Renato Ranucci, in arte Renato Rascel, nacque a Torino
il 27 aprile del 1912; egli nella sua lunga carriera artistica ha
ricoperto diversi ruoli quali quelli di comico, ballerino, attore, e
cantautore.
Rascel venne al mondo, a Torino, in modo “casuale” (se
così si può definire tale nascita) durante una tournée di cui facevano
parte i genitori Paola Massa (ballerina classica) e Cesare Ranucci
(cantante di operetta).
Il suo legame con la capitale viene suggellato fin
dalla nascita, per opera del padre Cesare, che volle far battezzare suo
figlio nella Basilica di San Pietro.
Fu cresciuto da una sua zia, che lo accolse dopo
essere stato affidato alla stessa parente poiché l'attività dei genitori
non permetteva loro di risiedere in un posto fisso; egli visse ,nel
rione Borgo, con la zia insieme alla sorella Giuseppina che purtroppo lo
abbandonò a causa di una morte precoce alla giovane età di diciassette
anni.
Il suo primo approccio con la vita artistica avvenne
durante gli anni in cui frequentò la Scuola Pontificia Pio IX, che
impartiva disciplina per mezzo dei Fratelli di Nostra Signora della
Misericordia; loro, oltre al tipico insegnamento d'istruzione che ci si
aspetta di trovare in una scuola, impartivano lezioni di ballo,
recitazione e canto.
Le sue peculiarità artistiche emergono subito a tal
punto da divenire un membro del Coro delle Voci Bianche della Cappella
Sistina (diretto all'epoca da Don Lorenzo Perosi) alla precoce età di
dieci anni.
Per farsi conoscere è un periodo d'oro poiché si
esibisce come batterista di un complesso di jazz a livello
dilettantistico presso il Circolo della Stampa.
Arriva anche il debutto in teatro con
l'interpretazione di un bimbo che muore a causa di un sasso tiratogli da
un compagno di giochi nel popolare “Più che monelli” dove recita
affianco del padre divenuto direttore della filodrammatica "Fortitudo".
Lo stesso genitore però non ritenendo la carriera
artistica una fonte remunerativa di guadagno, spinse il figlio Renato
verso occupazioni più stabili ed economicamente redditizie; per un
qualche periodo svolse il lavoro di garzone presso un barbiere, di
muratore e di apprendista calderaio.
Però l'arte usava argomenti molto dissuadenti che
spingevano il giovane Ranucci verso di lei.
Il primo vero lavoro per Renato è quello di musicista
presso il locale “La Bomboniera” all'età di tredici anni;
successivamente si esibirà musicalmente alla "Sala Bruscolotti", luogo
molto conosciuto a Roma.
Il complesso “Arcobaleno” lo prese come membro all'età
di 15 anni; durante gli intervalli dell'orchestra, spinto
dall'impresario teatrale partenopeo Luigi Vitolo, Renato allietava i
presenti con scenette artistiche di danza che riscuotevano ottimi
risultati.
Intorno al 1930 egli decise di scegliersi un
nominativo da usare durante la sua carriera artistica; “Rachel” il nome
di una cipria francese lo ispirò nella scelta di tale appellativo per la
propria carriera.
Però la pronuncia errata formulata da molta gente
indusse lo stesso artista a modificare il “ch” con “sc” da cui nacque
ilo nomignolo “Rascel”.
Le risposte comiche erano nel DNA di Rascel che al
tentativo di sostituzione del suo nome d'arte in “Rascele” da parte di
Achille Starace, rispose «Cambiate prima Manin in "Manino", e poi ne
riparliamo».
I fratelli Schwartz nel 1932 lo inserirono all'interno
della loro compagnia ed egli interpretò, debuttando al Teatro Lirico di
Milano il 24 febbraio 1933, il personaggio di Sigismondo appartenente
all'opera “Al Cavallino Bianco”.
Grazie a questa performance egli si guadagnò il
diritto di essere menzionato ed elogiato nell'articolo del critico
teatrale Renato Simoni, il quale ne sottolineò le peculiarità
acrobatiche.
Da qui egli ebbe l'idea di far nascere dal nulla un
personaggio nuovo per l'epoca, svincolato dai rigidi canoni imposti e
libero di esprimersi per mezzo di un lessico fuori dal comune che
sfruttava molti monologhi impreziositi da frasi anche a doppio senso.
