho scoperto
che pian piano s’è alzata e s’è allontanata da me con molta precauzione.
Questo ripiego da lei preso ha fatto sì che invece di riaddormentarmi
rimanessi ad osservarla, fingendo ciò nonostante di dormir sempre e
continuando il suo discorso gli raccontò come e con quali circostanze le
avevo veduto fare la torta.
— Voi non vi siete ingannato — rispose il
vecchio Abdallah — ma non temete di nulla: io so il mezzo di fare in
modo che il male che vuol fare a voi ricada su di lei. Siccome io so
ch’ella non tiene i suoi amanti più di quaranta giorni, e che invece di
rimandarli cortesemente, ne fa altrettanti animali dei quali ne riempie
le sue foreste, i suoi parchi e le sue campagne, ho preso fino da ieri
gli espedienti per impedirle di trattarvi in tal modo.
Terminando queste parole, Abdallah mise due
torte nelle mani del re Beder, e gli disse di custodirle per adoprarle
poi come gli avrebbe indicato.
— Voi mi avete detto — soggiunse — che questa
notte la maga ha fatto una torta, ciò indubitamente per farvene
mangiare: ma guardatevi bene dal gustarne. Non pertanto non lasciate di
prenderne un pezzetto quando ve la presenterà, ed invece di mettervela
in bocca, fate in modo di mangiare in suo luogo una di queste due che vi
ho date senza ch’ella se ne accorga.
Appena avrà creduto che abbiate inghiottito
la sua, non mancherà d’intraprendere a trasformarvi in qualche animale:
ma essa non vi riuscirà, ed allora volgerà la cosa in facezia, come se
avesse voluto farlo per ridere e per cagionarvi un po’ di paura, mentre
ne avrà un dispetto mortale nell’anima, immaginandosi d’aver mancato in
qualche cosa nella composizione della sua torta. In quanto all’altra
torta che vi ho data, gliene farete un dono e la solleciterete a
mangiarne. Ella ne mangerà solo per non darvi cagione di diffidarvi di
lei. Quando ne avrà mangiato, prendete un poco d’acqua nel cavo della
mano, e gettandogliela in viso, ditele:
— Lascia questa forma e prendi quella di un
tale o tal altro animale che più vi piacerà, e venite da me
coll’animale.
Il re Beder dopo essersi trattenuto ancora
qualche tempo con lui, lo lasciò e ritornò dalla regina Labe.
Arrivando, seppe che la maga l’aspettava nel
giardino con grande impazienza.
Egli andò a cercarla, ed essa, non appena
l’ebbe veduto, corse a lui con premura dicendoceli:
— Se più aveste differito, sarei io stessa
venuta a cercarvi.
— Signora — rispose Beder — egli voleva
tenermi con sé, ma io mi sono strappato alla sua tenerezza per venire
dove l’amore mi chiamava e della colazione che m’aveva preparata, mi son
contentato di prendere una torta che vi ho portata. Eccola, signora, vi
supplico di aggradirla.
— Io l’accetto di buon grado — rispose la
regina prendendola — e ne mangerò con piacere per amor vostro e di
vostro zio, mio buon amico: ma prima voglio che per amor mio mangiate di
questa, che ho fatto durante la vostra assenza.
— Bella regina — le disse il re Beder con
rispetto — mani come quelle della maestà vostra non possono far nulla
che non sia eccellente.
Il re Beder sostituì destramente in luogo
della torta della regina l’altra che il vecchio Abdallah gli aveva data
e ne ruppe un pezzo che portò alla bocca.
— Ah, regina — esclamò egli mangiandola — non
ho mai mangiato nulla di più squisito!
Siccome eran vicini ad una fontana, la maga,
tosto che vide aver egli inghiottito il pezzo, e che stava in procinto
di mangiarne un altro, prese dell’acqua nel cavo della mano, e
gettandoglielo nel viso, gli disse:
— Sciagurato, lascia questa forma d’uomo, e
prendi quella di un brutto cavallo losco e zoppo!
Queste parole non fecero nessun effetto, e la
maga fu estremamente meravigliata di vedere il re Beder nello stesso
stato, dando solamente segni di grande spavento.
Arrossì tutta nel volto avendo veduto venirle
fallito il colpo, gli disse:
— Caro Beder, non è nulla, rimettetevi: io
non ho voluto già farvi del male; l’ho fatto solamente per vedere che
cosa avreste detto!
— Potente regina — rispose il re Beder —
lasciamo questo discorso, e poich’ho mangiato della vostra torta, fatemi
la grazia di gustar la mia.
La regina Labe, che non poteva meglio
giustificarsi se non dando questa prova di confidenza al re di Persia, ruppe un pezzo
di torta e ne mangiò. Dopo che la ebbe inghiottita parve tutta
turbata e restò come immobile. Il re Beder, senza perder tempo, prese
dell’acqua nello stesso bacino, e gettandogliela in viso, esclamò:
— Abbominevole maga, lascia questa figura e
prendi quella di una cavalla.
