A otto km da Desenzano del Garda e a 110 metri sul
livello del mare, nell’anfiteatro morenico benacense, si trova San Martino
della Battaglia: una cittadina posta in una località ridente, deliziosa
e serena che sembra quasi impossibile credere che fu teatro di una sanguinosa
battaglia durante la seconda guerra di indipendenza.
Tre erano le aspirazioni del Risorgimento: indipendenza,
unità e libertà, rappresentate da tre grandi uomini: Cavour, Garibaldi e
Mazzini.
Cavour mirava a legare culturalmente e politicamente
il nord Europa e l’Italia attraverso un aiuto militare dall’esterno in modo
da escludere i pericoli di qualsiasi insurrezione popolare.
Garibaldi ambiva unificare l’Italia in nome di Vittorio
Emanuele II.
Mazzini faceva del nazionalismo una religione secondo
la quale la pace nel mondo si sarebbe realizzata nel momento in cui ciascuna
nazione avesse vissuto pacificamente all’interno dei suoi naturali confini
etnici.
Questa era la realtà dell’epoca e per il raggiungimento
di quei fini serviva l’amor di patria, serviva l’orgoglio di essere italiani,
serviva la fierezza di combattere per giusti ideali e quando l’uomo rifiuta
di sottomettersi alla tirannia e si ribella, è il momento che nella storia
vengono scritte le pagine più eroiche e dolenti.
Sulle alture di San Martino nel corso della seconda
guerra di indipendenza migliaia e migliaia di giovani, arruolati nelle truppe
piemontesi comandate dal Re Vittorio Emanuele II, il 24 giugno 1859 sconfissero
gli austriaci mentre più a sud, a Solferino, si combatteva la battaglia
tra francesi e il resto dell'esercito austriaco che aveva la meglio.
Su quelle stesse alture, dal 1893, a testimonianza
di tante vite sacrificate svetta una torre alta 74 metri, detta La Spia
D’Italia, dedicata a Vittorio Emanuele Re d’Italia, la cui visita, oggi,
a cento e poco più anni di distanza dà una emozione che sembra portarci
indietro nel tempo e par di sentire il fragore della battaglia che si svolse
in quella località chiamata "Il Roccolo" e che fu testimone di aspri combattimenti.
La battaglia non era prevista per quel giorno e l’unica
cosa che separava tutti quei giovani dalla morte, impersonata dal nemico,
era la paura, l’angoscia che assale nell’attesa di un combattimento o nella
sorpresa di un conflitto inaspettato.
Gli eserciti asburgici sconfitti in Lombardia, si
erano momentaneamente ritirati dietro il fiume Mincio per ricostituirsi,
protetti da Peschiera e da Mantova. Iniziato il movimento franco-piemontese,
all’alba del 24 giugno, i piemontesi, al primo urto con il nemico, credendo
di trovarsi di fronte a semplici reparti di retroguardia, iniziarono a combatterlo:
gli austriaci contrattaccarono con successo. Poi, sopraggiunti rinforzi
ai piemontesi, questi riuscirono gradualmente, verso la metà del pomeriggio
a prevalere sui nemici; poco prima del tramonto, infine, Vittorio Emanuele
decise di coordinare gli sforzi per un decisivo attacco finale, che, nonostante
gravissime perdite, riuscì felicemente; alle ore 20 le alture di San Martino.
erano sgombre e due ore dopo il Generale Fanti stabiliva il quartiere generale
a Pozzolengo.
Quei giovani combatterono uomo contro uomo, corpo
contro corpo, non chiedevano nulla per il sacrificio che si apprestavano
a compiere, costretti a lottare e a morire per quei valori intensamente
legati all’amore di patria.
Pagarono duramente il loro eroismo, il campo di battaglia
era ricoperto di sangue, di feriti, di agonizzanti, di morti, tanti morti.
