David Hare
nelle Chiese Rupestri di Matera
Il
percorso creativo di Hare, dal momento della ricerca sugli Indiani d’America,
per conto del Museo di Storia Naturale di New York, alle fusioni dei primi
anni Novanta, e rappresenta il primo documento, a livello internazionale,
dell’importante presenza dello scultore nell’ambito del surrealismo, utile
per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati Uniti e l’Europa nel corso
del secolo appena trascorso. Hare, infatti, non solo fu presente nelle
più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate dopo la seconda
guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14 Americans” del
1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte tra New York e Parigi,
come sarà evidente nel 1976, nella mostra “Paris-New York” tenutasi al Centre
Pompidou.
Naturalmente, non bisogna dimenticare
le credenziali di partenza: Nato nel 1917 a New York, sua madre, che aveva
studiato con Brancusi a Parigi, era stata nel 1913 tra gli espositori dell’Armory
Show (di cui, guarda caso, era segretario Joseph Stella, nato a Muro Lucano
e trasferitosi in America nei primi anni del secolo) ed era sposata con
il fratello dell’architetto che aveva costruito il Museum of Modern Art;
sua cugina, Kay Sage, era la moglie di Yves Tanguy; i suoi migliori amici
erano André Breton, Marcel Duchamp e Max Ernst, con i quali dirigeva la
rivista surrealista “VVV”.
Con un tale capitale di amicizie
e di cultura, Hare entra ed espone, a più riprese, nella galleria “Art of
this Century”, aperta a New York da Peggy Guggenheim, allora moglie di Max
Ernst, e a Parigi, dove vive dal 1948 al 1953, nella Galerie Maeght.
“La scultura è più primitiva della pittura perché tratta
dell’illusione come obiettivo o, se si preferisce, deve rendere l’illusione
il suo obiettivo. La scultura è più complessa in quanto deve prender forma
nella realtà dimensionale, perché ogni forma ha più lati, non solo uno.
Nella scultura tutto, eccetto lo spirito alla bse dell’opera, deve esistere
nella materia stessa… il lessico della pittura è molto più ampio di quello
della scultura; d’altra parte, sostenendo il peso effettivo del mondo fisico
e l’effettiva realtà della dimensione, il lessico della scultura è più irruente”.
Sono parole di David Hare, il grande scultore americano che con le sue opere
è il grande protagonista di quest’estate, nel palcoscenico incredibile delle
chiese rupestri materane, in cui è allestita fino al 9 ottobre la grande
mostra antologica a lui dedicata.
Come da tradizione ormai venticinquennale, la grande
scultura internazionale, grazie all’impegno congiunto del Circolo La Scaletta
e del curatore Giuseppe Appella, torna a “misurarsi” con lo scenario mozzafiato
dei Sassi di Matera e con gli incredibili spazi, scolpiti nel tufo, delle
chiese rupestri Madonna delle Virtù e S. Nicola dei Greci: “nozze d’argento”
dunque per un appuntamento che, ormai ha visto accogliere, in un connubio
perfetto e sempre sorprendente tra ambiente e arte, i capolavori di Pietro
Consagra, Fausto Melotti, Arturo Martini, Duilio Cambellotti, Andrea Cascella,
Pericle Fazzini, Roberto Sebastian Matta, Umberto Milani, Libero Andreotti,
Stanislav Kolibal, Mario Negri, Leoncillo, Antonietta Raphaël, Marcello
Mascherini, oltre che di scultori di primo piano inseriti nelle mostre dedicate
alla “Scultura in America”, “Scultura in Francia”, “Periplo della scultura
italiana contemporanea” 1 e 2, “Vanni Scheiwiller e la scultura”.
La mostra di quest’anno è, dunque, dedicata all’artista
newyorkese David Hare, grandemente amato ed apprezzato da Jean-Paul Sartre,
grande interprete del Surrealismo “sbarcato” in America, e comprende 80
sculture (in bronzo, acciaio, ottone, alabastro, pietra, legno), datate
1946-1992; 55 opere su carta (acrilici, inchiostri, collage, acquarelli)
datate 1945-1992; 24 fotografie del 1940-1943, tra le quali le celebri immagini
dedicate nel 1941 da Hare ai Pueblo Indians as they are today, con il commento
di Clark Wissler; un gruppo di litografie del 1972, pubblicate dalla Tamarind
Press di New York. Le opere provengono dall’Estate of David Hare, da diversi
musei e gallerie degli Stati Uniti (Whitney Museum of American Art, New
York, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, Grey Art Gallery New York
University, Ubu Gallery, New York, American Museum of Natural History, New
York), oltre che dal Museo Guggenheim di Venezia, dalla Fondazione Maegth
di Saint Paul de Vence e da alcuni collezionisti svizzeri.
