Cultura: ASSOCIAZIONI, BIBLIOTECHE, LUOGHI, personaggi e festività rubrica di  CORRERENELVERDEONLINE

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cultura: rubrica dedicata ad associazioni, biblioteche, luoghi, personaggi e festività


 

SABBIONETA

galleria degli antichi

cornicione palazzo giardino

aforisma

E’ la cittadina a forma di stella, fondata da Vespasiano Gonzaga nella verde e umida pianura lombarda, ricca di quei richiami ai miti della romanità, così cari al suo fondatore da desiderare di inserire, nella bassa padana, una “piccola Roma” che richiamasse la memoria della grandiosità dell’età imperiale romana e una “piccola Atene” che richiamasse la memoria della classicità.
L’impianto viario ortogonale, i cippi di marmo posti a delimitare i quartieri, la statua di Minerva sistemata nel punto d’incrocio tra il cardine e il decumano (nell’antica Roma erano le due linee ideali che intersecandosi dividevano lo spazio in quattro parti), il Teatro all’Antica sono solo alcuni degli elementi che confermano il grande amore per la “ruina romana”, quale testimone della grandezza di Roma, come dice l’aforisma latino posto all’esterno del Teatro: “Roma quanta fuit ipsa ruina docet” “quanto fu grande Roma la stessa rovina lo insegna “.
Il nome Sabbioneta deriva da sabbia netta, pulita, perché dove ora insiste la cittadina c’era tutta una palude maleodorante e umida che solo il disegno ambizioso di un Gonzaga poteva risanare e bonificare; ancora oggi, Sabbioneta, è uno dei punti più umidi e afosi del territorio.
Le origini di Sabbioneta la fanno risalire ad un antico possedimento dell’Abbazia di Leno e fino al secolo XVI non era altro che un modesto villaggio umido e freddo d’inverno, malsano e bruciante d’estate.
Fu Vespasiano Gonzaga che nel 1553 iniziò a farne un centro di cultura con la costruzione di palazzi, chiese e monumenti per cercare di ricreare, nella bassa padana, l’alone di Roma, i ricordi della fanciullezza e della sua prima adolescenza come il feudo di Fondi, dove era nato, al confine tra il regno di Napoli e le terre papaline.
Per Vespasiano, Roma, voleva dire il ricordo del padre Rodomonte che aveva partecipato al sacco del 1527 e che vicino Roma, a Vicovaro, era morto per un colpo d’archibugio mentre assaltava un castello degli Orsini. Roma voleva dire la guerra di Paliano e la campagna del 1556 quando Vespasiano appena venticinquenne, ma già brillante generale dell’Impero, riconquistò Anagni e Vicovaro, quest’ultima degli Orsini, vendicando così la morte del padre.
Roma, infine, era il luogo rappresentativo della grandezza dei Cesari, era il Sacro Romano Impero da lui fedelmente servito e difeso per tanti anni come soldato, come uomo di spada, come architetto militare, come politico e come diplomatico.
A soli 18 anni, Vespasiano fu ferito da un colpo d’archibugio che gli deturpò il volto, quasi sezionandogli parte del setto nasale (le sue effigi lo mostrano sempre di profilo per tramandare ai posteri la parte sana); a 50 anni andava ancora a cavallo nonostante un intervento di trapanazione del cranio per l’eliminazione della gomma luetica o sifilitica che gli comprimeva il cervello, procurandogli fortissimi dolori, quasi da rasentare la pazzia.
La sifilide in quel tempo non era ben conosciuta, si conoscevano le vie di contagio ma non si conoscevano le cure e i rimedi se non quello della trapanazione del cranio.
Nel maggio del 1588 Vespasiano Gonzaga aveva 57 anni, non eccessivamente vecchio per i tempi ma in cattiva salute, logorato nel corpo e nello spirito. A pesargli non erano solo le ferite e i disagi di tante campagne, né la malattia degli ultimi tempi, ma, il destino, che gli aveva riservato prove dolorose: la morte prematura di due mogli (foschi sospetti, probabilmente infondati, d’infedeltà coniugale e di segreto uxoricidio), la tragedia dell’unico figlio maschio morto a 15 anni per sifilide congenita, dopo tre mesi di sofferenze; (la tradizione popolare dà un’altra versione della morte del giovane causata dalle conseguenze di un calcio all’inguine sferratogli dal collerico padre in un eccesso d’ira) ma, soprattutto, il destino di Sabbioneta che, dopo la morte di Vespasiano, non sarà più il polo vitale e attrattivo di artisti e di intellettuali ma entrerà in un limbo dormiente e triste, in attesa di un risveglio che aleggia, ancora oggi, nell’aria ma che non arriva mai.
Ed è proprio questa la sensazione che il turista avverte nel visitare Sabbioneta: una inutile bellezza, una esagerata grandezza, un sipario rimasto alzato sull’ultima scena, proprio come accade in un teatro quando, finito lo spettacolo, il pubblico esce e tutto è silenzio.
Ma, forse, fu proprio questo che voleva Vespasiano: lasciare il suo personale ricordo di grandiosità ma con la gelosia morbosa che neanche un figlio potesse modificare; del resto anche la grandissima Roma, dopo tutti i suoi trionfi, era caduta in un limbo dormiente anche se viva nel ricordo.
Sabbioneta era una sua creazione, il popolo di Sabbioneta gli apparteneva e nessuno, nemmeno il Papa, poteva permettersi di interferire; non tollerava le bolle papali e severissime erano le sue decisioni di lasciare fuori dalle mura di Sabbioneta qualunque interferenza clericale; fuori Sabbioneta infieriva l’inquisizione, dentro Sabbioneta non si sapeva nemmeno cosa fosse; fuori le mura si combattevano le battaglie religiose e di potere, dentro le mura si organizzavano feste, ricevimenti e si andava a teatro; fuori la cittadina piovevano scomuniche, entro la cittadina regnava la pace e il benessere.
La sua città era una città multietnica con l’estensione al popolo della cultura e dell’istruzione; inaugurerà una scuola alla quale anche i meno abbienti potevano accedere.
Favorirà l’insediamento di una comunità ebraica; consentirà l’apertura di una stamperia da cui verranno editi più di 150 volumi; testi che, purtroppo, spariranno con la morte di Vespasiano e con l’entrata a Sabbioneta di Diego de Espinosa, l’inquisitore spagnolo, intransigente ed altero, che farà un rogo depuratore con tutti quei volumi.
Quali sono i monumenti lasciatici da Vespasiano Gonzaga e che ancora oggi si possono ammirare e ci consentono di capire il suo grande amore per Roma e per Sabbioneta?

