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Giorgio de Chirico

Maestro della Metafisica

Giorgio de ChiricoNasce il 10 luglio 1888 a Volos in Grecia da un raffinato aristocratico che per divertirsi faceva l’Ingegnere ferroviario: il barone Evaristo de Chirico e da una Signora della buona borghesia genovese: Gemma Cervetto.

Alla morte del padre, nel 1905, la famiglia de Chirico si trasferisce a Monaco: città straordinariamente ricca dal punto di vista culturale; Monaco di Baviera, allora, era una città all’avanguardia; c’erano ancora gli ultimi grandi interpreti di quella cultura liberty decadente come Franz Von Stuck, straordinario pittore di donne sensuali, feline, radiose, che sarà un maestro, anche se, poi, criticato e polemizzato dallo stesso de Chirico.

A Monaco, tramite il superamento di un esame d’ammissione e all’approvazione di alcuni saggi di lavoro, da parte di un’apposita commissione, Giorgio de Chirico si iscrive all’Accademia di Belle Arti come studente di nazionalità greca; di questa esperienza, l’artista, fu deluso per non aver imparato "assolutamente nulla".

A Monaco, però, incontra Nietzsche, Max Klinger, Arnold Bocklin, Schopenauer, importanti personaggi che lo aiuteranno a comprendere la sua vocazione nascente di dipingere quadri allegorici.

Da Monaco, si trasferisce, con ancora la madre, a Milano, a Firenze, a Torino; e poi, ancora, si trasferirà, dal 1911 al 1915, a Parigi per entrare in contatto con tutte quelle straordinarie avanguardie che tanta parte avranno sul suo talento.

E’ a Parigi che incontra Matisse, Apolinnaire, Picasso, Maurice Reynal ed è qui che nascono in lui quelle suggestioni che daranno vita a quelle produzioni singolari, rarefatte, sospese, arcane, inquiete che confluiranno in quell’arte profonda, difficile, complicata, misteriosa, enigmatica, ironica, visionaria: la metafisica.

Ammirerà, in Italia, Botticelli, che sdegnava la prospettiva di Leonardo e aveva creato una realtà misteriosa, cristallina in cui le figure – straordinariamente intriganti e raffinate – non hanno né profondità né spessore ma, soprattutto, ciò che lo maturerà sarà il soggiorno di tre anni a Ferrara.

A Ferrara, scriverà Giorgio de Chirico: "…ebbi una grande folgorazione in un paesaggio incantato: il grande Castello Estense dominava sulla piazza silente, immobile. In quel momento ebbi l’idea distaccata della realtà, oltre la fisica, direi quasi, la metafisica".

Il Castello Estense torna, come protagonista della celebre immagine delle Muse inquietanti, in numerosi suoi quadri.

Proprio a Ferrara, l’artista, inizia una serie di dipinti di nuovi soggetti che si sostituiscono alle composizioni architettoniche, alle torri, agli edifici con portici, alle grandi piazze deserte; prevalgono oggetti apparentemente senza logicità: manichini, squadre, carte geografiche, pani ferraresi, biscotti, … perché di Ferrara amava tutto: le botteghe, le abitazioni, i quartieri, in particolare l’antico Ghetto nel quale andava a comperare i dolci e i biscotti che compariranno, nelle loro forme bizzarre e caratteristiche, in molti suoi dipinti.

Perché Giorgio de Chirico popola il suo e il nostro immaginario di statue classiche, di frammenti antichi, di rotte colonne e di personaggi della mitologia? Perché tutto ciò che è barocco, in un mondo palpitante di candido, in un mondo pieno di statue, è costantemente presente nella sua vita?

Giorgio de Chirico è l’iniziatore della pittura "metafisica" rivolta a creare suggestioni fantastiche con l’accostamento di oggetti disparati, specialmente di statue antiche greco-romane, in uno spazio costruito secondo le regole e le prospettive quattrocentesche, con colori decisamente moderni e con associazioni di storia e di tempo senza che, tra essi, vi sia alcuna relazione; le forme sono spesso assimilate a volumi geometrici, gli oggetti più comuni si presentano avvolti di mistero e di senso del presagio.

Quando nel 1925 torna, per breve tempo, a Parigi ha quasi abbandonato la pittura metafisica per orientarsi verso una pittura più romantica, avvicinandosi al realismo d’effetto della pittura del Seicento.

Questa nuova pittura, eseguita per lo più a tempera, mostra paesaggi, ville romane, numerosi autoritratti dove si raffigura in atteggiamento serio e malinconico.

Dopo il 1926 la sua pittura degenerò verso un’interpretazione fastosa e baroccheggiante della classicità ellenica in cui, accanto alla passione archeologica, riaffiorano i ricordi nostalgici della sua giovinezza trascorsa in Grecia: strutture murarie in laterizio, colonne, ruderi, tombe e tempietti classici caratteristici dell’antichità ellenica: oggetti, tutti, facenti parte di un mondo passato, morto dove più nulla potrà riportarli alla vita; è il periodo in cui compaiono anche i famosi cavalli su spiagge disseminate di rovine, gli archeologi e i gladiatori; i primi vengono realizzati con la peculiare sapienza di un pittore del Seicento; i secondi che riprendendo il soggetto " dei manichini" si presentano, nella nuova versione, con il ventre rigonfio e squarciato dal quale fuoriescono ruderi e tempietti classici greci; gli ultimi, i gladiatori, che rievocano i fasti dei ludi della antica Roma.