La minutezza del suo fisico e un vestiario
caratterizzato da una palandrana enorme provvista di un taschino sulla
schiena, mixate con le battute comiche inventate anche sul momento e
suggerite dalla sua immensa fantasia contribuirono alla nascita di un
personaggio sputato fuori dagli schemi e inverosimilmente irreale per
quell'epoca.
Inizialmente i risultati prodotti dal suo nuovo
personaggio non furono quelli sperati dall'artista ma la svolta non
tardò ad arrivare; durante una serata al cinema-teatro Medica di Bologna
il pubblico, formato quasi in prevalenza da studenti, lo acclamò con
immenso tripudio anche se all'inizio dell'esibizione il gradimento non
era dei migliori.
Ciò fece comprendere all'artista che solo la nuova
generazione avrebbe apprezzato la sua comicità infarcita di battute
senza logica ma che si dimostrarono risolutive per risollevare il morale
delle nuove leve della gioventù.
All'ironia basata sui doppi sensi di matrice sessuale
dell'epoca Rascel contrappose una comicità genuina, trasparente a volte
anche bambinesca che si poggiava su una componente mimica molto agile ed
acrobatica che ne risaltavano le capacità atletiche.
Ogni sua rappresentazione per lui divenne quindi una
sfida a due tra lui e il suo pubblico; un “duello” in cui impegnarsi per
poter ogni volta portare a casa un successo dopo l'altro.
Durante una pausa nel suo camerino, nel 1939, buttò
giù due righe dello scritto che sarebbe divenuto un suo cavallo da
battaglia: "È arrivata la bufera / è arrivato il temporale / chi sta
bene e chi sta male / e chi sta come gli par".
Il suo pubblico accolse tale surreale e infantile
filastrocca con risate quasi amare in segno di un momento delicato che
stava per abbattersi sull'Europa e incarnato in un probabile scontro
bellico che le parole della canzoncina sembravano echeggiare in modo
ironico.
La censura sarà un'inesorabile costante nella vita
dell'artista che spesso verrà bacchettato dai burocrati che in molte sue
opere (“Torna a casa che mamma ha buttato la pasta”, “La canzone del
baffo”, “La canzone della zanzara tubercolotica” e “Mi chiamo Viscardo”)
vedranno oltraggiosi riferimenti a ideologie contrarie a quelle del
regime.
Egli incarnerà l'ombra della censura in una scena del
film “Gran Varietà” del 1953 in cui vestirà i panni del personaggio del
censore e quelli di se stesso durante l'epoca fascista e post-fascista.
Con il crescere del successo si fecero avanti
scrittori come Vittorio Metz e Cesare Zavattini che realizzarono per lui
sceneggiature e soggetti del suo primo film.
La pellicola “Un manoscritto in bottiglia” vide l'alba
della sua realizzazione nel 1942 e in questa circostanza conobbe e si
innamorò dell'attrice Tina De Mola che ispirò l'artista a scrivere per
la sua musa ispiratrice il brano “Pazzo d'Amore”.
Lo stesso pezzo musicale divenne sia il titolo del
film (diretto da Giacomo Gentilomo) e della colonna sonora.
Il matrimonio tra Tina De Mola e Rascel fu suggellato
il 19 luglio del 1943 ma dopo qualche tempo i due novelli sposi
dovettero trasferirsi in Vaticano per via dell'invasione da parte delle
milizie naziste come conseguenza della disfatta del fascismo.
Colmo di gratitudine verso il Vaticano egli partecipò
alla sezione stampa e propaganda della DC e alla pellicola di propaganda
“Ho scelto l'amore”.
Dopo la conclusione del conflitto bellico egli ricalcò
le scene teatrali introducendo un suo nuovo personaggio, il “Piccolo
Corazziere” che giocava molto sul contrasto tra l'elmo, la grandezza
della sciabola e la sua altezza.
Nella sua carriera artistica il film “Il cappotto”
(ispirato dal racconto omonimo di Nikolai Gogol) di Alberto Lattuada del
1952 segnò il salto di qualità; in questa opera filmica egli dimostrò di
non essere in grado solo di ricoprire ruoli comici e buffi ma anche di
sapersi sapientemente muovere all'interno dell'universo del drammatico.
