TORQUATO TASSO
Torquato Tasso,
figlio di Bernardo, autore del poema Amadigi, e di Porzia de’ Rossi,
nasce a Sorrento nel 1544.
Scrittore tra i più importanti
del Rinascimento italiano, il Tasso si eleva quale fiore estremo di una
raffinata e complessa civiltà.
Negli anni dell’adolescenza,
Torquato segue il padre nei continui spostamenti tra le più importanti corti
italiane; nel 1552 il padre Bernardo, al servizio del principe di Salerno
Ferrante di Sanseverino, è costretto in esilio nella città di Roma. Nel
1557 Bernardo si reca insieme alla famiglia presso la corte di Guidubaldo
II della Rovere, Duca di Urbino. Qui Torquato inizia la sua esperienza della
vita di corte, tra raffinati costumi ed impegni letterari paterni. Tra il
1559 ed il 1565 Torquato si reca prima a Venezia, poi Padova e Bologna,
dove si dedica allo studio dell’eloquenza, della filosofia e delle leggi,
e poi nuovamente a Padova; qui il giovane poeta stringe amicizia con il
filosofo Sperone Speroni ed il principe Scipione Gonzaga. All’età di 18
anni, il Tassino, come era allora chiamato, compone il suo
primo poema, il Rinaldo; qui il virtuosismo del giovane poeta ricalca
modelli classici e romanzi, per trasportare sul piano della narrazione una
materia lirica e personale.
Nel 1565 il Tasso è al
servizio del Cardinale Luigi d’Este; si trasferisce a Ferrara, dove trascorre
vita intensa tra gli svaghi della corte e gli impegni poetici. Nel 1573
porta a compimento l’Aminta, favola pastorale che mostra nell’ispirazione
poetica dell’autore non soltanto una certa preziosità letteraria e un’atmosfera
idilliaca tipica del genere, ma anche una sottile trama di allusioni alla
vita di corte. In questo senso, la vita cortigiana appare quale idealizzazione
di una cultura e di una raffinata sensibilità che esalta ed eleva l’amore
quale espressione assoluta dell’ideale idilliaco del Rinascimento; l’amore
diventa legge suprema che regola la vita in ogni sua forma, purificato da
ogni scoria dolorosa o freno morale.
Nello stesso anno il Tasso
allestisce la prima rappresentazione dell’Aminta, durante una festa di corte
sull’isola di Belvedere sul Po, luogo di villeggiatura degli Estensi.
Nel 1575 il Tasso completa
la sua opera più vasta ed importante, la Gerusalemme Liberata. L’impazienza
di non giungere al successo porta il poeta a cercare consigli e ad affidare
la revisione dell’opera al filosofo Sperone Speroni, all’amico Scipione
Gonzaga, a Silvio Antoniano.
Da ciò derivano correzione,
tagli ed il continuo rimaneggiare la Gerusalemme. Nello stesso tempo, il
travaglio personale legato a problemi di moralità e poetica porta il Tasso
a sottoporsi all’esame dell’inquisitore di Bologna, poi a quello di Ferrara
(1575); non contento dell’assoluzione, mette in dubbio la sentenza. Crescono
intanto l’irrequietezza d’animo, le liti per motivi disparati, i continui
spostamenti: Roma, Ferrara, Mantova, Padova, Venezia, Pesaro, Torino e di
nuovo a Ferrara. Qui si scaglia contro il duca Alfonso II d’Este, proprio
durante le sue nozze con Margherita Gonzaga. Da ciò ne consegue l’arresto
del poeta ed il suo isolamento presso l’ospedale di Sant’Anna. Vi rimane
per sette anni, trattato più come prigioniero che come malato. In effetti,
secondo certa critica moderna, la sua prigionia è da attribuire a questioni
politiche, piuttosto che alla pazzia. Gli scrupoli religiosi del Tasso potevano
portare ad una scomoda attenzione nei confronti della corte ferrarese, che
non disdegnava una certa simpatica per la causa calvinista; le accuse di
un letterato famoso avrebbero potuto accentuare la politica antiestense
del pontefice, desideroso di riassorbire il feudo ferrarese nello stato
ecclesiastico (cosa che avvenne successivamente). Durante la prigionia,
il Tasso scrive alcune importanti rime, intrattiene una fitta corrispondenza
con amici e protettori, vive periodi di relativa tranquillità.
Nel 1586 cessa la prigionia
presso il Sant’Anna; da Ferrara il poeta si dirige alla volta di diverse
corti italiane, sempre accolto con amicizia ed onore. Nel 1595 si reca a
Roma presso il monastero di Sant’Onofrio sul Gianocolo, in cerca di pace
e serenità. Qui muore il 25 aprile dello stesso anno.
La Gerusalemme Liberata
L’opera conclude e porta
con sé tutta la tradizione del Rinascimento; i sogni di rinnovamento ed
imitazione dell’epica classica si uniscono agli esperimenti del Trissino,
dell’Ariosto, del Giraldi. Il contenuto guerriero e religioso della Gerusalemme
incontra gli ideali e le aspirazioni della Controriforma. Se alla Liberata
si affiancano i Discorsi dell’arte poetica ei Discorsi del poema
eroico, si arriva a comprendere la grandezza dell’opera ed il travaglio
dell’autore per portarla a compimento. L’unità del poema eroico si articola
in una varietà di situazioni e complesse vicende; l’ideale classico dell’ordine
viene così interpretato secondo un gusto nuovo, quella della massima libertà
di fantasia ed invenzione. Ma la fantasia non è mai un gioco o un diletto;
la “verità della religione” e “l’autorità della storia” garantiscono alla
Liberata un presupposto di realtà. Le vicende narrata ed i personaggi devono
presentarsi agli occhi del lettore, secondo il Tasso, come reali, credibili;
e certamente verosimili, purché si conceda al poeta la “licenza di fingere”,
“poiché non può dunque parte alcuna di poesia esser separata dal verisimile;
ed in somma, il verisimile non è una di quelle condizioni richieste nè la
poesia a maggior sua bellezza e ornamento; ma è propria ed intrinseca de
l'essenza sua, ed in ogni sua parte sovra ogn'altra cosa necessaria” (Torquato
Tasso, Discorsi dell'arte poetica).
La poesia della Liberata
crea caratteri eroici, vivi nella loro forza emotiva; ogni creatura reca
in se traccia della sensibilità del Tasso, della sua vita poetica e letteraria.
La poesia diventa strumento dell’indefinito, capace di cogliere le sottili
sfumature degli stati d’animo e le vibrazioni della vita psicologica.
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