Gabriele D’Annunzio
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863. Risale
al 1879 la prima raccolta di poesie, Primo Vere; nel 1882 pubblica le rime
“Canto novo”, dove riprende in parte l’esempio più rappresentativo della
poesia di fine ‘800, Carducci, mostrando un particolare gusto per l’impressionismo
sensuale e decorativo. Questa spiccata dote celebrativa ed estetizzante
si ritrova anche nei primi racconti; Terra vergine (1882) e le novelle di
San Pantaleone (1886), ripublicate nel 1902 con il titolo Le novelle di
Pescara, riprendono solo gli aspetti appariscenti dei modelli veristi e
naturalisti (in particolare Verga e Maupassant), depauperati delle necessarie
ragioni sociali e dell’impersonalità tipica della prosa verista.
Nel 1881 si trasferisce a Roma; inizia la sua attività
giornalistica (collabora con “Cronaca Bizantina”, “La Tribuna”, “Fanfulla”,
“Capitan Fracassa”, “Il Mattino”), pubblica i romanzi Il piacere
(1889) e Giovanni Episcopio, conduce vita mondana ed avventurosa
tra processi e duelli, sposa la duchessa Maria Hardouin di Gallese.
Negli anni tra il 1891-93 pubblica L’Innocente,
le Elegie romane (dove spiccano gli orizzonti letterari della scuola
parnassiana) ed il Poema Paradisiaco.
Nel 1897 è eletto deputato per la destra. In questo periodo
nasce il mito del superuomo, dell’eroe decadente, riprendendo il superuomo
di Nietzsche, ma svuotandolo delle specifiche indicazioni morali e filosofiche.
Inizia l’attività drammaturgia e compone La città morta (1889),
La Gloria (1899), La Gioconda (1899), Francesca da Rimini
(1901), La figlia di Iorio (1903), La fiaccola sotto il moggio
(1905), Più che l’amore (1906), La nave (1907), Fedra
(1908), Le martire de Saint Sébastien (1911) e La Pisanelle
(1913). Nel teatro D’Annunzio individua un utile strumento per diffondere
il concetto di superuomo, per esaltare la violenza, il mito della femminilità
satanica e rovinosa e la lussuria.
Negli anni tra il 1898 e il 1909 si trasferisce a Settignano
(Firenze) nella villa cinquecentesca di Gamberana (detta la “Capponcina”);
risalgono a questo periodo la storia sentimentale con Eleonora Duse (interrotta
nel 1904). Risalgono al periodo fiorentino la scrittura della maggior parte
delle Laudi (in cinque libri, dal titolo Maia, Alcyone, Elettra,
Merope e Asterope).
Nel 1910 D’Annunzio è costretto a vendere la villa di
Gamberana; si rifugia in Francia nei pressi di Bordeaux e scrive, in lingua
francese, diverse opere teatrali. Torna in Italia nel 1915 e partecipa alla
Prima Guerra Mondiale, compiendo numerose avventure (tra cui la beffa di
Buccari).
Nel 1919, al comando di un gruppo di legionari, occupa
la città di Fiume. Nel 1921 si ritira a vita privata nel complesso denominato
Vittoriale degli Italiani (presso Gardone Riviera, dichiarato monumento
nazionale nel 1937). Qui muore nel 1938.
Il poeta-vate
In tutte le sue opere D’Annunzio ha sempre esaltato la
bellezza, il culto per le forme e i valori estetici (estetismo), il gesto
e la parola ornata; le esperienze artistiche ed intellettuali lo hanno portato
spesso ad una pura affermazione di strumenti musicali e metrici, dove la
lirica diventa esercizio letterario e celebrazione. D’Annunzio assimila
le suggestioni degli autori stranieri, sprovincializzando certo la letteratura
nazionale, ma operando un depauperamento dei concetti: il mito della donna
rovinosa non ha la stessa risonanza che in Baudelaire, il superuomo di Nietzsche
diviene amorale, il gusto per la musicalità delle parole allontana i versi
dal rigore espressivo di Mallarmé.
In molte opere D’annunzio sembra incontrare i modi della
lirica decadente; ma Ë un decadentismo diventato ormai posa e moda, lontano
dalla letteratura e più vicino alla storia del costume. Certo alcune opere,
in particolare l’Alcione , il Notturno e il Poema Paradisiaco,
hanno esercitato un influsso sulla letteratura del Novecento, dagli scrittori
crepuscolari agli ermetici, ma l’influsso Ë soprattutto esteriore e formale.
Più profonda Ë stata l’influenza di D’Annunzio sul costume
e la società; le sue gesta e gli eccessi hanno inculcato in alcuni strati
sociali il mito di una vita ardimentosa ed inimitabile.
D’annunzio ha anche collaborato con l’industria cinematografica,
scrivendo soggetti e didascalie per diversi film; tra questi ricordiamo
“Cabiria” (Giovanni Pastrone, 1914) e “Non è resurrezione senza morte” (Edoardo
Bencivenga, 1922).