Tale sua fatica attoriale fu ricompensata con il
meritato premio del "Nastro d'Argento"; sempre nel 1952, precisamente il
15 dicembre, egli debuttò con “Attanasio cavallo vanesio” al Teatro
Sistina di Roma.
Tale rappresentazione faceva parte delle così dette
"favole musicali", magistralmente realizzate per lui da Giovannini e
Garinei; “Attanasio cavallo vanesio” riscosse grande successo che spinse
Rascel a rappresentare, successivamente, anche “Alvaro piuttosto
corsaro” (1953) e “Tobia, candida spia (1954).
I canoni principali dei personaggi, interpretati
all'interno delle pellicole degli anni cinquanta, poggiavano saldamente
quasi sempre sulla figura dell'eroe mancato, imbranato e ingenuo che per
vie tortuose riesce a coronare il suo sogno d'amore
Tra i vari film di quel periodo si possono
piacevolmente ricordare “Napoleone”, coadiuvato dalla bravissima spalla
Raimondo Vianello che interpreta il generale Cambronne, “Il bandolero
stanco”, che lo vede opposto al mastodontico Tino Buazzelli, “Figaro qua
Figaro là”, in cui la sua interpretazione recitativa eguaglia e quasi
supera quella del mostro sacro Totò, “Io sono il Capataz”, affianco alla
bellissima Silvana Pampanini e "Amor non ho...però...però" insieme
all'attrice Gina Lollobrigida.
Anche il campo radiofonico entrò a far parte delle
corde artistiche del poliedrico Rascel che si cimentò in tale avventura
nel 1952 tramite la performance radiofonica del “Barone di Münchhausen”,
trasmessa il 14 aprile dello stesso anno.
Le trasmissioni radiofoniche appassionano Rascel a tal
punto da spingere l'artista a cimentarsi di nuovo in radio con “Una
domanda di matrimonio”, ispirata da uno scritto di Anton Cechov; qui
Rascel veste i panni di Lomov intento a chiedere la mano della sua
fidanzata Natalia alla madre Svitlana Kubukova.
La sua popolarità fu incrementata anche dalla sua
suadente e gentile voce che lo confermerà come una delle presenze più
significative all'interno del mondo radiofonico.
La pellicola “La passeggiata” (1935), tratta da “La
prospettiva” del 1835 di Gogol, segna la sua unica avventura dietro la
macchina da presa come regista; tale film annoverava tra i protagonisti,
Paolo Stoppa e Valentina Cortese.
Però tale opera non riuscì ad eguagliare il successo
del “Cappotto” forse per la trama troppo piccante per quei tempi in cui
si narra la storia di un impacciato istitutore di collegio che si
invaghisce di una prostituta, alimentando malelingue e pettegolezzi tra
gli abitanti della cittadina in cui si svolge la vicenda.
Raggiunta una certa notorietà in campo musicale,
decise di buttarsi anima e corpo nel teatro di prosa, costituendo una
sua compagnia denominata in modo autoironico "Teatro del Piccolo".
Mediante il suo lavoro teatrale con tale compagnia
realizzò “Gli agnellini che mangiano l'edera”, di Noel Langley e “Bobosse”
di André Roussin.
Però tale parentesi teatrale non produsse il risultato
sperato e conscio di tale insuccesso decise nel 1957 di ripercorrere la
strada della commedia musicale; insieme all'avvenente Giovanna Ralli
egli lavorò in un “Un paio d'ali”, che segnò anche il suo battesimo del
fuoco, il 18 settembre 1957 al Teatro Lirico di Milano.
Il brano musicale “Arrivederci Roma”, del 1957,
investì Rascel di quel successo internazionale che girava intorno al
piccolo artista ma che mai prima d'ora l'aveva preso di mira; infatti un
produttore cinematografico di Hollywood offrì a Rascel una pellicola
insieme al tenore Mario Lanza.
In Italia tale progetto filmico venne distribuito con
il titolo dell'omonima canzone “Arrivederci Roma” (titolo originale “The
Seven Hills of Rome”) e sfruttò gli interni degli stabilimenti della
Titanus e gli esterni della capitale come location.