Immantinente la regina
Labe fu cangiata in una cavalla bellissima, e la sua confusione fu tanto
grande nel vedersi così trasformata, che versò lagrime in abbondanza.
Abbassò la testa fino a’ piedi del re Beder
come per muoverlo a compassione: ma quand’anche egli si fosse lasciato
commuovere, non era in suo potere di riparare al male che aveva fatto.
Egli menò la cavalla alla scuderia del
palazzo, ove la pose fra le mani d’un palafreniere per farle metter la
sella e la briglia. Fece poscia sellare e metter la briglia a due
cavalli, uno per lui e l’altro pel palafreniere, dal quale si fece
seguire fino alla casa del vecchio Abdallah colla cavalla a mano.
Il re Beder scese a terra arrivando, ed entrò
nella bottega di Abdallah, che abbracciò ringraziandolo di tutti i
servigi resigli. Gli raccontò l’accaduto, e gli disse pure di non aver
trovata nessuna briglia propria per la cavalla.
Abdallah, tenendone una buona per tutti i
cavalli, la pose egli stesso alla cavalla, ed appena il re Beder ebbe
accomiatato il palafreniere coi due cavalli, gli disse:
— Sire, non avete bisogno di arrestarvi più
oltre in questa città, salite sulla cavalla, e tornate al vostro Regno.
La sola cosa che debbo raccomandarvi, si è che nel caso veniate a
disfarvi della cavalla, di guardarvi bene dal darla colla briglia.
Il re Beder gli promise di sovvenirsene, e
dopo avergli detto addio, partì.
Tre giorni dopo la sua partenza, arrivò ad
una grande città, ed essendo in un sobborgo, fu incontrato da un vecchio
di qualche considerazione, che andava a piedi ad una casa di campagna
che quivi aveva.
— Signore — gli disse il vecchio fermandosi —
mi è egli permesso chiedervi da qual parte venite?
Il re Beder si fermò eziandio per
soddisfarlo, e come il vecchio gli faceva tante domande, una vecchia
sopravvenne mettendosi a piangere e guardando la cavalla con tanti
sospiri.
Il re Beder e il vecchio interruppero il loro
colloquio per riguardare la vecchia, ed il re Beder le chiese qual
motivo avesse di piangere.
— Signore — rispos’ella — si è che la vostra
cavalla rassomiglia perfettissimamente ad una che aveva mio figlio e che
io piango ancora per amor suo. Vendetela, ve ne supplico, ve la pagherò
quanto vale, ed oltre a ciò ve ne avrò una grandissima obbligazione.
— Buona madre — replicò il re Beder — io ve
la concederei volentieri, se mi fossi determinato a disfarmi d’una sì
buona cavalla: ma quando ciò fosse, non credo vorreste darmi
mille piastre d’oro, perché in questo caso non la stimerei meno.
Immantinente la vecchia slacciò una borsa che
aveva intorno alla cintura, e presentandogliela esclamò:
— Abbiate la bontà di scendere, affinché
contiamo se vi è la somma.
Il re Beder, molto afflitto d’essersi
impegnato in così tristo affare con tanta inconsideratezza, scese a
terra con grandissimo dispiacere.
La vecchia fu
sollecita ad impadronirsi della briglia ed a torla alla cavalla, ed
ancora più a prender nella mano dell’acqua di un ruscello che scorreva
in mezzo alla via, e di gettarla sulla cavalla, dicendo queste parole:
— Figliuola mia lasciate questa strana forma
e riprendete la vostra!
Il cangiamento si fece in un attimo e il re
Beder, che svenne al veder comparire la regina Labe, sarebbe caduto per
terra, se il vecchio non lo avesse sostenuto.
La vecchia, ch’era madre della regina Labe, e
che l’aveva istruita di tutt’i suoi segreti nella magia, non ebbe appena
abbracciata la figliuola per dimostrare la sua gioia, che in un istante
fece apparire con un fischio un orribile Genio, di una figura e
grandezza gigantesca.
Il Genio prese immantinente il re Beder sopra
una spalla, abbracciò con un braccio la vecchia e la regina maga, e li
trasportò in un momento al palagio della regina Labe, nella Città degli
incanti.
Furiosa la regina maga, fece grandi
rimproveri al re Beder appena fu di ritorno nel suo palagio dicendogli:
— Lascia questa forma d’uomo, e prendi la
figura d’un brutto gufo!
Le sue parole furon seguite dall’effetto, ed
immantinente comandò ad una delle sue donne di chiudere il gufo in una gabbia, e di non dargli né da
bere né da mangiare.
La donna portò via la gabbia, ma senza aver
riguardo dell’ordine della regina Labe, vi pose del mangiare e
dell’acqua. Ed oltre a ciò, siccome era amica del vecchio Abdallah,
mandò ad avvertirlo segretamente in qual guisa la regina avesse trattato
suo nipote.
Abdallah vide bene che non v’era da
transigere colla regina Labe. Egli non fece che fischiare in un certo
modo, ed immantinenti un gran Genio a quattro ali si fece vedere innanzi
a lui.