I cavalli, sono i classici cavalli dalla immensa e fluente coda, i cavalli andalusi, giganteschi e con occhi umani.

Sono due cavalli particolarissimi, debitori di una buona parte della cultura greca, forse Xanto e Balio, i due cavalli dotati di intelligenza e parola umana che erano stati donati da Peleo e Teti ad Achille e ne trainavano il cocchio.

Saranno loro a piangere le spoglie di Achille, mutilate ed offese; sono i due cavalli della tradizione, della polvere grigia e fredda, classica del passato.

Hanno pennacchi da cavalli da circo, ridicoli, singolari, colorati e si muovono sulla spiaggia puntellata di rotte colonne, torreggiano, immobili come cavalli finti nella loro struttura infatti, le code sono come un sostegno, una base per permettere di impennarsi.

Tutto ciò che circonda i cavalli è il mondo del passato, ridotto a macerie, una sorta di repertorio archeologico dimenticato per sempre e gli antichi Dei non sono altro che pallide immagini.

Gli uomini sono completamente assenti o presenti solo come statue fredde, inquietanti, in un cielo quasi metafisico, in un tramonto primaverile, morbido e nuvoloso.

Nel 1931, de Chirico conosce Isabella Pakszwer che diventerà la sua nuova compagna (dalla moglie Raissa viveva già separato da qualche tempo) e con lo pseudonimo di Isabella Far inizierà ad occuparsi di arte esercitando una notevole influenza sulle future opere dell’artista.

De Chirico la esalterà come modella , ritraendola a volte, nuda, su una spiaggia, inserita in un’atmosfera fiabesca, o più spesso come una signora borghese, utilizzando lo stile di Rubens ma la esalterà anche per le qualità critiche e l’aiuto che l’intuito di Isabella sapeva trasferire in lui quando si accingeva a dipingere un soggetto.

Nel 1936 de Chirico si imbarca sul transatlantico "Roma" che lo porterà per la prima volta negli Stati Uniti dove le sue opere erano già molto apprezzate; il successo è strepitoso e "i dollari piovvero a palate" come scriverà nelle sue Memorie.

Rimarrà in America un anno e mezzo per occuparsi di illustrazioni per le riviste di moda "Vogue" e "Harper’s Bazar".

Rientrato in Italia dovette rifugiarsi frettolosamente in Francia per sfuggire alle rappresaglie razziali che minacciavano Isabella Far di origine israelita.

L’esilio non durò molto, rientrato in Italia, dopo aver cambiato molte volte residenza a Milano e a Firenze, nel 1944 si stabilisce a Roma, in un attico a Piazza di Spagna che diventerà la sua dimora definitiva (oggi è amministrata dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico).

Si pensa sempre che de Chirico sia solo metafisico, ma non è così, perché con estrema facilità passa dal figurativo al metafisico e dal metafisico al figurativo; utilizza uno stile che prende i frammenti del passato, li amalgama e crea, nella sua definitiva dimora romana, uno stile nuovo" di vite silenti" come de Chirico usava chiamare le "nature morte" immerse in paesaggi fiabeschi (gli uomini diventano oggetti: manichini, e gli oggetti diventano uomini come i busti e le statue antiche).

Un altro esempio di incredibile capriccio di de Chirico, negli anni della sua terza età, fu quello di ritrarsi a mezzo busto o a figura intera vestito con gli abiti di scena, pomposi, seicenteschi o le armature medievali, prestatigli dall’Opera di Roma.

Negli ultimi anni della sua vita assume una posizione molto polemica contro l’arte contemporanea aprendo quella fase della sua pittura detta "neometafisica" riprendendo alcuni temi del passato, integrandoli con elementi e fenomeni della natura come il sole, la luna, la pioggia che vengono animati fino ad assumere atteggiamenti umani come si dimostra osservando il quadro intitolato:" Il sole sul cavalletto" dove il sole e la luna, spenti e quindi neri, sono collegati, tramite un filo ad un uguale sole e ad un’uguale luna , accesi quindi colorati, quasi che il gioco consistesse di accendere o spegnere un comune interruttore di casa; il sole, acceso e personificato, compare appoggiato su un cavalletto da pittore; la luna, accesa, compare sdraiata sul pavimento; i loro "uguali", spenti, sono immersi in un cielo colorato, metafisico.

Alcuni esempi delle sue opere ricordano che oltre che valente pittore fu anche un eccellente scultore e la statua di Ettore e Andromaca è uno straordinario bronzo di altissima qualità che introduce la scena più celebrata, più straziante dell’Iliade, il momento in cui alla Porte Scee, Ettore si accinge ad incontrare Achille; sa perfettamente che andrà incontro alla morte e Andromaca, nel tentativo di costringerlo a non andare, abbraccia il marito in un commuovente abbrivio d’amore.

