AVERROÈ
Muhammad ibn Ahmad Muhammad
ibn Rushd (Cordova 1126 - Marrakech 1198), conosciuto con il nome latinizzato
di Averroè, è stato un importante filosofo e giurista arabo.
Nato in una famiglia di
giuristi, Averroè diventò egli stesso giurista, filosofo e medico; occupò
la carica di qadi (magistrato musulmano che si occupava del diritto
civile e penale) nella Cordova degli Almohadi.
Ad Averroè si deve certamente
riconoscere il compito di aver tradotto e commentato le opere di Aristotele
(prima del suo lavoro, infatti, erano molto poche le opere di Aristotele
diffuse nell’Europa latina). “Il Commentatore”, come era chiamato
con deferenza da Tommaso d’Aquino, inizia la sua opera mentre era al servizio,
in qualità di medico, del califfo Abu Yaqub Yusuf.
I commenti di Averroè si
concentrano principalmente sulle opere di Aristotele; de “il Filosofo”,
colui “che ‘l gran comento feo” (Divina Commedia, Inferno, canto
IV) mira a comprenderne il vero pensiero, convinto che la verità di ragione
non contrasta con la verità di fede. Da questa concezione è stata erroneamente
attribuita ad Averroè la dottrina della doppia verità. In realtà
Averroè afferma che la verità è una sola, in quanto conferma la rivelazione;
molteplici sono però i modi in cui si arriva ad essa. Riprendendo la dottrina
aristotelica, Averroè distingue tre gradi di argomentazione: essa può essere
scientifica o dimostrativa, propria del filosofo, dialettica, ossia del
teologo, e retorica, comune alla maggior parte degli uomini.
Seguendo questa concezione,
Averroè arriva a sottolineare l’unicità di Dio; a lui si deve la
creazione del mondo e della natura (secondo la concezione aristotelica del
primo motore immobile), organizzata secondo relazioni causali stabili
tra i fenomeni. Solo Dio, inoltre, può giudicare gli uomini. A seconda della
verità che raggiungeranno, tutti gli uomini devono riconoscere la fede.
Di certo, i filosofi raggiungeranno con la ragione una verità di livello
più alto. La filosofia, secondo Averroè, non contraddice certo la verità
della religione; questa, infatti, impone l’esercizio della filosofia, così
come la filosofia palesa l’utilità della religione.
In opposizione a quando
detto dal filosofo persiano Al-Ghazali, che nello scritto “Incorenza dei
filosofi” criticava tra l’altro la tesi dell’immortalità dell’anima, Averroè
(La distruzione della distruzione), ampliando la tesi di Aristotele
dell’intelletto, arriva alla conclusione che l’intelletto, sia quello
attivo (che per sua natura è divino), sia quello potenziale o materiale
(comune a tutti gli uomini e nel quale si raccolgono tutte le conoscenze
umane), è unico ed immortale. “Chi pensa è immortale, chi non pensa
muore”, diceva Averroè; la scienza presente in ogni uomo muore con l’uomo
stesso, ma non viene meno la scienza che è presente nell’intelletto. Da
ciò deriva che, come il mondo, anche l’uomo e la scienza sono eterni,
ed anch’essi dipendono da Dio, che è il primo motore.
Ad Averroè si deve inoltre,
oltre alla diffusione dei testi aristotelici, l’autonomia dell’indagine
razionale dalla fede. Ma questa indipendenza portò alla condanna delle sue
tesi nella tradizione islamica.
Averroè scrisse inoltre
di astronomia, diritto e medicina; oltre al commento delle opere aristoteliche
(Grande, Medio e Piccolo commento), si ricorda il commento della
Repubblica di Platone, La distruzione della distruzione e
l’opera medica Colligeto.
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