La pellicola mise in risalto l'ottimo affiatamento tra
Marisa Allasio, lo stesso Rascel e il tenore americano.
Saldo fu il legame che si instaurò tra Rascel e Tino
Rossi (cantante e attore francese) che si conobbero in occasione
dell'autorizzazione relativa all'incisione in francese di “Arrivederci
Roma” chiesta dall'artista transalpino al minuto e istrionico torinese.
La loro amicizia fondata sulla reciproca stima
continuò con l'incarico che Rascel decise di portare a termine ovvero la
composizione delle musiche di scena dell'operetta Naples au baiser de
feu, ispirata da uno scritto di Auguste Bailly; già una pellicola di
Richard Brooks, dal titolo “La fiamma e la carne”, era stata realizzata
nel 1954 e vedeva come protagonista Lana Turner.
Il ruolo di maestro concertatore fu calzato da Rascel
in tale opera che fu presentata al pubblico il 7 dicembre del 1957 al
Teatro Mogador di Parigi.
Gli anni vissuti sentimentalmente lontano dalla
propria consorte Tina De Mola si concretizzarono nel 1958 con
l'annullamento del loro matrimonio; però la fine del loro vincolo
matrimoniale non sancì il concludersi della loro intesa artistica che si
si rinnovò durante gli anni successivi al loro divorzio.
La commedia musicale “Un paio d'ali” fu trasmutata sul
grande schermo con il titolo di “Come te movi te fulmino” (1958) di
Mario Mattoli e ovviamente vide come protagonista l'eclettico Rascel.
Sempre nel 1958 egli si mosse all'interno della
pellicola “Policarpo, ufficiale di scrittura” diretto da Mario Soldati,
e interpretato da una Carla Gravina alle prime armi; i panni del
personaggio Policarpo De' Tappetti gli permisero di aggiudicarsi il
David di Donatello.
Nel periodo di maggior diffusione delle trasmissioni
televisive, Rascel decise di intraprendere l'avventura del piccolo
schermo con le partecipazioni in show come 'Na voce, 'na chitarra e un
po' di Rascel, in onda il 22 ottobre del 1955 e “Rascel la nuit”
trasmesso il 6 ottobre del 1956; quest'ultimo non era una vera e propria
trasmissione ma una kermesse musicale con testi di Dino Verde e Guido
Leoni.
Luci e ombre della sua vita artistica annoverano tra
gli insuccessi la prima puntata della trasmissione televisiva “Stasera a
Rascel City”, scritta da Guido Leoni e dallo stesso Renato e diretta da
Eros Macchi, presentata al pubblico il 14 dicembre del 1958; tale evento
viene ricordato ancora oggi come uno dei più grandi flop mai visti in
televisione sul circuito della RAI.
Il pubblico del sabato sera era abituato ormai a
trasmissioni di intrattenimento e la visione di Rascel e degli altri
suoi compagni di “Stasera a Rascel City” (Ernesto Calindri, Tina De Mola
e Mario Carotenuto) vestiti con panni da barboni che animano uno
spettacolo, in una non bene definita zona della città, suscitarono nelle
corde di chi guardava il varietà sensazioni di sbigottimento poiché le
loro aspettative si basavano sulla presenza di graziose ballerine
arricchite da paillettes e comunque su canoni televisivi esteriormente
più accettabili.
Miriadi di telefonate da parte dei telespettatori
bombardarono il centralino della nota azienda italiana.
La critica televisiva, il giorno seguente, attaccò lo
show in maniera non del tutto gradevole con aggettivi duri e spietati a
tal punto che le puntate successive del varietà si basarono su un
copione sistemato di fretta e furia per non troncare del tutto lo
spettacolo.
La carriera di Rascel nel 1960 si arricchì
dell'esperienza del duetto canoro con Tony Dallara all'edizione del
Festival di Sanremo di quell'anno; la coppia presentò il brano musicale
“Romantica” composto dallo stesso Rascel e scritto da Dino Verde.
Lo stile canoro da “urlatore” di Dallara si
contrapponeva all'esibizione melodicamente accennata e pulita di Rascel
e ciò contribuì a decretare l'enorme successo della performance che
valse al duo la vittoria finale.