E’ l’opera che fissa la scena più straziante, più forte e, nello stesso tempo, più delicata e più dolce dove l’eroe, di statura titanica, mostra umanità.

Ma, quella scena straziante, viene anche "criticata" dallo stesso Giorgio de Chirico; infatti, ad una donna bellissima, discinta, disperata con i capelli che scivolano sulle spalle e con il volto nascosto sul petto di Ettore, si contrappone un Ettore che non è un uomo: il volto è impenetrabile; è il volto freddo e assolutamente senza espressione di un manichino le cui gambe sono le tipiche gambe dei manichini; il corpo è regale, è elegante, è umano: è il corpo di un eroe possente ma le gambe sono assolutamente di legno, meccaniche.

Mentre lo strazio di lei è evidente, il volto di lui è inespressivo con la fissità del manichino come se l’uomo, ormai giunto alla fine del suo cammino – in un mondo di esseri freddi – in un’età che ha vissuto tutti gli orrori della vita, ha dimenticato la sua umanità ed è diventato un impenetrabile pezzo di legno: un manichino.

Il 10 luglio 1978, in occasione del suo novantesimo compleanno, viene festeggiato in Campidoglio, di lì a quattro mesi il 20 novembre dello stesso anno Giorgio de Chirico lascerà al mondo intero il ricordo indelebile della sua personalità.

I SUOI MAGGIORI CAPOLAVORI

PERIODO TITOLO ALLOCAZIONE

  • 1909 Centauro morente Milano, Collezione privata

  • 1910-1911 L’enigma dell’ora Milano, Collezione Mattioli

  • 1912 Melanconia Londra, Estorick Collection of Modern Italian Art

  • 1912 La nostalgia dell’infinito New York, The Museum of Modern Art

  • 1913 La torre rossa Venezia, Peggy Guggenhein Collection

  • 1913 Il viaggio inquietante New York, The Museum of Modern Art

  • 1913 L’incertezza del poeta Londra, The Tate Gallery of Modern Art

  • 1914 L’enigma di una giornata New York, The Museum of Modern Art

  • 1914 Mistero e malinconia di una strada New York, Collezione privata

  • 1914 Le caserme dei marinai West Palm Beach, Norton Gallery and School of Art

  • 1914 Il cattivo genio di un re New York, The Museum of Modern Art

  • 1914 La malinconia della partenza New York, The Museum of Modern Art

  • 1914 Canto d’amore New York, The Museum of Modern Art

  • 1914 Ritratto premonitore di Guillaume Apollinaire Parigi, Musée national d’Art moderne

  • 1914-1915 Il Veggente New York, The Museum of Modern Art

  • 1915 Il doppio sogno di primavera New York, The Museum of Modern Art

  • 1915 I manichini della torre rossa New York, The Museum of Modern Art

  • 1915 I giochi del principe New York, The Museum of Modern Art

  • 1916 Saluti da un amico lontano New York, Collezione privata

  • 1916 Le Muse inquietanti Milano, Collezione Mattioli

  • 1916 La malinconia della partenza Londra, The Trustees of the Tate Gallery

  • 1916 Natura morta evangelica I Osaka, City Museum of Modern Art

  • 1916 Interno metafisico con grande fabbrica Stoccarda, Staatsgalerie

  • 1917 Interno metafisico con sanatorio New York, The Museum of Modern Art

  • 1917 Ettore e Andromaca Milano, Collezione Mattioli

  • 1917 Il grande metafisico New York, Collezione privata

  • 1917 I pesci sacri New York, The Museum of Modern Art

  • 1920 Autoritratto con il cartello della legge metafisica Monaco, Pinakothek der Moderne

  • 1922 Il figliol prodigo Milano, Civiche Raccolte d’Arte

  • 1924-1973 Numerosi autoritratti Oggi presso collezioni private in tutta Italia

  • 1926 Trofeo Collezione privata

  • 1926 Manichini in riva al mare Milano, Civiche Raccolte d’Arte

  • 1926 I figli di Ebdomero Milano, Civiche Raccolte d’Arte

  • 1927 Leone e gladiatori Detroit, The Detroit Institute of Arts

  • 1927-1930 Gladiatori Roma, Collezione privata

  • 1928 Combattimento di gladiatori Milano, Civiche Raccolte d’Arte

  • 1928 Cavalli con Di oscuri in riva al mare Collezione privata

  • 1928-1929 Facitori di trofei – L’altare Milano, Civiche Raccolte d’Arte

  • 1929 Gladiatori Collezione privata

  • 1929 I frutti di Nettuno Collezione privata

  • 1935 L’autunno Milano, Civiche Raccolte d’Arte

  • 1948 Bagni misteriosi Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

  • 1948 Ritratto di Isabella Far Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

  • 1966 Bagni misteriosi Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna

  • 1966 Mobili nella valle Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

  • 1966 Archeologi Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

  • 1973 Sole sul cavalletto Roma, Fondazione Giorgio e Isa de Chirico

 

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