Tuonavano i cannoni alle 8 di mattina, quando iniziò
il combattimento, tra le brigate austriache e i bersaglieri incaricati di
proteggere la ritirata della colonna Cadorna e ad alterni attacchi e contrattacchi
i fragori della guerra durarono l’intera giornata: caricare i fucili,… sparare;
caricare i cannoni,… sparare;.soccorrere i feriti,… avanzare; cadere nella
polvere,… rialzarsi; aver paura di morire e morire.
Giovani vite, schierate in prima linea, pronte a mostrare
con fierezza il petto al nemico, il fucile in braccio, avanzavano, cadevano,
uno dietro l’altro, nell’ultimo slancio di patriottismo che annulla il senso
della vita, in nome di quei valori profondamente radicati nella coscienza
nazionale.
Erano le ore 19 quando per azione dell’undicesimo
fanteria, del terzo battaglione della XVIII fanteria e dei reparti della
quinta fanteria venivano occupate le colline di San Martino ponendo fine
ai combattimenti.
Per le gravi perdite subite sia dalle truppe italiane
sia dalle truppe austriache furono conferite numerose medaglie e ricompense
al valore.
Ma che cosa rimane oggi di tutto quel patriottismo?
Con grande amarezza: una torre! Un simbolo quasi ignorato,
neanche più tanto visitato, un luogo mistico di grande emozione che sembra
appartenere ad un passato molto più lontano di quello che è. Come un grido
nel buio profondo, come quello di tutti quei giovani nello spasimo della
morte, lontano, … che nessuno sente più.
La torre di San Martino della Battaglia è un monumento
visitabile in tutta la sua altezza tramite una rampa interna circolare che
sale di piano in piano mostrando alle pareti affreschi di celebri battaglie:
al primo piano il pittore Veronese De Stefani immortala la vittoriosa battaglia
di Goito del 30 maggio 1848 quando al grido : "a me le guardie per l’onore
di casa Savoia" il Duca Vittorio Emanuele incita la carica dei granatieri
di Sardegna; in quell’occasione il Duca rimarrà ferito.
Nel successivo piano un affresco del pittore Bressanin
evidenzia il combattimento del 27 giugno 1849 a Venezia , al forte Sant’Antonio,
dove trovò la morte il colonnello Cesare Rosaroll dell’esercito napoletano.
La guerra di Crimea è l’argomento del terzo affresco;
è il 16 agosto del 1856 e l’esercito piemontese al comando del generale
Alfonso La Marmora vince la battaglia contro i Russi sulle sponde del fiume
Cernaia. La mano è quella del pittore Di Stefani.
Il quarto affresco è dedicato dal pittore Raffaele
Pontremoli all’ultimo vittorioso assalto al colle di San Martino avvenuto
il 24 giugno 1859, dopo un temporale e nel quadro, in primo piano sono ritratti
il re Vittorio Emanuele II, il generale Mollard e il maggiore Thaon de Revel.
Nel quinto affresco: il pittore Vizzotto ritrae la
campagna garibaldina dei mille del 19 settembre 1860 nei pressi di Capua
dove vi fu un combattimento tra garibaldini e truppe del re di Napoli Francesco
II di Borbone.
L’episodio del 24 giugno 1866 della terza guerra di
indipendenza e relativo alla battaglia di Custoza è dipinto dal pittore
Pontremoli nel penultimo affresco e compare il principe Umberto di Savoia
che presso Villafranca, dopo aver formato un quadrato del quarto battaglione
del quarantanovesimo fanteria resiste alla carica della cavalleria austriaca.
Nel settimo e ultimo affresco il pittore Vizzotto
ritrae la campagna per la presa di Roma del 20 settembre 1870 quando fu
dato l’assalto alle mura di Roma da parte delle truppe del regio esercito
italiano al comando del generale Raffaele Cadorna.
Viene dipinto l’episodio della morte del maggiore
Pagliari presso la Porta Pia dove viene aperta la famosa breccia che, dando
Roma all’Italia, coronerà l'opera del Risorgimento italiano.
Diana Onni
foto a cura di Sandro Bianchi