Però all'epoca tale successo da parte di
Dallara-Rascel fu contornato e alimentato da polemiche nate dalla
convinzione che la composizione della musica di Ranucci non fosse
“farina del suo sacco” ma “clonata”; però la causa in tribunale vide la
vittoria del “piccolo” Rascel che si avvalse dell'aiuto di Igor
Stravinski il quale appose la sua firma sulla perizia presentata.
“Romantica” contribuì al successo internazionale del
duo che si concretizzò con l'ottavo posto all'Eurovision Song Contest;
un altro brano musicale intitolato “Benissimo”, vide la partecipazione
di Rascel insieme ad Alberto Testa.
Il richiamo del teatro fu talmente forte che Rascel
nel dicembre del 1960 mise in piedi “Rascelinaria”, rivista dei
personaggi e delle scene comiche più famose ed appartenenti al dna della
sua vena ironica.
Nel 1961 egli si ripropone teatralmente con “Enrico
'61”, che prendeva spunto dal centenario dell'Unità d'Italia al quale
parteciparono Gisella Soffio, Gloria Paul, Renzo Palmer e Gianrico
Tedeschi; il pubblico scoprì televisivamente tale opera nel 1964.
Altro successo fu “Il giorno della tartaruga” assieme
con Delia Scala e partorito dalle menti di Giovannini e Garinei nel
1964.
Prima di essere trasmessa in televisione nel 1966,
precedentemente fu rappresentata teatralmente nelle principali città
italiane.
Sempre in questo anno il teatro di prosa si riaffaccia
nella vita di Rascel con “La strana coppia” di Neil Simon; al Politeama
di Napoli debutta con il suo rivale in scena, ovvero l'attore Walter
Chiari.
“Venti zecchini d'oro” è una commedia teatrale del
1968 che egli portò al Teatro Sistina, diretta da Franco Zeffirelli e
scritta da Massimo Franciosa, Luigi Magni e Pasquale Festa Campanile.
Due attrici della commedia in questione furono Paola
Borboni e Maria Grazia Buccella; buffo fu un siparietto che si svolse
tra Rascel e la Borboni.
L'attrice arrivò tardi al teatro e allora Rascel
apostrofò l'accaduto indirizzando la seguente frase verso la Borboni:
«Ce l'hai fatta ad arrivare, eh? Brutta vecchiaccia!»; senza cadere in
volgarità e in un tono controllato e sicuro ella rispose nel seguente
modo: «So di essere brutta e vecchia, ma so anche di essere stata
giovane e bella. Tu alto non sei stato mai!».
La sua vita privata sembra essere il riflesso negativo
della sua brillante carriera artistica.
Nel 1966, con un divorzio alle spalle, egli si sposa
con Huguette Cartier, sua segretaria francese ma dopo qualche anno la
sua dolce metà sarà sostituita dall'attrice Giuditta Saltarini; ella
diede alla luce nel 1973 il suo unico erede Cesare.
La sua carriera cinematografica di attore vide il
tramonto nel 1969 dopo avere girato la pellicola “Il trapianto”,
concentrando tutte le sue sinergie nei campi del teatro e della musica.
Un'altra commedia musicale vide la luce nel 1970,
“Alleluia brava gente” di Giovannini e Garinei, che avrebbe avuto come
interpreti lui e il grande Domenico Modugno; però quest'ultimo non vi
partecipò a causa di un infortunio.
Come sostituto di Modugno venne scelto il giovane e
l'allora “inesperto” Gigi Proietti, che consolidò con Rascel un ottimo
connubio nonostante il portamento interpretativo differente e i
numerosissimi anni di differenza tra i due artisti.
Il pubblico del Sistina ricorderà tale performance
come l'ultima di Rascel in quel teatro.
Oltre alle sue tantissime sfaccettature in campo
artistico, Rascel seppe destreggiarsi anche nelle vesti di giornalista.
Durante una tournée egli aveva dato il via ad una
corrispondenza con un settimanale che pubblicava i suoi pensieri e
osservazioni come in un diario di viaggio all'interno della rubrica
intitolata “Dal nostro invidiato speciale”.