— Lampo — gli diss’egli, che così chiamavasi
quel Genio — si tratta di conservare la vita del re Beder, il figliuolo
della regina Gulnara. Va’ dunque al palazzo della Maga e trasporta sul
momento alla capitale della Persia la donna piena di compassione cui la
regina ha data la gabbia in custodia, affinché essa informi la regina
Gulnara del pericolo che corre il re suo figliuolo e del bisogno che ha
del soccorso di lei.
Lampo disparve e passò in un momento al
palazzo della maga.
Istruita la donna, la rapì nell’aria, e la
trasportò alla capitale della Persia, ove la posò sul terrazzo che
corrispondeva all’appartamento della regina Gulnara.
La donna discese per la scala che vi
conduceva, e trovò la regina, Gulnara e la regina Farasche sua madre.
Essa, fece loro una profonda riverenza, e
dalla narrazione che fece, esse conobbero il bisogno che il re Beder
aveva di essere prontamente soccorso.
A questa notizia la regina Gulnara provò un
trasporto di gioia. Immantinente uscì e comandò che si suonassero le
trombe e i tamburi del palagio, per annunziare a tutta la città che il
re di Persia sarebbe ben presto giunto.
Ritornando, trovò il re Saleh, suo fratello,
il quale la regina Farasche aveva già fatto venire.
Il re Saleh assembrò un potente esercito
delle milizie dei suoi Stati marini, e s’alzò ben presto dal fondo del
mare. Chiamò anche in suo soccorso i Genî alleati i quali comparirono
con un altro esercito più numeroso del suo.
Quando i due eserciti furon riuniti, ne
presero il comando la regina Farasche, la regina Gulnara e le
principesse. Alzatisi nell’aria, scesero in pochi momenti sul palazzo e
sulla Città degl’incanti, in cui la regina
maga, la madre sua e tutti gli Adoratori del Fuoco furono distrutti in
un batter d’occhio.
La regina Gulnara s’era fatta seguire dalla
donna della regina Labe, ch’era andata a portarle la notizia
dell’incanto e della prigionia del re suo figliuolo, e le aveva
raccomandato di non aver altra cura nella mischia, se non d’andar a
prendere la gabbia e di portargliela. Quest’ordine fu eseguito com’ella
desiderava, ed aperta ella medesima la gabbia, ne trasse fuori il gufo,
e gettando su lui dell’acqua, che s’era fatta portare, disse:
— Mio caro figliuolo, lascia questa figura
strana e riprendi quella d’uomo.
Immantinente la regina Gulnara non vide più
il brutto gufo, ma sibbene il re Beder suo figliuolo.
La prima cura della regina Gulnara fu di far
ricercare il vecchio Abdallah, cui era debitrice della ricuperazione del
re di Persia, e appena gli fu condotto innanzi gli disse:
L’obbligazione che vi ho, è così grande, che
non vi è nulla ch’io non sia pronta a fare per mostrarvene la mia
riconoscenza: dite voi medesimo in che cosa posso servirvi e sarete
subito soddisfatto.
— Gran regina — rispose egli — se la signora
che vi ho inviata vuol consentire alla proposta di matrimonio che io le
faccio, e se il re di Persia vuol soffrirmi alla sua Corte, io consacro
di buon grado il resto de’ miei giorni al suo servizio.
La regina Gulnara si volse immediatamente
dalla parte della signora, la quale era presente, ed avendo fatto
conoscere con gentil pudore di non aver ripugnanze per quelle nozze,
facendo loro prendere vicendevolmente la mano, il re di Persia ed essa
ebbero cura della loro fortuna.
Questo matrimonio dette luogo al re di Persia
di prendere la parola rivolgendosi alla regina sua madre, alla quale
disse sorridendo:
— Signora, son lietissimo di questo
matrimonio che avete contratto: ma ne resta uno a cui dovreste pensare.
La regina Gulnara non comprese dapprima di
qual matrimonio intendesse parlare: e pensatovi un poco, appena lo ebbe
compreso, rispose:
— Voi volete parlare del vostro, ed io vi
consento molto volentieri.
Il re Saleh si fece portare un braciere con
del fuoco, su cui gettò una certa composizione, dicendo delle parole misteriose; appena il fuoco cominciò
ad innalzarsi, tremò il palagio, e si vide ben presto comparire il re di
Samandal cogli ufficiali del re Saleh i quali lo accompagnavano. Il re
di Persia si gettò immantinenti a’ suoi piedi, e rimanendo ginocchioni
diss’egli:
— Sire, non è più il re Saleh che chiede alla
Maestà Vostra l’onore del suo parentado col re di Persia: è lo stesso re
di Persia che vi supplica di fargli questa grazia, e di non farlo morire
di disperazione.
Il re di Samandal non soffrì più lungo tempo
che il re di Persia restasse a’ suoi piedi.
Egli l’abbracciò, e dopo averlo obbligato a
rialzarsi, così gli rispose:
— Sire, sarei molto dolente di contribuire in
qualche cosa alla morte d’un monarca sì degno di vivere. S’egli e vero
che una vita preziosa possa conservarsi senza il possesso di mia figlia,
vivete, Sire, ella è vostra.
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