Giovanni Verga
Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840; durante la giovinezza
scrive romanzi storici (I carbonari della montagna, Amore e patria, Sulle
lagune) e svolge attività giornalistica. Nel 1871 si trasferisce a Firenze;
qui incontra Luigi Capuana e scrive le opere Una peccatrice e Storia
di una capinera.
Nel 1872 si trasferisce a Milano; stringe amicizia con
letterati e critici e matura esperienze esistenziali ed artistiche tali
da arrivare nel volger di poco tempo ad una radicale trasformazione. Proprio
in questo periodo si collocano opere così vicine eppur tanto diverse: nel
volger di un decennio Verga passa da romanzi d’impronta realistica e psicologica
ma carichi di una spiccata impronta romantica (in particolar modo l’autobiografismo
in Eva, Tigre e reale, Eros) ad opere tipiche di quel nuovo modo
di vivere (e non solo la letteratura) che va sotto il nome di verismo, ossia
Vita dei campi, Malavoglia, Mastro Don Gesualdo, Novelle rusticane
e Cavalleria rusticana.
La rappresentazione realistica della società siciliana
continua con le opere Per le vie, Vagabondaggio, Don Candeloro e C.;
con il romanzo Il marito di Elena e i Racconti di Elena riprende
la descrizione psicologica raffinata della sua prima attività, mostrando
tutta la maturità raggiunta dalla sua arte.
Nel 1905 scrive la sua ultima opera (Dal tuo al mio).
Muore a Catania nel 1922.
Il verismo di Verga: processi storici del verismo
e metodo artistico personale
L’esperienza milanese di Verga segna il passaggio ad
una nuova concezione d’intendere non solo la letteratura, ma anche la stessa
vita personale, in un modo che aderisce ai nuovi canoni europei di realismo
narrativo (i modelli sono russi ed inglesi), al naturalismo (soprattutto
quello francese di Zola e Flaubert) e alla rivoluzione romantica operata
dal Manzoni.
Il verismo (internazionale ed italiano) pone l’esigenza
di un’arte viva che studia il vero e che ricostruisce in maniera scientifica
l’evolversi dei fatti. L’autore verista rifiuta l’improvvisazione; l’autobiografismo
e l’oratoria d’impronta romantica cedono il passo all’impersonalità, e i
personaggi esprimono i sentimenti con la propria lingua.
Nell’Europa di fine ‘800 hanno sicuramente un notevole
peso le dottrine filosofiche positiviste (il “metodo positivo” di Comte
rinuncia ai processi puramente deduttivi in favore di uno studio scientifico
e concreto del fatto, nella scienza della natura ed in quella dell’uomo)
e la questione sociale (nella cultura quanto in politica ed economia).
La letteratura verista Ë un utile strumento di diffusione
e conoscenza del vero. Il verista italiano conduce la sua ricerca in maniera
solitaria, aristocratica, descrive il mondo degli umili e delle plebi con
pietà e condiscendenza, costruisce il suo linguaggio dalla realtà che lo
circonda; e la differenza con i modelli europei non Ë di poco conto se si
tiene in considerazione che il verista europeo fa parte del mondo che ritrae.
Questi accenni al verismo europeo ed italiano permettono
di inserire l’opera di Verga in un ambiente ampio e necessario a capire
la radicale trasformazione dell’autore. Vita ed arte si congiungono ed interferiscono:
Verga abbandona la mondanità e la sterilità della società del suo tempo
per trovare una certa serenità nei “sentimenti miti, semplici, che si succedono
calmi e inalterati di generazione in generazioni” (le parole sono dell’autore),
rinuncia al fervore romantico e all’autobiografismo delle prime opere (Eva,
Una peccatrice) a favore dell’impersonalità dell’opera d’arte e del
rigore analitico.
Verga Ë attento tanto al paesaggio siciliano quanto agli
umili e ai vinti, ritrae un mondo epico, vergine, quello del meridione,
delle plebi artigiane e contadine che sono sopravvissute alle forme della
società moderna; la sua letteratura non si chiude mai nel ristretto quadro
regionale ma diventa “una specie di fantasmagoria della lotta per la vita
e si presta a mille rappresentazione del gran grottesco umano”.