A.I. - Artificial Intelligence
Anno: 2001
Nazione: Stati Uniti d’America
Produzione: Warner Bros
Regia:
Steven Spielberg
da una sceneggiatura di Stanley Kubrick
Sceneggiatura: Steven Spielberg
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Musiche: John Williams
Cast: Frances O’Connor,
Jude Law, Haley Joel Osment, Bredan Gleeson
Un laboratorio,
uno staff deve decidere le caratteristiche di un prodotto, in quale
fascia di mercato venderlo, quanti possono comprare un prodotto davvero
esclusivo… l’amore di un figlio. Fino a quel momento i robot si ispiravano
alle tre leggi della robotica, non distruggere la proprietà degli umani,
preservarsi dai malfunzionamenti, non fare del male agli umani e difenderli.
Ora si aggiungeva un robot in grado di farsi amare e ricambiare, chiamare
la donna che lo ha acquistato mamma.
Il Mekka
bambino, questo il nome del bambino robot, viene venduto ad una coppia
che ha un figlio in coma oramai da anni….
La mamma
dopo qualche perplessità iniziale si ritrova ad innamorarsi del bambino,
una sensazione che le riempie la vita. Tutto fila liscio finché il suo
naturale bambino esce dal coma e reclama il posto al centro della famiglia.
Si cerca inizialmente di trovare un compromesso ma ne l’essere umano
(il figlio) ne il Mekka sembrano essere adatti al ruolo di fratelli.
Il Mekka viene abbandonato a se stesso, dovrà imparare a vivere come
un essere umano braccato dagli esseri umani, come un essere umano in
continua ricerca del significato della vita. Pone la sua esistenza vitale
come centro per la soddisfazione di alcune domande: se esisto perché
la mamma non viene a cercarmi? Ovvero se esisto e do amore perché non
viene ricambiato? Qual è l’origine la mia origine? Ovvero qual è l’origine
dell’uomo?
Come
è naturale che sia la maggior parte delle domande non trova risposta,
il deficit d’amore al quale crede di venire sottoposto un uomo non troverà
mai risposta, tutti abbiamo bisogno d’amare e al tempo stesso di essere
amati.
Tutti
quanti da piccoli abbiamo desiderato scalare una montagna, il sogno
più ricorrente dei bambini è sempre stata l’emulazione dei genitori,
l’artista a cui Steven Spielberg
si è sempre ispirato, il
suo padre putativo, è Stanley Kubrick a cui ha voluto dedicare il film.
In fin
dei conti molte delle immagini a cui assistiamo tramite gli occhi del
bambino non sono altro che un continuo omaggio nei confronti del Maestro.
Tutta la struttura del film risente delle caratteristiche pedagogiche
che hanno attraversato i film di Kubrick: un prologo in cui viene illustrato
il film, quale sarà il tema dibattuto e come sarà affrontato (persone
che hanno la sventura di provare un disagio affettivo perché improvvisamente
si sono visti privati dell’affetto di un figlio possono sostituirlo?
E ancora, si costruisce un robot che dia amore, ma l’uomo poi ne è riconoscente?);
un dibattito svolto dai protagonisti in cui ci si domanda se sia lecita
una operazione del genere, se poi improvvisamente il bambino ti chiama
mamma può prendere il posto del bambino umano?; un finale dove vengono
date solo risposte interlocutorie, per esempio il fine della felicità
individuale rimane lo sbocco naturale di tutti i protagonisti ma tutto
ciò può essere fatto a spese di tutta la collettività, a costo della
stessa umanità?
Spielberg
reca un notevolissimo omaggio al Maestro anche se spesso riduce troppo
la sua naturale verve artistica.
Carlo Meconi
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