L’AMPIA CERCHIA MURARIA
La città stellata prendeva forma nella verde e umida pianura: un’imponente cerchia muraria a forma di stella irregolare con le porte urbiche e sei baluardi a guardia e a difesa della città; ancora oggi suggestiona e colpisce.

IL PALAZZO GIARDINO
Eretto nel 1584 come luogo di delizie del Principe, ha un semplice esterno abbellito da un ricco cornicione di legno. All’interno si susseguono diverse sale e salette dove Vespasiano Gonzaga, amante della storia romana, aveva cercato di ricreare, in questa sua dimora, l’atmosfera dell’antica Roma commissionando una serie di affreschi che riproducessero le vedute di Roma come il Circo Massimo, il Circo Flaminio, ….
Non cerca maestranze famose, ed affida i lavori ad artisti locali che operano a Sabbioneta; commissiona decorazioni di terzo stile pompeiano che rappresentano scene mitologiche ricavate dalle narrazioni contenute nelle “Metamorfosi di Ovidio”.
La sala più rappresentativa del palazzo è quella dove si tenevano le danze; il ballo in uso a quei tempi era la pavona: una specie di girotondo, intervallato da inchini, alternati, tra dame e cavalieri; nel cinquecento non esistono ancora danze movimentate perciò non sono necessari grandi spazi e grandi volumi, quindi, anche il salone delle feste non richiede una eccessiva ampiezza ma è reso più luminoso con la presenza di specchi probabilmente inseriti nei lacunari del soffitto.
I dipinti richiamano la tematica delle feste e dei paesaggi bucolici: la caccia al cinghiale, la passeggiata agreste, il parco.
Le grandi porte-finestre si aprivano su un parco dove erano allestiti banchetti galleggianti: non c’è più nulla dell’antico giardino dove il banchetto galleggiante, alla maniera del Canopo di Villa Adriana a Tivoli, era allestito in maniera che vassoi fluttuanti sull’acqua contenessero cibi appetitosi e prelibati che i commensali potevano gustare prelevandoli direttamente dalle leggerissime onde formate da una serie di giochi d’acqua, come accadeva nell’atmosfera offerta dall’Imperatore Adriano a Tivoli.
Purtroppo le esercitazioni militari dei soldati di Napoleone Bonaparte hanno causato l’interramento e la quasi totale distruzione di quei giochi d’acqua ed oggi resta soltanto una scaletta e la denominazione del palazzo giardino a ricordare una bellezza che ormai appartiene alla storia.