La sua passione calcistica, in particolare per la sua
squadra del cuore ovvero la Roma, lo spinse a cimentarsi nei panni di
commentatore sportivo; nel 1969 condurrà il programma sportivo
radiofonico “Tutto da rifare” che veniva trasmesso il lunedì, e nel
quale lo stesso Rascel commentava in modo ironico tutto ciò che si era
verificato durante la domenica sportiva appena conclusasi.
Il quotidiano della capitale “Il tempo” gli dedicò una
sua personale rubrica; anche Giorgio Strehler chiese la sua
collaborazione come consulente per un ciclo di lezioni sulla scrittura
drammaturgica che si tenevano alla scuola del Piccolo Teatro di Milano.
Anche il mondo favolistico entrò in sintonia con
Rascel che divenne scrittore di favole per bambini, facendosi pubblicare
dalla casa Mursia tre libri; tali scritti riscossero un discreto
successo e vennero tradotti in diverse lingue.
Durante gli anni settanta egli fece incetta di
successi e gratificazioni a livello personale.
“I racconti di padre Brown” insieme ad Arnoldo Foà e
diretti da Vittorio Cottafavi, furono una serie di episodi per il
piccolo schermo, tutti appartenenti all'omonima serie tv.
Nuovi particolari e originali motivetti musicali come
“Strilla e butta”, “Il mondezzaro” e “Il consiglione” furono proposti da
Rascel all'interno della trasmissione “Senza Rete” del 1972;
tali brani saranno inglobati in “D'amore si ride”,
ovvero un 33 giri di musica.
Nello stesso anno rappresenta teatralmente “Il
prigioniero della seconda strada” di Neil Simon, nel 1973 “Il capitano
di Köpenick” di Carl Zuckmayer; egli si cimenta anche il opere di
intrattenimento come “Nel mio piccolo... non saprei” del 1974 e “Farsa
d'amore e gelosia” del 1976 con lo stesso Rascel e Giuditta Saltarini
opposti a Francesca Romana Coluzzi e ad Arnoldo Foà.
Nel 1978 conduce “Buonasera con...Renato Rascel” in
cui propone alcuni suoi memorabili personaggi e monologhi ai confini
della realtà con le persone presenti tra il pubblico.
L'anno precedente egli interpretò la parte di un cieco
fin dalla nascita nella serie televisiva di “Gesù di Nazareth” di Franco
Zeffirelli.
Durante gli anni ottanta l'avanzare degli anni limitò
i suoi impegni artistici.
Nella serie “Nemici per la pelle” egli lavorò in
televisione con la Saltarini; essa fu il primo esempio di "situation
comedy" italiana, trasmessa nel 1980.
Nel giugno del 1983 egli condusse “La porta magica”
varietà che mise la parola fine alla sua esperienza televisiva.
Però la sua attività teatrale non si spense poiché
collaborò con testi classici come Casina di Plauto, andati in scena nel
teatro romano di Ostia nel 1984; egli ebbe a che fare anche con opere
scritte da autori moderni quali “D'amore si ride” di Murray Schisgal,
interpretato da Rascel nel 1985 in coppia con la fedele Giuditta
Saltarini.
Con Walter Chiari, “nemico” sul palco ma amico nella
vita, egli animò la sua ultima apparizione teatrale nel 1986 con l'opera
intitolata “Finale di partita” di Samuel Beckett.
Nel 1986 a rendere omaggio al grande Renato Rascel ci
pensò la televisione che gli affidò un programma costituito da 12
puntate sulla sua esistenza; “C'era una volta io... Renato Rascel” di
Giancarlo Governi era il titolo di tale serie incentrata sulla vita
dell'artista di origini torinesi.
Snodati in questi 12 pezzi, di un puzzle raffigurante
il suo vivere, egli narra la sua storia canticchiando quello che sarà il
suo ultimo brano musicale “E cammina, cammina...” composta per la sigla
di coda della serie televisiva.
I Campionati Mondiali di Calcio del 1990 (conosciuti
familiarmente come “Italia 90”) furono l'ultimo evento pubblico che
registrò la presenza dell'eclettico artista che si esibì in alcuni suoi
popolarissimi pezzi canori tra cui “Arrivederci Roma”.
Morì il 2 gennaio 1991 a Roma ed è sepolto nel
Cimitero Flaminio di Roma.