Carlo Lorenzetti
Carlo Lorenzetti è stato
allievo di Afro e di Pericle Fazzini, che egli ricorda come “uno spirito
solare, schietto, spontaneo” che lo sollecitava verso una libertà formale
e compositiva, nonché di Alberto Gerardi che gli trasmette la tecnica del
battere metallo, Carlo Lorenzetti (Roma, 1934) sin dall’inizio impernia
la propria ricerca sui concetti di volume, luce, spazio, indagati in opere
geometrizzanti e semplificate nelle quali utilizza il ferro ruvido e leggero.
Le lamiere si piegano, aprendosi in fenditure nei “Rilievi” e “Grandi rilievi”
della fine degli anni Cinquanta, ove i ritmi sincopati delle superfici rientranti
e sporgenti creano una serrata dialettica, tra luci rifratte e ombre che
si addensano. Già dai suoi esordi, nella seconda metà degli anni Cinquanta,
il giovane scultore si impone come protagonista di un sostanziale mutamento
delle modalità di intendere il lavoro sulla tridimensionalità e sullo spazio,
suscitando, così, l’attenzione della critica; con atteggiamento mentale
libero, teso a contraddire la concezione della scultura come peso materico
e come massa solida, Lorenzetti sceglie quale mezzo della sua ricerca la
lastra metallica, che, sbalzata, realizza la terza dimensione con forme
a parete e a terra.
Dopo che nel 1959 gli
viene assegnato il premio nazionale per la giovane scultura dalla
Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, nel 1962 viene invitato da Giovanni
Carandente a partecipare alla fondamentale rassegna di Spoleto “Sculture
nella città” accanto a nomi come Calder, Arp e Moore; al ferro sbalzato,
grafitato e smaltato, negli anni Settanta, subentra l’alluminio anodizzato,
in concomitanza con un progressivo raffinamento formale verso un’astrazione
rigorosa che si alimenta di linee terse e argentine, che esalta la nettezza
dei profili; è il periodo in cui l’artista, come ebbe a scrivere Carlo Giulio
Argan, crea “nitidissime sculture metalliche, in cui la componente cromatica
viene interamente riassorbita nello spazio-luce” attraverso cui si individua
“una geometria del fenomeno invece che del concetto”.
Presente alla Quadriennale
di Roma nel 1973 e per tre volte alla Biennale veneziana (nel 1970, 1972
e 1976), Lorenzetti amplia il territorio d’indagine negli anni successivi,
includendo nuovi materiali come il rame e l’ottone, ma continuando a basarsi,
sull’opposizione dialettica di concavo e convesso e sulla tensione dinamica
che quest’opposizione produce, e a qualificarsi, come egli dice “per una
più spaziosa combinazione di elementi, liberamente modellati a sbalzo, e
per una idea di aerea leggerezza”. Da qualche anno, anche per la partecipazione
a vari concorsi, sono diventate più intense le sue presenze in edifici
pubblici o nell’arredo urbano, ma ciò non ha alterato il suo modo di pensare
la scultura, sempre tesa a trovare i giusti rapporti all’interno di una
propria immagine visiva, che ora cerca spazi sempre più vasti, in una sorta
di immersione nel cosmo che fa pensare a una componente spirituale nell’opera
di Lorenzetti, per il quale “l’arte sacra non deve essere esclusivamente
intesa come illustrazione riconoscibile di un testo sacro o di simboli di
fede. Essa deve aprirsi ad un concetto più ampio di spiritualità, non necessariamente
legato ad esigenze di contenuti precostituiti”.
fonte comunicato stampa della Fondazione Pericle Fazzini
in occasione della Mostra “Carlo Lorenzetti. Il presepe alluminato
e altre opere dal 1995 al 2006” curata da Giuseppe Appella e tenutasi ad
Assisi, Museo Pericle Fazzini.
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