LA GALLERIA DEGLI ANTICHI
Fatta costruire nel 1583 ospitava le opere d’arte che Vespasiano amava mostrare ai suoi ospiti.
Lunga 96 metri con un soffitto in legno decorato e affreschi parietali raffiguranti allegorie femminili, era il luogo ideale per esporre le imponenti collezioni di reperti archeologici come gli antichi marmi prelevati nel nord Africa allorquando il Re Filippo II lo invia a governare un presidio spagnolo, oppure le statue romane (ben 2500) che verranno ad occupare tutta la fascia centrale, o le 200 armature appartenute agli antenati di Vespasiano ed, ancora, i numerosi animali esotici mummificati: varie specie di rettili, scimmie, …
Oggi la galleria detiene solo un posto rilevante per i suoi 96 metri di lunghezza: è la terza per estensione in Europa; viene subito dopo la Galleria degli Uffizi di Firenze (metri 145) e la Galleria della Carte geografiche del Vaticano (metri 120) perché di tutte le collezioni non rimane più nulla fin dalla prima metà del ’700 quando Sabbioneta diventa parte del dominio austriaco e Maria Teresa d’Austria trasferirà tutto il patrimonio, collezioni e suppellettili, nella sua residenza estiva di Vienna senza risparmiare nemmeno il pavimento monocromo in marmo giallo di Siena; un pavimento che Vespasiano aveva fortemente voluto per conferire alla galleria una parvenza di oro quando la luce del sole che filtrava, da levante a ponente, attraverso studiate finestrature, colpiva il pavimento di marmo giallo valorizzando le sue collezioni.

IL TEATRO ALL’ANTICA
Era il maggio del 1588 quando l’architetto Vincenzo Scamozzi portò a Vespasiano Gonzaga il progetto del teatro (progetto ancora conservato in copia autografa al numero di inventario 191 A del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi di Firenze) che doveva rispecchiare l’immagine che Vespasiano aveva voluto dare a Sabbioneta: la “piccola Roma” per la grandiosità della storia, la “piccola Atene” per la classicità.
Da ciò l’idea di costruire il teatro sul modello del teatro greco all’aperto con gradinate a ferro di cavallo e con la scena che sul fondo, per mezzo di affreschi, facesse apparire catene montuose e torri svettanti come ad aprire l’orizzonte e poi, l’altra idea di trasferire nello spazio del teatro il mito di Roma con gli affreschi che immortalano la mole di Adriano che solo più tardi diventerà Castel Sant’Angelo, la Piazza del Campidoglio, il Colosseo….
Le pareti del teatro, affrescate a monocromo, mostrano finte statue di imperatori romani e le sommità delle pareti si concludono con un grande affresco che evidenzia una balconata con dame e cavalieri, musici e giocolieri che osservano di sotto lo scenario: le palpebre abbassate, il sorriso sui volti distesi a godere le rappresentazioni.
Infine la loggia, il luogo più importante, caratterizzata da un peristilio corinzio con 12 colonne sormontate da una trabeazione su cui, in corrispondenza delle colonne stesse, sono collocate 12 statue di dei dell’Olimpo.
La soffittatura ideata dall’architetto Scamozzi era ben diversa da quella che si vede ora; sulla volta – a carena di nave rovesciata - era dipinto uno scenario notturno con costellazione; dalla volta pendevano bocce di cristallo dondolanti e riempite di liquidi colorati e profumati che attraversate da fasci di luce delle torce proiettavano ombre psichedeliche sopra le stelle; il tutto per dare la sensazione di un’apertura ipotetica come se si trattasse di un teatro all’aperto, come quello greco le cui rappresentazioni avvenivano, di sera, sotto le stelle.
Vespasiano Gonzaga sedeva al centro della loggia davanti all’affresco dell’imperatore romano suo omonimo Tito Flavio Vespasiano, con lui erano le dame della sua Corte mentre i gentiluomini occupavano le gradinate.
Il teatro fu inaugurato con i festeggiamenti del carnevale del 1590 e il 27 febbraio1591 Vespasiano moriva senza eredi maschi cosciente che Sabbioneta avrebbe dovuto rappresentare, per la storia, la sua figlia prediletta perché lui la definiva “fattura tutta sua”; un figlio avrebbe alterato l’aspetto urbanistico che lui aveva voluto dare alla città.
Nel 1630 il teatro divenne un lazzaretto a seguito della peste che vide la decimazione della popolazione sabbionetana e da quel momento cominciò la catena distruttiva di tutto ciò che Vespasiano aveva fatto di bello e di importante. Nel ‘700 Maria Teresa d’Austria ordina di trasformare il teatro in una conceria per le pelli; le pelli addossate alle pareti corroderanno irrimediabilmente gli affreschi; e nel 1799 i soldati di Napoleone Bonaparte ne faranno la loro caserma.
La traccia del loro passaggio è terribile: le gradinate in stucco – materiale fonoassorbente che cancella l’eco e purifica il messaggio - vengono divelte, il soffitto viene bruciato.
Oggi, il teatro, è attivo per il festival della musica da camera formata da strumenti musicali particolari come gli arciliuti.