Come ci dice Appella, curatore della mostra insieme ad
Ellen Russotto, si è inteso coprire l’intero percorso creativo di Hare,
dal momento della ricerca sugli Indiani d’America, per conto del Museo di
Storia Naturale di New York (Hare è stato anche un importante fotografo),
alle fusioni dei primi anni Novanta, e rappresentare così il primo documento,
a livello internazionale, dell’importante presenza dello scultore nell’ambito
del surrealismo, utile per chiarire i rapporti intercorsi tra gli Stati
Uniti e l’Europa nel corso del secolo appena trascorso. Hare, infatti, non
solo fu presente nelle più determinanti rassegne d’arte contemporanea organizzate
dopo la seconda guerra mondiale dal Museum of Modern Art di New York (“14
Americans” del 1946, “New Decade” del 1955), ma costituì il ponte tra New
York e Parigi, come sarà evidente nel 1976, nella mostra “Paris-New York”
tenutasi al Centre Pompidou.
Certamente, non bisogna dimenticare le credenziali di
partenza: Nato nel 1917 a New York, sua madre, che aveva studiato con Brancusi
a Parigi, era stata nel 1913 tra gli espositori dell’Armory Show (di cui,
guarda caso, era segretario Joseph Stella, nato a Muro Lucano e trasferitosi
in America nei primi anni del secolo) ed era sposata con il fratello dell’architetto
che aveva costruito il Museum of Modern Art; sua cugina, Kay Sage, era la
moglie di Yves Tanguy; i suoi migliori amici erano André Breton, Marcel
Duchamp e Max Ernst, con i quali dirigeva la rivista surrealista “VVV”.
Con un tale capitale di amicizie e di cultura, Hare entra
ed espone, a più riprese, nella galleria “Art of this Century”, aperta a
new York da Peggy Guggenheim, allora moglie di Max Ernst, e a Parigi, dove
vive dal 1948 al 1953, nella Galerie Maeght.
La cronologia completa della sua vita, chiusasi a Jackson
Hole nel 1992, e la bibliografia aggiornata al 2005, vengono ricostruite
per la prima volta nei dettagli da Ellen Russotto nell’occasione di questa
mostra che nasce dal contatto avuto da David Hare e dalla moglie Terry nel
1990 con la città lucana, in occasione della mostra “Scultura in America”.
In quell’occsione l’affetto di Hare per Matera fu testimoniato dalla donazione
di una sua scultura in acciaio, Mountaine Moonrise, del 1986, che andrà
ad arricchire il Museo della Scultura Contemporanea in Palazzo Pomarici
per iniziativa della Fondazione Zétema di Matera.
La mostra, allestita con la ben nota sensibilità e competenza
da Alberto Zanmatti, mette in evidenza la concezione di Hare di un’opera
né astratta né rappresentativa, comunque non aliena dal raffigurare elementi
naturalistici disegnati nello spazio con arguzia e senso ironico. Il disegno
di un’idea tradotta in tre dimensioni, dunque, attraverso molteplici materiali
che coinvolgono la base della scultura nell’opera costruita per correlazioni
di linee, di colori e di tensioni. Queste ultime aumentano o diminuiscono
a mano a mano che il lavoro procede, determinandone alla fine il carattere
fondamentale dei piani e delle masse. Di fondamentale supporto all’evento
espositivo, che resterà ben oltre l’effimero dell’esposizione materana (che
rimarrà aperta al pubblico fino al 10 ottobre, salvo proroghe), è un importante
catalogo monografico, pubblicato dalle Edizioni della Cometa, con contributi
dei due curatori e di Jean-Paul Sartre, Robert Goodnough, Rufus Goodwin,
Milton Gendel, la riproduzione di tutte le opere esposte e un ampio regesto
dedicato alla vita e alla fortuna critica dell’artista.
Fonte: comunicato stampa in occasione della mostra: "David
Hare nelle Chiese Rupestri di Matera" L'opera grafica" tenutasi a Matera
dal 9 luglio al 9 ottobre 2005.
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