IL PALAZZO DUCALE.
È l’edificio più antico di Sabbioneta e risale al 1554 ed era la sede direttiva ed economica della città.
Al piano superiore Vespasiano aveva fatto allestire le stanze destinate ai vassalli: la Sala del Consiglio, la Sala delle Aquile, gli ambienti di rappresentanza e gli uffici; al piano inferiore, invece, aveva richiesto la costruzione di vani privati da dedicare alla vita quotidiana.
Purtroppo un secolo fa un incendio ha compromesso molte stanze del piano terra e sono andate carbonizzate le statue equestri lignee che formavano la cavalcata commissionata da Vespasiano per celebrare l’ascesa al potere del suo casato composto da molti personaggi che si erano distinti in campo militare; solo quattro si sono salvate dal fuoco e risalgono al 1585.
E’ importante considerare quanto Vespasiano si attenesse alla tipologia andalusa e catalana; Vespasiano vive in Spagna come viceré della Navarra e della Valencia, pernotta nel palazzo dell’Alhambra di Granada e quindi apprezza ed ama gli ornamenti che caratterizzavano la moda spagnola del tempo e che trasferirà, poi, nel Palazzo Ducale: alle pareti farà porre i rivestimenti in cuoio rosso, in cuoio color cremisi, lavorati nelle terre di Cordova e importati a Sabbioneta per isolare i muri dall’umidità; corami molto preziosi arricchiti con foglie d’oro e d’argento.
Imponenti e massicci soffitti di cedro del Libano, finemente intarsiati a mano, rivelano l’opulenza plastica tipica del barocco catalano.
Fa costruire statue equestri in un contesto di celebrazione del suo casato; osservare anche solo quelle superstiti vuol dire acquisire i messaggi e il codice di decesso dei cavalieri che si vuole trasferire all’ospite visitatore.
La criniera dei destrieri è acconciata in modo diverso: quella del cavallo di Vespasiano è più elaborata perché appartiene ad un destriero regale; quella del cavallo del suo bisnonno è più semplice poiché il cavaliere non era noto come condottiero ma come uomo di lettere.
I cavalli che si presentano con la zampa destra sollevata vogliono trasmettere il messaggio che la causa di morte del cavaliere è una circostanza molto privata: una malattia per esempio o la vecchiaia mentre quando i destrieri si presentano con la zampa sinistra alzata, il cavaliere è stato un gran condottiero ed è morto in campo di battaglia come appunto il padre di Vespasiano, Luigi Gonzaga Rodomonte, morto a 33 anni in seguito ad un colpo di archibugio quando il figlio aveva solo un anno di vita.
La statua equestre di Vespasiano monta un destriero importante proprio perché Vespasiano fu un gran viaggiatore e un grande uomo d’armi; la zampa alzata del cavallo è quella destra perché la causa di morte di Vespasiano fu la malattia che lo sconfisse a soli 60 anni.


Diana Onni
Foto eseguite da Sandro Bianchi

 

 

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